“Caro Nino, figlio mio, il 28 marzo del 1961 ti ho messo al mondo, la tua nascita venne ufficializzata il giorno successivo. Solo dopo 28 anni ti hanno brutalmente ucciso portandoti via da me”. È l’incipit di una lettera che una madre dedica al proprio figlio nel giorno in cui egli compie il suo cinquantaseiesimo compleanno. Una lettera semplice, delicata e struggente che Augusta Agostino scrive al figlio Nino, agente di polizia della scorta a Giovanni Falcone, il magistrato che doveva morire il 21 giugno 1989 – tre anni prima di Capaci – nella sua villa all’Addaura, dove si era recato per fare il bagno.

Nino Agostino e Ida Castelluccio. Sopra: i genitori del poliziotto

Quella mattina delle “menti raffinatissime”, come le definì lo stesso Falcone, avevano deciso che il giudice che aveva istruito il maxiprocesso a Cosa nostra doveva saltare in aria, e avevano incaricato i loro artificieri di piazzare il tritolo in mezzo agli scogli. Fortunatamente quel borsone che nascondeva cinquantotto candelotti di esplosivo fu avvistato in tempo dagli agenti e la strage fu evitata. Lo stesso Falcone, riferendosi all’agente Agostino, dichiarò: “Io a quel ragazzo gli devo la vita”.

Ma Nino Agostino aveva visto qualcosa che non doveva vedere: qualcuno che conosceva e che faceva il doppio gioco. E cominciò a indagare. Fu un’estate bella e terribile quella dell’89. Bella perché pochi giorni dopo Nino avrebbe sposato Ida, la compagna di una breve vita alla quale confidava anche le cose più inconfessabili del servizio. Terribile perché entrambi sarebbero andati incontro alla morte appena un mese dopo, quando lei aspettava un bambino.

Era il 5 agosto. La coppia si era recata nella casa dei genitori di Nino, a Villagrazia di Carini. C’era il compleanno della sorella, una delle tante ricorrenze che questa famiglia unita e tradizionalista ha sempre amato festeggiare.

Un giorno spensierato. Nino aveva deciso di non portarsi neanche la pistola di ordinanza.  Neanche il tempo di scendere dalla macchina ed ecco che un gruppo di sicari armati fino ai denti sparano una gragnuola di colpi ed uccidono gli sposi, compresa la minuscola creatura che Ida porta in grembo da poco. Vincenzo e Augusta escono in strada, cercano di soccorrere il figlio e la nuora, ma è troppo tardi. Prima dell’arrivo dell’ambulanza, il padre prende il portafogli del figlio e trova un biglietto. Lo apre e legge: “Se mi succede qualcosa andate a guardare nell’armadio della mia stanza da letto”. Vanno in quella camera, qualcuno li ha anticipati; era successo sette anni prima con la cassaforte del generale Dalla Chiesa, ed è successo in quel momento: i documenti sono spariti da quell’armadio. Appunti che Nino aveva preso nelle settimane precedenti sull’attentato all’Addaura.

Falcone e Borsellino ai funerali di Nino Agostino e Ida Castelluccio.

Le indagini dei primi anni furono semplicemente grottesche: la Squadra mobile seguì una inesistente “pista passionale”, malgrado gli indizi di segno opposto. Poi fu ancora peggio. Da certi armadi verbali, identikit, testimonianze. Un depistaggio in piena regola. Eppure i fatti, fin da subito, erano fin troppo chiari.

Poco tempo prima del fallito attentato a Falcone due sedicenti colleghi di Nino si erano presentati nell’abitazione dei suoi genitori per chiedere notizie dell’agente. “Uno dei due aveva la faccia da mostro”, ha sempre dichiarato Vincenzo Agostino. Secondo il pentito Giovanbattista Ferrante, neanche l’indagine interna ordinata da Totò Riina in persona sortì effetti: i killer di Nino Agostino non erano di Cosa nostra. Dovrà arrivare il collaboratore di giustizia Oreste Pagano per dichiarare che il poliziotto “è stato ucciso perché voleva rivelare i legami mafiosi con alcuni della questura di Palermo. Anche sua moglie sapeva: per questo hanno ucciso anche lei”.

Verità che fin dall’inizio sono state occultate. Verità che fin dall’inizio i genitori di Nino hanno saputo, ma che non sono state ascoltate da chi aveva il dovere di farlo. Da allora Vincenzo ha deciso di farsi crescere la barba: “La taglierò solo quando si farà luce sulla morte di mio figlio”. La madre Augusta si è chiusa in un silenzio dignitoso ed esemplare.

Ogni anno – il 21 marzo – entrambi sono presenti alla Giornata della Memoria organizzata da Libera: il nome di Nino è fra quelli che vengono scanditi per ricordare le vittime di mafia. Ogni anno – l’11 febbraio – sono presenti a Barcellona Pozzo di Gotto per l’anniversario di un’altra vittima del legame  mafia-Colletti bianchi-servizi segreti deviati: l’urologo trentaquattrenne Attilio Manca, che ha avuto un ruolo nell’operazione di cancro alla prostata di Bernardo Provenzano. Augusta e Vincenzo portano un po’ di conforto ad Angela e Gino, genitori di Attilio, e al fratello Gianluca: un abbraccio, poche parole, molto silenzio.

Oggi Augusta ha scritto questa bellissima lettera dedicata al figlio: “Domenica scorsa abbiamo festeggiato l’ 80 compleanno di tuo padre chiedendo di apparecchiare un posto anche per te. Ci sei mancato Nino, ti ricordo sempre mentre guardi il mare… Sei rimasto al mondo per un periodo troppo breve ma hai lasciato un’impronta indelebile. Buon compleanno Nino. La tua mamma e il tuo papà”.

Luciano Mirone