Caro Antonio Ingroia, qualche giorno fa è uscita la notizia che la Procura della Repubblica di Palermo ha fatto scattare un’inchiesta per peculato nei tuoi confronti. L’accusa ritiene che con i soldi della Regione Sicilia – di cui sei dipendente seppure temporaneo, dato che il governatore Crocetta ti ha nominato amministratore di Sicilia e-Servizi – tu abbia alloggiato parecchie volte in alberghi a cinque stelle categoria lusso, pranzato e cenato in ristoranti di lusso, pur avendo diritto per legge solo ai rimborsi di viaggio. Tu controbatti dicendo che la nuova normativa estende questa possibilità anche al vitto e all’alloggio, e che la differenza – nel caso in cui al ristorante hai ospitato degli amici – l’hai sempre pagata di tasca tua.
Intendiamoci: in un contesto fatto di ladrocini di Stato, di sprechi, di connivenze, di stragi e di delitti impuniti, la tua vicenda muove più al sorriso affettuoso che all’indignazione. Ma è strumentalizzabile. Appunto per questo – lo diciamo con la benevolenza e il rispetto che meriti – ci permettiamo di dire che non bisogna prestare il fianco ai detrattori.
Ti auguriamo di chiarire presto le tue ragioni, ma riteniamo che il punto non sia questo. E non riguarda “solo” quel che prevede la legge. C’è un problema di comportamento che – a prescindere dal Codice – a nostro avviso dovrebbe essere improntato più sulla sobrietà e meno sulla sontuosità, per la semplice ragione che quando di mezzo ci sono dei soldi pubblici l’opinione pubblica si incazza. Ed è portata a generalizzare, a semplificare, a dimenticare. Una cosa che quando si diventa punti di riferimento bisogna tener presente, perché la politica vive di segnali.
Abbiamo aspettato tre giorni per scrivere questo articolo, volevamo avere un quadro più chiaro della vicenda: riteniamo che un caso come il tuo non vada trattato con superficialità. Avremmo fatto la stessa cosa con altri personaggi che stimiamo (pensiamo a don Ciotti, a Caselli, a Orioles, a Gino Strada, a Salvatore Borsellino), per la complessità che caratterizza il rapporto fra l’evento e il personaggio coinvolto. Storie del genere non possiamo permetterci di farle finire nelle grinfie dei cialtroni annidati nella palude mefitica dell’intrallazzo politico: sembra di vederli, fermi sulla riva del fiume, ad attendere…
Ecco perché per comportamento “più sobrio” intendiamo un modo più misurato di gestire i soldi pubblici e un modo diverso di dare l’esempio rispetto a certi personaggi.
Nelle varie interviste che hai rilasciato, hai detto che la tua carica di amministratore di Sicilia –e Servizi ti consentiva di utilizzare quelle cifre. Aspettiamo il pronunciamento dei magistrati, ma pur ammettendo che sia come dici, ripetiamo che il punto non è questo.
Il punto è che ti chiami Antonio Ingroia, sei stato un grande magistrato, hai messo sotto accusa – e i vari gradi di giudizio spesso ti hanno dato ragione – consistenti pezzi dello Stato deviato attraverso i processi Dell’Utri, Andreotti, Rostagno, Trattativa, De Mauro, Cuffaro, e tanti altri; e oggi come avvocato hai deciso di rappresentare coraggiosamente la famiglia di Attilio Manca mettendoti contro quei “poteri forti” che te l’hanno giurata.
Proprio per queste ragioni, tanti ti considerano un uomo di Stato, di quello “Stato della legalità” di cui molti vanno orgogliosi, perché tu lo Stato – a differenza di altri – lo hai difeso e lo difendi coi fatti rischiando in prima persona, ieri come oggi.
Ricordo quando, nel 2012, venisti a presentare a Palazzo delle Aquile (sede del municipio del capoluogo siciliano) il libro sui cento giorni del generale Dalla Chiesa a Palermo. Ancora eri in magistratura, stavi portando avanti l’inchiesta Trattativa, e ricordo di non averti mai visto così ansioso e inquieto: dicevi che certa politica, a cominciare dai vertici, ti faceva la guerra, impedendoti di lavorare con serenità. Poco tempo dopo decidesti di svestire la toga e di entrare in politica, l’unico modo – secondo te – per continuare il lavoro precedente, ma con strumenti differenti, l’unico modo per uscir fuori dall’incubo dell’isolamento. Personalmente credo che un magistrato non debba entrare in politica, ma nel tuo caso e nel caso di altri valorosi tuoi ex colleghi, non mi sono mai permesso di giudicare, perché conosco i drammi umani causati da un sistema che non vuole essere scalfito, e le pene che si passano – per averlo percepito dai tuoi discorsi – nel momento in cui un giudice decide di processare i potenti. Appunto per questo la tua storia ti impone di diversificarti dagli altri non commettendo certe ingenuità, che diversamente non saprei definire.
Per uomini come De Gasperi o Pertini la semplicità e la dignità di un albergo a tre o a quattro stelle era un valore. Tu fai parte della corrente di pensiero che ama la sostanza più che la forma, ed è un pensiero che abbiamo il dovere di rispettare. Anche gli uomini appena citati amavano la sostanza, ma amavano anche la forma, perché quando si è simboli forma e sostanza spesso sono la stessa cosa. Un caro saluto.
Luciano Mirone
Caro Luciano, come sempre la tua misura ed onestà mi trovano al tuo fianco.