Colpo si scena. Totò Riina si è pentito. Non di essere mafioso, ma  di avere espresso la sua disponibilità a parlare e a rispondere alle domande dei magistrati e degli avvocati di Palermo nell’ambito del processo trattativa. Dice di stare male e di avere un problema. Evidentemente si tratta di malattia e di problema molto recenti, visto che solo lo scorso 31 gennaio, alla fine del dibattimento, il boss corleonese (in video conferenza dal carcere di Parma dove si trova detenuto) ha detto espressamente di voler parlare. Peccato che ormai si era a fine udienza e il presidente della corte, pur prendendo atto della richiesta pervenuta tramite l’avvocato Giovanni Anania (legale di Riina), ha rinviato l’esame al 16 febbraio.

Di che tipo di “malattia” e di “problema” si tratti non è dato sapere. Chissà perché – il 31 gennaio – il coup de théâtre se lo è riservato per fine giornata, quando sapeva che il suo interrogatorio sarebbe slittato. Chissà perché ora cambia idea e decide di tornare a fare quello che ha sempre fatto: star zitto. Chissà cosa è successo in questi nove giorni di “riflessione” interiore ed esterna. Interiore dell’animo di Riina. Esterna di eventuali terze persone che non sono in carcere. Fatto sta che il boss ha fatto una clamorosa marcia indietro.

Pochi, dopo la sua volontà di sottoporsi a verifica, prevedevano che il boss dei boss avrebbe “saltato il fosso”, pochi pensavano che un super capomafia come lui, con decine di omicidi e qualche strage sulla coscienza, sarebbe passato dall’altra parte. Tutti si aspettavano che il 16 febbraio avrebbe mandato messaggi, ma nessuno credeva ad un dietro front così repentino, che può non essere casuale.

Chissà se esiste un nesso con quanto accaduto ieri, quando ignoti individui sono penetrati nello studio palermitano degli avvocati di Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo, ed hanno trafugato un vecchio portatile nel quale erano contenuti tutti gli atti riguardanti i processi nei quali il supertestimone è impegnato, lasciando al loro posto altri oggetti di un valore senz’altro superiore (ad  esempio un computer del costo di 5mila euro). Evidentemente i “ladri” non avevano bisogno di soldi.

Ora gli inquirenti sono al lavoro per individuare – attraverso le immagini captate dalla telecamera – gli autori dell’insolito furto. Ventiquattro ore dopo, Totò Riina ha deciso di portarsi nella tomba i suoi inconfessabili segreti di Stato.

Luciano Mirone