Cinquantacinque. Questi i comuni siciliani sciolti per infiltrazioni mafiose negli ultimi venticinque anni (dal 1991 al 2016). A detenere il triste primato è la provincia di Palermo con 24 casi, poi Catania (8), quindi Agrigento (7), Trapani (6), Caltanissetta e Messina (4), Ragusa e Siracusa (1).

I dati – al netto dei comuni che, pur meritando uno scioglimento, hanno concluso regolarmente la legislatura – ci offrono un quadro a tinte fosche sui legami fra mafia e politica. E ci dicono che la provincia di Palermo – malgrado l’insediamento di sindaci che nell’ultimo quarto di secolo hanno amministrato secondo i principi della legalità – conferma una tradizione secolare che mai, a livello statale, si è ritenuto di debellare. L’ultimo comune italiano, in ordine di tempo, sciolto per infiltrazioni mafiose è Corleone. Il provvedimento risale allo scorso agosto.

Segue distaccata di molte posizioni la provincia di Catania, a conferma della penetrazione di Cosa nostra nella parte occidentale della Sicilia, quella ritenuta fino all’inizio degli anni Ottanta la zona più impermeabile dl punto di vista mafioso. Quella etnea supera addirittura tre province storicamente famose in Sicilia occidentale (Agrigento, Trapani e Caltanissetta), per lo stretto connubio fra mafia e politica.

Il municipio di Barcellona Pozzo di Gotto (Me). Sopra: Corleone (Pa)

Un’altra sorpresa in negativo è la provincia di Messina, che eguaglia quella nissena per numero di comuni sciolti per infiltrazioni mafiose (4). Anche in quell’area il fenomeno è relativamente recente, sia per la presenza della mafia di Tortorici, sia soprattutto per quella di Barcellona Pozzo di Gotto: paradossalmente quest’ultimo comune non è mai stato sciolto, malgrado la commissione prefettizia insediatasi alcuni anni fa per verificare l’esistenza del fenomeno abbia stilato una relazione molto allarmante sulla situazione del Consiglio comunale. Ultime in classifica le due “roccaforti” della “Sicilia babba” un tempo indenne dalle infiltrazioni mafiose: Ragusa e Siracusa. Non che la mafia nell’ultimo quarto di secolo non abbia intaccato anche queste due province, ma i dati ci dicono che il fenomeno non è centrale come in altri luoghi. Sarà una coincidenza, ma la provincia di Ragusa è prima in Sicilia come reddito pro capite.

I dati forniti dal Tribunale di Palermo sono stati resi noti ieri dal centro studi Pio La Torre durante una conferenza stampa tenutasi a Villa Niscemi, sede di rappresentanza del Comune di Palermo.

Malgrado i numeri forniti, la Sicilia su circa 190 casi registrati in tutta Italia, risulta terza come percentuale di Comuni sciolti per mafia, a dimostrazione degli spostamenti degli interessi criminali registrati dopo le repressioni seguite alle stragi del 1992.

La prima è la Campania (36,20 per cento), la seconda è la Calabria (32,20 per cento), terza appunto la Sicilia (24,90 per cento). Segue, molto distaccata, la Puglia (3,20 per cento), quindi le altre regioni italiane (con un’incidenza del 3,60 per cento).

Nel corso dell’incontro è stato detto che dal 2012 al 2016 i reati contro la pubblica amministrazione sono più che raddoppiati. Negli ultimi cinque anni i procedimenti davanti ai Gip sono raddoppiati (da cento a duecento), ma meno di cinquanta sono arrivati a processo.

L’iniziativa è stata promossa per prevenire i fenomeni di corruzione all’interno della pubblica amministrazione ed ha visto la partecipazione di Leoluca Orlando, sindaco di Palermo, Vito Lo Monaco, presidente del centro studi Pio La Torre, Salvaotte Sacco, esperto di economia statistica Salvatore Sacco e  Franco Garufi del direttivo del centro studi.

Oscillanti le denunce in tutta Italia che riguardano peculato, malversazione, corruzione e concussione.

Luciano Mirone