Il leader ambientalista di Agrigento Giuseppe Arnone sarebbe vittima di una svista giudiziaria. Questo, in parola povere, il contenuto della motivazione del Tribunale del Riesame di Palermo che ha annullato l’ordine di custodia cautelare in carcere per una estorsione che l’avvocato penalista – secondo l’accusa – avrebbe compiuto nei confronti della collega Francesca Picone. E invece – dice tranchant il Riesame – “il reato di estorsione non c’è”.

Lo scorso 12 novembre Arnone è stato arrestato con l’accusa di avere intascato un assegno di 14mila Euro, che secondo i sostituti procuratori di Agrigento Carlo Cinque e Alessandro Macaluso (il Gip Francesco Provenzano ha firmato la custodia cautelare in carcere), avrebbe costituito “la prima di due rate di una tangente di 50mila euro che Arnone avrebbe chiesto a Picone per non alzare clamore mediatico su una pregressa vicenda giudiziaria che vedeva la donna imputata per irregolarità nei confronti di una sua cliente, successivamente assistita proprio da Arnone”.

Dopo quattro giorni passati in carcere, il leader di Legambiente è stato posto agli arresti domiciliari con “divieto assoluto di comunicare con l’esterno”.

Aspri i botta e risposta fra accusa e difesa. “La minaccia estorsiva – scrivono gli avvocati dell’ex consigliere comunale – individuata nella pressione mediatica esercitata o esercitabile dall’avvocato Arnone, è smentita dalla corrispondenza per pec, intercorsa tra le parti”. “Un documento artatamente predisposto da Arnone”, risponde la Procura.

Caustico il Riesame nel motivare la decisione di scarcerazione del presidente onorario di Legambiente: “Una condotta così veicolata e una richiesta di denaro avanzata e soddisfatta con assegni circolari, per altro posta in essere da un avvocato penalista, non appare certo univocamente sintomatica del dolo richiesto dalla norma”. In altre parole, i giudici affermano che gli argomenti dell’accusa non appaiono così robusti da giustificare la custodia cautelare. E per suffragare la loro tesi citano gli articoli 69, 393 e 393 comma I del Codice penale.

Secondo i magistrati agrigentini che si sono occupati del caso, l’ex consigliere comunale era colpevole in quanto, secondo loro, sarebbe stato colto in flagrante dagli agenti della Squadra mobile mentre, sul pianerottolo dello studio della collega, stava intascando la tangente. Arnone invece fin dal primo momento si è professato innocente dicendo che quegli assegni erano legittimi e non frutto di una richiesta estorsiva. Il Tribunale del riesame ha dato ragione a quest’ultimo.  Che, appresa la notizia, ha dichiarato: “Il Riesame impartisce una vera e propria lezione di Diritto privato al giudice riprendendo esattamente gli argomenti civilistici da me usati quando ero in carcere: ovvero che il gip ignora totalmente la norma del codice civile che disciplina la transazione e che la prevede anche per prevenire liti o contenziosi ed evitare che arrivino avanti ad un Tribunale. Non è esagerato far notare che il Csm dovrà a questo punto anche occuparsi ed in modo penetrante della preparazione giuridica del giudice Provenzano, e dei pm Cinque e Macaluso. Ignorando regole basilari che conoscono pure i miei ex allievi del ragioneria, mandano la gente in galera”.

Angelo Conti