C’erano, migliaia di anni fa, le glaciazioni, lunghissimi periodi in cui l’avanzare dei ghiacciai istaurava una sorta di “condizionamento coatto” nella vita delle specie viventi sino a latitudini vicine all’equatore. Inverni interminabili che paventavano lunghi letarghi senza risvegli, la scomparsa di specie animali, una mobilità limitata e, in generale, una condizione di remissività che vincolava le abitudini dei nostri antenati.

Oggi, l’idea di tempi siffatti, tra l’andirivieni delle folle alle uscite delle metro, il caos cittadino, la tensione delle City verso l’approvvigionamento di lauti profitti e la disperazione di chi fatica, alla fine del mese, a non umiliare, in termini di sopravvivenza, la sua dignità, si aliena dal pensiero dell’uomo del post villaggio globale, dai centri alle periferie sino all’ultimo avamposto di borgo rurale.

Eppure, in tempi d’internet, un lungo inverno sembra “ibernare”, da qualche tempo, la coscienza nazionale nella morsa di un immobilizzante freddo glaciale.

Il pensiero critico, quello divergente, l’opinione di massa, la critica, lo sconcerto, il fervido biasimo, se da un lato serpeggiano in ogni dove come reazione all’ennesima vergogna perpetrata dalla casta e ai crimini raccontati dalla cronaca, dall’altro si traduce in un’arrendevole inerzia o, nella peggiore delle ipotesi, in una compartecipata volontà, dinanzi a futili interessi di ritorno, di mantenere lo status quo.

Nulla cambia! Tutto peggiora!

È come se un uditorio commosso e dolente, dinanzi al tragico racconto di un familiare vittima di mafia, finita la manifestazione e superata la condizione dello scoramento, andasse a supportare, con il suo consenso elettorale, il sistema masso-mafioso della sua città o, nella pratica quotidiana, applicasse modelli di pensiero e comportamentali antitetici ad una legge morale che pure esiste dentro di noi. Se il paragone, e ne dubito, può sembrare una forzatura esemplificativa, è un dato di fatto che la nostra coscienza, nella contingenza storica che sta vivendo il Paese-Italia, appare insabbiata sotto una coltre di assuefazione che allontana questa martoriata penisola dagli standard di nazione civile e democratica al pari delle moderne democrazie dell’Europa settentrionale.

Paradossalmente, la “glaciazione”, il vortice temporalesco insiste attorno al Mediterraneo e non nelle terre vicino al polo.

Il vallo dell’inciviltà, schermato da disinteresse, sembra delimitato dalle Alpi. I barbari, a nord, si sono ingentiliti, la società nata dalle macerie dell’Impero, di contro, appare in tempi di Stazione Orbitante in piena decadenza. E questa non è irriverenza.

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La classe politica, che tanto indigna e allontana la base elettorale, almeno sino adesso e con l’eccezione di qualche palesato voto di protesta ridimensionato a “populismo”, è ancor di più “incoraggiata” e sostenuta da un elettorato che (sempre con le dovute eccezioni) sembra considerare il presente come un tempo gradito in termini di qualità di vita; i misfatti socio-politici come episodi lontani dal proprio naso; il futuro “rubato” ai propri figli come indifferente problema da rimandare, domani, alla loro capacità di arrangiarsi. Se anche questa può apparire argomentazione precipitosamente irriverente, è un dato di fatto che il biasimo per l’andazzo negativo delle cose non si traduca, in tempi di baratro quotidiano, in una rivoluzione culturale né “arancione”. È un dato di fatto, nondimeno, che la coscienza italiana, percepita l’indignazione, non eserciti comunque al meglio la sovranità popolare che sembra, di contro, immobilizzata da qualche ingranaggio mentale e dalla temibile persuasione che nulla cambierà mai.

Eppure al momento, né all’orizzonte, non s’intravedono cariche istituzionali alla stregua di un popolarissimo Sandro Pertini, Istituzione che sprezzava la disonestà dilagante e incoraggiava le genti a partecipare al pubblico dibattito, o di un Berlinguer che issava convintamente la bandiera della questione morale nel momento in cui iniziò a essere seminato in serie il seme delle future tangentopoli. La voce dell’Istituzione, come calco, aderiva perfettamente con quella della coscienza nazionale delle classi popolari e operaie.

Oggi, la priorità dell’agenda di governo, riflesso della coscienza istituzionale, è la Riforma Costituzionale paventata, con tono sibillino, dai proponenti come punto di non ritorno da cui dipenderà la democrazia, gli investimenti stranieri, il futuro di questa nazione, la chance ultima delle sue generazioni. Ogni voce contraria sarebbe, secondo loro, frutto di mal di pancia populisti o slogan di detrattori (per una parte dei quali, comunque, è appurato il bivaccare nelle mense dell’inaffidabilità politica) che vorrebbero lasciare il Paese imbrigliato nella palude dell’immobilismo competitivo.

È una questione, dunque, di assoluta priorità per debellare i mali nazionali!

E l’altra coscienza? Quella ineducata? Quella che non vede, non sente e non parla nello stesso condominio, nella stessa strada e nella stessa città dinanzi a inquietanti casi di cronaca? Quella delle scorciatoie a ogni costo? Quella che predica bene nelle formali apparizioni e pugnala alle spalle con lo stiletto inquinato di fango e pettegolezzo? Quella che si lamenta ma non produce? Quella assenteista del cartellino timbrato per tutti e che affronta sfacciatamente le telecamere poste sopra il badge coprendosi, al pari di un assassino, il viso? Quella dell’indifferenza dinanzi al pestaggio di madre e figlio in metropolitana? Quella del meglio defilarsi? Quella che mette in cattiva luce e diffonde in rete? Quella che fa subdola disinformazione? Quella che premia la moglie dell’universitario o il figlio del magnifico rettore alimentando la fuga di cervelli? Quella che porta i figli dei boss in tv? Quella intellettuale che si prostituisce al governo? Quella dei ministri della Giustizia che in nome della ragion di Stato mortificano la dignità di chi aspetta da troppo tempo verità? Quella di qualche procuratore che violenta la legge morale e quella dei Codici per lo stesso motivo e per manifesta pusillanimità (antitesi dei Livatino, Scopelliti e tutti gli altri colleghi barbaramente trucidati)?

È, semplicemente, la coscienza di una nazione indifferente e nascosta dietro il muro di un’ingiustificabile assuefazione ai cancri socio-politici, immobile come mandria che aspetta l’ordine della transumanza senza tempo e senza destinazione.

Inizierà a organizzare sit-in e circondare i presidi ministeriali, emulando i girotondini di qualche tempo fa o, nella migliore delle ipotesi, indottrinata da qualche leader cui stanno a cuore i principi della democrazia al pari di John Lennon e Yoko Ono ai tempi della guerra in Vietnam, scioglierà il gelo del pensiero che ha congelato, dopo averla ripetutamente stuprata, la dignità del cittadino civile della moderna democrazia?

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Se le masse non interiorizzeranno, utilizzandola saggiamente e con arguta consapevolezza, quell’arma rappresentata da una matita e una scheda dentro uno scatolone semibuio chiamato urna, per sbaragliare i furbetti della politica, iniziando, pian piano, a manovrare quel prototipo di uomo che incarna diritti e doveri realmente esercitati, la sterilizzazione della coscienza si tradurrà nell’inarrestabile processo, già in atto, del tramonto della civile democrazia, in una nazione in cui vige la regola dell’autoconservazione del sistema-potere.

A qualsiasi livello, in qualsiasi situazione, aborrita la logica della convenienza di ritorno, il cittadino deve anzitutto allenare, per poi esercitare con umiltà, la sua capacità di discernere il valido dall’incompetente, l’apparenza dalla sostanza, il vero dalla diceria, l’informazione vera da quella pilotata, e pretendere standard di qualità da III Millennio.

Deve trovare nella cultura un’alleata fidata, l’alimento completo per nutrire il suo scarso senso critico, aprendo squarci di visibilità nelle nebbie della sottocultura zavorrante, attestandosi sui dignitosi parametri della media europea.

L’indifferenza uccide l’emancipazione!

Mark Twain asseriva, a proposito d’irriverenza, se queste opinioni vi sono apparse tali, che essa è “il paladino della libertà e la sua unica difesa certa”.

Siate onestamente irriverenti, allora, se auspicate un minimo di dignitosa libertà.

L’esempio lo dareste ai vostri figli, quelli che filmano l’amica in difficoltà e che piangono nei camerini dei negozi perché non si riconoscono nel fisico da modella.