E’ un magistrato garbato e inflessibile, al punto da mettere la lotta alla mafia e alla corruzione al primo posto del suo impegno professionale. Sessant’anni, catanese, dallo scorso 29 giugno, Carmelo Zuccaro, è Procuratore della Repubblica di Catania.

Laureatosi nel 1978, è in magistratura dall’80. Nell’82 è a Caltanissetta, dove si occupa, fra l’altro, dei processi sulle stragi di Capaci e di via D’Amelio. Negli anni Novanta viene trasferito nel capoluogo etneo e, attraverso la Dda (Direzione distrettuale antimafia), approfondisce le conoscenze di Cosa nostra catanese. Lavora moltissime ore al giorno, il tempo libero lo dedica alla famiglia e alla lettura dei classici, soprattutto russi e francesi. “Non amo i salotti”, dice di sé. “Frequento diversi colleghi e funzionari delle Forze di polizia”.

Serenamente fa i nomi dei potenti della città e lancia stilettate alla politica, fatto inaudito fino a qualche decennio fa, quando i procuratori della Repubblica – al cospetto di delitti clamorosi come quello del giornalista Pippo Fava – negavano l’esistenza di Cosa nostra in città.

Dott. Zuccaro, quali sono a Catania i rapporti fra criminalità organizzata e Pubblica amministrazione?

“Esistono in modo evidente. Il processo Iblis (il più grosso procedimento fatto dalla Procura negli ultimi quindici anni) dimostra in maniera chiara il livello che si riesce ad instaurare tra Cosa nostra e certi settori importanti dell’imprenditoria e del mondo politico. Non dimentichiamo che è ancora in piedi il processo nei confronti dell’ex presidente della Regione siciliana Raffaele Lombardo”.

Esistono legami fra Cosa nostra e l’attuale Consiglio comunale di Catania?

“Attraverso le segnalazioni della Commissione regionale antimafia e di alcuni collaboratori di giustizia, ci stiamo occupando dei collegamenti di taluni consiglieri comunali (anche dei settori della maggioranza) e le organizzazioni mafiose”.

Tempo fa c’è stata una audizione del sindaco di Catania Enzo Bianco in Commissione parlamentare antimafia in merito ai rapporti con l’editore del quotidiano “La Sicilia”, Mario Ciancio (accusato, secondo i magistrati catanesi, del reato di concorso esterno in associazione mafiosa).  

“Ci sono delle indagini in corso. So che il sindaco Bianco ha chiesto di essere sentito dall’Antimafia. Ovviamente non posso parlare dell’esito dell’inchiesta. L’esplorazione di questi collegamenti rappresenta, per quanto riguarda la nostra Procura, uno dei momenti prioritari”.

La mafia in quali settori tende ad infiltrarsi?

“Nella grande distribuzione, nei trasporti e nell’edilizia. Non vi sono le figure di un tempo come i Cavalieri del lavoro, ma vi sono tante figure su cui dobbiamo accendere i riflettori”.

Come fa Cosa nostra ad infiltrarsi nella Pubblica amministrazione?

“Ci riesce con una certa facilità. E spesso condiziona i risultati elettorali. Questo porta alcuni amministratori a non rispondere alle esigenze dello Stato, ma alle esigenze di altre entità, con la conseguenza che abbiamo una Pubblica amministrazione che bandisce appalti inutili per i cittadini, ma funzionali alle imprese controllate dalla mafia”.

C’è poi la corruzione, altra faccia della medaglia rispetto al rapporto mafia-politica.

“Un altro fenomeno gravissimo, che ha pesanti ricadute nella società”.

Da parte della politica c’è davvero l’intenzione di sconfiggere la mafia?

“E’ una domanda probabilmente improponibile a un magistrato. L’azione di contrasto, in questi decenni, è stata molto discontinua. Ci sono stati anni in cui abbiamo registrato un maggiore impegno, ma anni in cui questa spinta è sembrata attenuarsi. L’impegno maggiore lo si profonde dopo qualcosa di grave (la strage Chinnici, l’omicidio dalla Chiesa, gli eccidi di Capaci e di via D’Amelio). Non abbiamo bisogno di misure o di leggi straordinarie, ma solo di un impegno straordinario”.

Col solo contrasto giudiziario si potrà vincere la guerra al crimine organizzato?

“Mai”.

Quali altre risposte ci vorrebbero?

“Di carattere sociale ed economico”.

Quali sono i mali che affliggono la giustizia catanese?

“Il sottodimensionamento della pianta organica del Tribunale e della Procura. Catania è la sesta Procura d’Italia. C’è una evidente sproporzione fra ciò che facciamo e le forze di cui disponiamo. Le richieste di misure cautelari presuppongono l’attualità del pericolo: avere un’ordinanza di misura cautelare a distanza di sei mesi o di un anno, potrebbe costituire un problema gravissimo”.

Perché?

“Una buona sentenza che interviene a molta distanza dal fatto, è una sentenza che non raggiunge il suo scopo. Questo rischia di attenuare notevolmente l’efficacia del nostro lavoro. Le organizzazioni criminali, soprattutto quelle più strutturate, si devono colpire in maniera continuativa, sennò diamo loro il tempo di ricostituirsi e di produrre danni enormi alla società. Se non rispondiamo prontamente a questo, non ce la faremo mai a vincere questa battaglia”.

Quali danni si provocano alla società?

“A Catania abbiamo una imprenditoria vivace, parte della quale è sana, ma è schiacciata dall’inefficienza della macchina burocratica e dall’arroganza delle organizzazioni mafiose. L’imprenditoria sana non sempre riesce a far fronte alla concorrenza sleale delle imprese colluse. Quindi assistiamo a fenomeni di chiusure e di fallimenti. L’imprenditoria sana rischia di sparire”.

Diverse Famiglie mafiose sono in concorrenza, ma non c’è guerra di mafia in città.

“C’è il patto di evitare manifestazioni clamorose che possano sensibilizzare l’opinione pubblica e l’apparato repressivo, ma le tensioni interne ci sono”.

Nitto Santapaola comanda ancora dal carcere?

“Ha un’età ormai avanzata, e anche dei problemi di salute. Se parliamo di strategie di carattere generale, sono ancora convinto che Santapaola continui ancora a far comprendere qual è il suo modo di intendere l’attività che deve svolgere a Catania. Quando si deve passare al particolare (infiltrare il settore economico, stipulare dei patti con degli amministratori pubblici) credo che Santapaola non sia più in condizione di intervenire”.

Santapaola ha mai pensato di pentirsi?

“Mai. Neanche quando gli è stata uccisa la moglie”.

Il pagamento del “pizzo” è esteso in città?

“Assolutamente sì. Si paga poco, ma pagano in tanti in base al proprio reddito. E’ in aumento l’usura, connessa con la crisi economica. E poi c’è il fenomeno del recupero crediti, affidato alle organizzazioni mafiose”.

Cosa pensa dell’informazione catanese?

“In una città importante come Catania non dovrebbe esistere un unico mezzo di informazione. Questo impedisce una informazione pluralista. Quando un’analisi è orientata in una sola prospettiva, purtroppo, i fatti non si comprendono come sarebbe necessario”.

Mario Ciancio. Foto: corriere.it

Mario Ciancio. Foto: corriere.it

Quali sono le positività di questa città?

“Catania ha grandi risorse. La più importante? Il catanese. Abituato da secoli a sopravvivere anche a cattive amministrazioni, con ingegno e con capacità di intrapresa, è riuscito sempre a svettare. Quando altrove il catanese viene messo nelle condizioni di affermarsi in maniera lecita, riesce a farsi valere. Nella sua città questo non sempre avviene. Ma fra le risorse di questa città mi sia consentito di ricordare i magistrati che compongono questo Ufficio, giovani e meno giovani, molto motivati e preparati, di cui vado orgoglioso”.

Luciano Mirone