Una storia italiana. Che ha provocato il licenziamento di 600 operatori di un call center di Paternò (Catania), con lo sfondo di una politica che in questa storia c’è e non c’è, appare e scompare, come in un gioco di ombre cinesi.

A denunciarlo è Loredana Saccone, 40 anni, ex dipendente della struttura e componente della Cgil. Per undici anni Loredana ha lavorato in un capannone destinato a call center, dove una parte dei 600 addetti aveva il compito di rispondere al telefono fornendo informazioni su pratiche Inps e Inail relative a disoccupazione, pensioni, iscrizioni colf; mentre un’altra parte faceva e riceveva telefonate per servizi Wind, Sky, ecc.

“Fino al 2011 è andato tutto bene”, dice l’ex operatrice. “Nel 2012 si è verificato un corto circuito che ha mandato in tilt l’organizzazione: l’assunzione improvvisa di cento lavoratori che una struttura come quella non poteva contenere. Singolare coincidenza: nello stesso periodo a Paternò eravamo in campagna elettorale per le amministrative”. Un’elezione locale, a fronte di un appalto nazionale. Pensare che per le elezioni di una cittadina siciliana di 50mila abitanti, si scomodi la politica nazionale appare un controsenso. “Sono d’accordo”, dice Loredana. “Infatti mi limito a cogliere una concomitanza, solo questo, certamente non l’unica”. Cioè? “Chiariamo innanzitutto una cosa: il call center nasce nel 2005 con una precisa connotazione politica: il responsabile si chiama Raspagliesi ed è il cognato dell’ex ministro della Difesa Ignazio La Russa (governo Berlusconi)”.

E qui, pur restando nel campo delle mere coincidenze, bisogna dire che Paternò, nella Seconda Repubblica, è stata feudo elettorale di La Russa, che l’ha ereditato dal padre Nino, senatore del Movimento sociale italiano per diverse legislature, e negli anni Quaranta segretario politico del Partito nazionale fascista di Paternò. Nell’anno in cui nasce il call center, altra coincidenza, il sindaco della città è Pippo Failla, da sempre fedelissimo della famiglia La Russa.

Ma come inizia questa storia? “Nel 2005”, seguita la componente Cgil, “Inps e Inail istituiscono il bando per la realizzazione di un call center. Ad aggiudicarselo è Poste italiane che, attraverso Transcom, concede il servizio in subappalto all’azienda Midica di cui, come detto, è responsabile il cognato di La Russa. Per localizzare la struttura viene scelta Paternò, che opera nell’intero territorio nazionale. Nel 2009 Midica sparisce e subentra la Qè di Brescia”.

Quindi durante la campagna elettorale del 2012 non è la Midica di Raspagliesi (che allora opera con 60 addetti) a fare le nuove assunzioni, ma la Qè. “Certamente”, dice la signora Saccone. “Non so perché improvvisamente Midica passi la mano a Qè, e neanche i termini del passaggio, so che nessuno ha vigilato su questi cambi di gestione”.

“Nel 2015”, prosegue Saccone, “ci dicono che ci sono dei cali di chiamate, un fenomeno strano, perché il cittadino accede costantemente al servizio informazioni Inps-Inail. Improvvisamente si parla di esubero di personale e dopo un po’ veniamo messi per un anno in cassa integrazione (800 Euro al mese). Alla fine, pur di conservare il posto di lavoro, abbiamo lavorato perfino gratis (giugno-settembre 2016). Quindi il call center chiude i battenti”, causando scioperi, cortei e proteste del personale. Tutto inutile.

Qual è l’impatto psicologico di una persona di quarant’anni, che ha messo su famiglia e che improvvisamente, dopo undici anni, non prende uno stipendio? “Ho partorito a giugno e non ho percepito neanche l’indennità di maternità. A un certo punto non credi che sia tutto finito, non ti rassegni, e invece, come in un incubo, ti passano davanti certi fotogrammi: la multa di sei milioni di Euro perché non era stata versata l’Iva, i mancati versamenti di contributi, a fronte di sprechi assurdi come 300mila di Euro pagati per consulenze. Immaginate seicento lavoratori, molti dei quali monoreddito, che vivevano solo con lo stipendio del call center, che improvvisamente si ritrovano in mezzo alla strada. Il mio compagno è dovuto andare a lavorare in Spagna, manda dei soldi ma è dura. E però dobbiamo ritenerci fortunati. Diverse famiglie non hanno neanche i soldi per fare la spesa”.

Luciano Mirone