È un Beppe Arnone deciso a dare battaglia dopo una detenzione di quattro giorni disposta dal Gip di Agrigento Francesco Provenzano, su richiesta dei sostituti procuratori Carlo Cinque e Alessandro Macaluso. Una detenzione stigmatizzata dal Tribunale del Riesame di Palermo (di cui tre giorni fa sono uscite le motivazioni) che ha annullato l’ordine di custodia cautelare in carcere per una estorsione che, secondo i giudici del capoluogo siciliano, il leader ambientalista non ha commesso. Per la Procura e il Gip, invece, l’avvocato penalista avrebbe estorto del danaro ad una collega, mentre la polizia, appostata a pochi metri, lo avrebbe colto in flagrante. Conclusione: “Il reato di estorsione”, secondo il Riesame, “non c’è”. Arnone è stato scarcerato.

“E’ avvenuto – dice l’ex consigliere comunale di Agrigento – quello che secondo le leggi di uno Stato democratico sarebbe dovuto avvenire. Adesso cercherò di verificare alcuni indizi molto corposi per stabilire se chi ha operato contro di me all’interno del Palazzo di giustizia ha violato le leggi”.

Come si ricorderà, il 12 novembre scorso Arnone è stato arrestato con l’accusa di avere intascato un assegno di 14mila Euro, “la prima di due rate – a parere della Procura e del Gip – di una tangente di 50mila Euro che l’ambientalista avrebbe chiesto alla collega Francesca Picone per non alzare clamore mediatico su una pregressa vicenda giudiziaria”.

Caustico il giudizio del Tribunale del Riesame: “Una condotta così veicolata e una richiesta di denaro avanzata e soddisfatta con assegni circolari, per altro posta in essere da un avvocato penalista, non appare certo univocamente sintomatica del dolo richiesto dalla norma”. Traduzione: le prove non erano sufficienti per un arresto.

Lo stesso Arnone aveva dichiarato ai magistrati che “quella somma è il frutto di una transazione documentata da messaggi di posta elettronica certificata e stipulata tra le parti” per evitare la costituzione di parte civile in un processo che vedeva coinvolta l’avvocatessa Picone.
Arnone ad Agrigento è un personaggio amato e odiato. Amato per le sue battaglie trentennali contro l’abusivismo edilizio e i poteri forti, al punto da risultare, alcuni anni fa, il primo degli eletti al Consiglio comunale (di cui è stato presidente), e nel 1993 addirittura “sindaco per una motte”, quando fu dichiarato vincitore sul rivale Calogero Sodano e il giorno dopo si risvegliò perdente per pochissimi voti.

I suoi numerosi libri editi da Legambiente (di cui è presidente onorario) in città vanno a ruba, addirittura più di quelli di Camilleri. L’ultimo uscirà fra poco: Giuseppe Arnone in carcere, magistratura infetta. Un titolo che spiega in modo chiaro la sua guerra contro una parte del potere giudiziario agrigentino.

Odiato per una reazione uguale e contraria rispetto a chi lo ama, Arnone viene visto con fastidio non solo dal potere, ma anche da quella parte di opinione pubblica che giudica “esagerati”, “istrioneschi”, “fuori luogo” certi atteggiamenti, come quando inscenò una protesta vestito da sceriffo con il megafono in mano o quando si fece portare via con la forza dalle Forze dell’ordine perché era accorso in difesa di alcuni abusivi.

Nel corso di questa intervista telefonica, l’ambientalista spara a zero contro i magistrati che hanno disposto il suo arresto, assumendosi ovviamente le responsabilità di quel che dice, e parlando di un presunto complotto ai suoi danni. Difficile stabilire chi ha ragione: da un lato i maggiori quotidiani nazionali come il “Correre della sera” e “Repubblica” che ne criticano l’atteggiamento, paragonando Arnone al peggiore “professionismo dell’antimafia”; dall’altro il suo avvocato Arnaldo Faro che al “Fatto quotidiano” dichiara che la vicenda dell’arresto dell’ex presidente del Consiglio comunale è “molto inquietante”.

“Non dobbiamo dimenticare – dice Arnone – che il pubblico ministero che ha disposto inizialmente il mio arresto è da oltre un anno in violentissimo contrasto con me per delle indagini a carico di un alto dirigente regionale vicino ad al ministro Alfano”.

Avvocato Arnone, in passato siamo venuti ad Agrigento per fare delle inchieste, lei ci ha fatto omaggio dei suoi libri, dove lei non risparmia attacchi verso la classe politica e la magistratura locale. Che succede nella sua città?

“Lo scontro fra me e un settore della magistratura agrigentina nasce cinque anni fa a Catania, quando riesco ad ottenere dal Consiglio superiore della magistratura la decisione di rinnovare i vertici giudiziari del capoluogo etneo con la nomina a capo della Procura della Repubblica di Giovanni Salvi, con la conseguente bocciatura di Giuseppe Gennaro”.

Una storia che parte da lontano. Giuseppe Gennaro (alto magistrato catanese deceduto un anno fa) è stato al centro di controversi giudizi da parte di settori importanti della magistratura e della classe intellettuale catanese. Suo principale accusatore, l’ex presidente del Tribunale dei minorenni di Catania, Giambattista Scidà, che – con una serie di esposti al Csm – puntava il dito contro il collega per la vicinanza, a suo dire, di questi con un esponente del clan mafioso dei Laudani, da cui Gennaro, nel comune di San Giovanni la Punta, aveva acquistato un appartamento. Ma diversi sono anche i giudizi positivi: a cominciare da quello del sindaco di Catania, Enzo Bianco, che lo definisce un “galantuomo”, mentre altri ne riconoscono i meriti: primi fra tutti quelli di avere istruito i processi contro i Cavalieri del lavoro, contro l’ex governatore della Sicilia Raffaele Lombardo e contro l’editore del quotidiano “La Sicilia” Mario Ciancio.

In ogni caso, dopo aspre polemiche, il Consiglio superiore della magistratura, alcuni anni fa, decise di nominare un magistrato “non catanese” ai vertici della Procura (il romano Giovanni Salvi), non promuovendo Gennaro.

Dunque?

“Dunque io insisto nel dire che Gennaro non era un personaggio così adamantino”.

Che c’entra Gennaro con Agrigento?

“E’ sempre stato il punto di riferimento dei comportamenti discutibili (per usare un eufemismo) del procuratore aggiunto di Agrigento, Ignazio Fonzo” (citato sempre dal “Corriere” come il destinatario delle “denunce infondate” di Arnone, ndr.).

Pesante quello che dice.

“La gestione giudiziaria agrigentina è caratterizzata da un altissimo livello di favoritismi, storture, prescrizioni ed altro nei confronti di determinati potentati politici di prim’ordine”.

La Valle dei templi con lo sfondo dei palazzi ad Agrigento. Sopra: Giuseppe Arnone (Foto Agrigento notizie)

Dopo tutte le sue denunce, il Csm è intervenuto ad Agrigento?

“Mi sono scontrato contro la cordata più potente della magistratura siciliana, una delle più potenti d’Italia: quella che faceva capo, appunto, a Gennaro, quella che alcuni anni fa ha espresso lo stesso Gennaro come presidente dell’Associazione nazionale magistrati (Anm). Adesso finalmente il Csm ha dato dei segnali molto netti, nominando come procuratore capo Luigi Patronaggio, totalmente distante dalle logiche correntizie e dai rapporti di potere che hanno finora caratterizzato i vertici della Procura di Agrigento”.

Ma anche nel caso di Patronaggio la vicenda appare alquanto controversa. Da un lato Arnone ne tesse le lodi, dall’altro lo stesso magistrato (basta leggere i giornali usciti dopo l’arresto di Arnone) si assume la paternità della custodia cautelare nei confronti del leader di Legambiente, parlando di prove robuste contro di lui.

“Ci sono degli aspetti che vanno chiariti”, seguita l’ex “sindaco per una notte. L’operazione arresto-Arnone scatta nel momento in cui Patronaggio prende un aereo per recarsi a Roma. Patronaggio è stato costretto a seguire l’intera vicenda a distanza e, a mio avviso, è stato ingannato”.

Cosa le ha lasciato, dal punto di vista umano, questa vicenda?

“Ho sempre vissuto sapendo quel che adesso raccontano i pentiti: e cioè che nell’ultimo quarto di secolo ho rischiato la vita. Il capo di Cosa nostra di Agrigento (oggi collaboratore di giustizia) Maurizio Di Gati racconta di ricorrenti discussioni dentro la mafia, dove circolava sempre una domanda: Arnone può fare più danno da eroe morto (definizione testuale del pentito) oppure da vivo? Quindi diciamo che non mi sono mai impressionato di una prospettiva carceraria. In cella ho letto qualche buon libro, ho dormito parecchio, e ho preparato la mia difesa. Adesso bisogna chiarire se c’è stato qualcuno che ha rassicurato la mia accusatrice dicendole che le calunnie contro di me avrebbero avuto buon esito”.

Davvero pensa a un complotto?

“Il sospetto di essere in presenza di una combine è fortissimo. Ci sono prove decisamente false contro di me. Un pubblico ministero normale lo avrebbe appurato in sole due ore”.

Cosa risponde a chi dice che Arnone un tempo era contro l’abusivismo edilizio e ora difende gli abusivi?

“Sono sempre contro l’abusivismo edilizio, ma sono per il rispetto delle leggi nei confronti di tutti, anche di coloro che sono abusivi. Ad Agrigento abbiamo una chiara situazione di violazioni di leggi. Non si capisce perché a Licata si demolisce, mentre a Favara, a Canicattì e a Palma di Montechiaro si continua a costruire in barba a ogni regola”.

Luciano Mirone