Un pugno di terra dell’antica Grecia ti fa sprofondare nel sogno bellissimo e magico della prima olimpiade della storia. Uno stadio. Il monte sacro che lo sovrasta. La spianata bianca di duecentododici metri per ventotto dove gli atleti fanno la corsa e anche il pugilato, la lotta e il lancio del disco. Pochi metri più in là l’ippodromo (distrutto dallo straripamento del fiume Alfeo) per la corsa dei cavalli.

Alcuni resti dell’antica Olimpia, dove si svolsero le prime olimpiadi della storia. Sopra: lo stadio con la pista (foto Giuseppe Mirone)

Sulle tribune – oggi trasformate in una collinetta erbosa che attornia la pista – cinquantamila persone provenienti dalla Grecia e dalla Magna Grecia fanno il tifo per gli atleti della propria città, ma con il dovuto rispetto per gli avversari. Perché qui, a Olimpia, centro situato nella costa occidentale del Peloponneso, per la prima volta nella storia si svolgono i giochi olimpici. Per onorare Zeus, il più importante degli dei. Ecco perché il rispetto per gli avversari (nemici negli altri giorni dell’anno) deve essere massimo.

A dominare sul primo stadio della storia è il monte Krono – dal nome del padre di Zeus – con la fitta vegetazione di pini, di cipressi, di querce, di ulivi, di ginestre, di fichi, di alloro che si erge maestoso sulla valle.

Lo stadio panetenaico di Atene dove nel 1896, grazie al barone francese Pierre De Coubertin, si è svolta la prima olimpiade dell’era moderna. Le tribune sono state costruite con la stessa pietra dei templi del Partenone

È il 776 avanti Cristo. Da quel momento i giochi diventeranno una tradizione che durerà mille anni. Si concluderanno nel 393 dopo Cristo, dopo l’avvento dell’impero romano. Hanno il fine di pacificare, una volta ogni quattro anni, le Città-Stato eternamente in guerra, donde il nome di “tregua olimpica”.

Un pugno di terra bianca raccolta dalla pista degli atleti è adesso racchiusa nella tua mano ed è come se quella storia ti appartenesse. Ne saggi la consistenza e il peso, ne scruti la morbidezza, la vischiosità e la ruvidezza coi polpastrelli: è come se il pulviscolo rimasto fra le dita penetrasse nei pori e si metabolizzasse. Niente-si-crea-Niente-si-distrugge-Tutto-si-trasforma. Anche la terra di quasi tremila anni fa calpestata da centinaia di piedi venuti fin qui a gareggiare. Che si mescola con la tua anima fino a diventarne parte. Quella terra che ha visto il sorriso e il pianto, l’euforia e la collera degli atleti e dei tifosi, convinti che se una guerra non puoi vincerla con le armi, puoi sempre vincerla con lo sport, quella terra che ha visto le preghiere verso Zeus, per il quale a Olimpia, diversi secoli prima, era stato eretto il tempio più imponente della Grecia, con quella statua considerata una delle sette meraviglie del mondo: la gigantesca scultura in oro e avorio realizzata da Fidia. Del resto, Olimpia è piena di opere d’arte realizzate dai più grandi artisti dell’antichità.

La statua di Atena Nike ritrovata fra i resti di Olimpia (foto Giuseppe Mirone)

È così che a un certo punto i re più potenti della Grecia decidono di organizzare le gare sportive più importanti del mondo antico. E di organizzarle proprio qui per onorare il padre di tutti gli dei e per consentire agli atleti del mondo greco di giungere fin qui attraversando le città nemiche senza correre pericoli. Un rito che si svolge in una Terra dove, per mille anni, lo sport è allo stesso livello della scultura e della pittura, del teatro e della poesia, della letteratura e della filosofia e dove soltanto una entità è superiore agli eroi: gli dei. Mille anni che misurano la grandezza di una civiltà di cui non sempre l’uomo moderno riesce a rendersi conto. Non una civiltà basata solo sulla violenza della guerra, ma sull’armonia fra lo spirito e il corpo.

Queste pietre sparse lungo i resti di Olimpia ci dicono molto, parlano, sono la testimonianza degli altari dedicati agli dei (Zeus ed Era) e degli impianti riservati alle rappresentazioni sportive. E il motivo c’è: prima e dopo di ogni gara bisogna sfilare al cospetto divino per ottenerne l’approvazione. Per questo l’odio, nei giorni della “tregua”, si trasforma in rivalità, senza degenerare nella violenza.

Dal pulviscolo di terra che ora cosparge le tue mani è come vedere le stille di sudore degli atleti della prima olimpiade della storia, di questi ragazzi aitanti (fra questi Filippo da Buciatide, definito da Erodoto “il più bell’uomo della Grecia”) arrivati a Olimpia, che per trenta giorni risiedono nel ginnasio e si allenano in palestra: se c’è bel tempo corrono e fanno gli esercizi nel cortile, se piove stanno al coperto. E poi i massaggiatori che cospargono i muscoli dei partecipanti con un unguento a base d’olio d’oliva mescolato con erbe aromatiche che profumano quei corpi che devono misurarsi nelle gare. Gare condizionate dalle guerre e che racchiudono l’alterità dei vincitori e la frustrazioni dei perdenti, ma anche lo spirito di rivincita di questi ultimi che vogliono rivalersi attraverso lo sport.

I resti del Ginnasio di Olimpia

Fra decine di atleti scorgi Milone da Crotone (famosa colonia della Magna Grecia), straordinario lottatore, sei volte campione olimpico e seguace del filosofo e matematico Pitagora. Un campione appartenente alla prestigiosa scuola crotonese da cui sono usciti atleti che alle olimpiadi primeggiano in diverse discipline. La delegazione di quel pezzo di Magna Grecia è costituita da elementi provenienti da Reggio, da Locri, da Caulonia, da Sibari, da Turi, dopo un viaggio estenuante e pieno di peripezie che ha comportato la traversata dello Jonio e del canale d’Otranto, fino all’arrivo in Grecia, l’attraversamento del Peloponneso e la risalita del fiume Alfeo. Sono giunti stremati: il mese di ritiro nel ginnasio li ha tonificati.

E poi scorgi da lontano il grande pugile Diagora di Rodi, e poi Theagenes di Thasos, fortissimo nella corsa e nel pancrazio, una via di mezzo fra la lotta e il pugilato. Quindi uno dei più grandi filosofi dell’antichità, Platone (il termine, coniato dal suo maestro di ginnastica, vuol dire “spalle larghe”: lui il realtà si chiama Aristocle) che non sta ingobbito sui libri, ma è prestante, ama il pugilato e la lotta. E’ un campione.

Il Cladeo, corso d’acqua che lambisce Olimpia. E’ un affluente del mitologico fiume Alfeo (foto Giuseppe Mirone)

Ai vincitori è riservata la corona d’ulivo o d’alloro (le fonti sono contrastanti). Questo a Olimpia. Nelle città di appartenenza dei vincitori sono riservati premi in danaro (si parla di cinquecento dracme), esenzioni fiscali, pasti gratuiti, un posto d’onore nell’esercito e alla corte del re. Privilegi che suscitano le ire di quei filosofi che, dopo una vita di studi, sono costretti a ridursi in stato di povertà.

Adesso, dopo la sfilata al cospetto degli dei, si accende il braciere del “Sacro fuoco” che apre ufficialmente i giochi. Gli atleti attraversano il tunnel di pietra che delimita l’area sacra dallo stadio, osservati dai giudici assisi nell’Esedra posta al centro della spianata. Sbucano nella pista. Cinquantamila persone vanno in visibilio. Le loro voci si levano verso il cielo.

Luciano Mirone

 

Riferimenti bibliografici: Plinio, Diodoro Siculo, Strabone, Erodoto, Pausania, Aristofane, Dionigi di Alicarnasso, Platone, Sofocle, Euripide.

E poi:

-Garbarino G., Letteratura latina. Excursus sui generi letterari

-Filippo Violi, deliapress.it
-G. Maselli – M. T. Cicerone – Orazione in difesa di Lucio Flacco Ed. Marsilio
-Amalia Margherita Cirio. Olimpiadi: una passione lunga tre millenni
L.Lehnus, Pindaro, Olimpiche, (traduzione, commento, note e lettura critica), Milano, 1981
M. Pescante – G. Colasante, Olimpiadi antiche, Enciclopedia Treccani.