Sono stati i tre vincitori della 13^ edizione del Premio internazionale di iiornalismo “Maria Grazia Cutuli”, i protagonisti della mattinata di studio svoltasi, sabato mattina, nell’aula magna “Santo Mazzarino” della Facoltà di Lettere dell’Università di Catania.

Introdotti dal direttore del dipartimento di Scienze umanistiche, Maria Caterina Paino, e coordinati  dal giornalista Antonio Ferrari, Teodoro Andreadis Synghellakis (vincitore della sezione Stampa Estera), Carmela Giglio (vincitrice della sezione Stampa Italiana) e Laura Bonasera (vincitrice della sezione “Giornalista siciliano emergente”) hanno tenuto delle lectio magistralis  sul giornalismo ai ragazzi dell’Ateneo catanese.

Il giornalista greco Teodoro Andreadis Synghellakis. Sopra: un momento della lectio magistralis

Un momento di riflessione che, come di consueto, ha  preceduto la cerimonia ufficiale di premiazione svoltasi sabato sera a Santa Venerina (Ct), il paese di Maria Grazia Cutuli.

“Il giornalismo impone la necessità di testimoniare quello che si vede con i propri occhi, di porre attenzione ai dettagli, di incontrare gli altri. Occorre parlare con la gente, non avere paura quando si scrostano le bugie attorno alla verità. Anche se questo costa un prezzo. Ma si salva la coscienza e la nostra dignità di giornalisti”. Queste le parole che Antonio Ferrari ha utilizzato per introdurre Carmela Giglio – storica inviata  di Tg1 e Gr1 e da settembre corrispondente per la Rai da Turchia, Iraq, Siria ed Europa meridionale  – che ha trattato il tema “Il giornalismo e la forza del racconto e della testimonianza”.

“Quando fai l’inviata come lo era Maria Grazia Cutuli ti confronti con quello che c’è davanti ai tuoi occhi. Non ci sono fake news. Non ci sono tentativi di ammaestrare la realtà. Invece spesso anche tra noi giornalisti vedo la tendenza a starcene in una bolla che confonde la realtà e le sue rappresentazioni. I giornalisti veri sono come i dinosauri: destinati all’estinzione. Non mi sento tale. Ma avverto la gravità di una mutazione genetica che sta investendo la nostra professione. Il web ci dà l’illusione di essere tutti artefici dell’informazione”.

La giornalista Carmela Giglio

Una professione, quella del giornalista, non facile che fa i  conti con elementi come la crisi, i tagli ai bilanci delle aziende editoriali. “Le strategie di marketing – ha avvertito Carmela Giglio – finiscono per avere la meglio sulle strategie editoriali, come se si dovesse vendere il prodotto ‘informazione’. Il mio messaggio è di tornare all’essenza del giornalismo che richiede di tornare a fare gli inviati, a parlare direttamente con la gente comune,  ad ascoltare le loro storie, a guardarsi attorno. A raccontare storie di vita vera”.   Storie vere come quella di Miriam, una donna cristiana, profuga, incontrata dalla Giglio tre anni fa nel Kurdistan iracheno. “Miriam era vittima due volte: una prima volta perché era profuga  e una seconda volta perché era sola e quindi esclusa dai legami tribali. In questi luoghi se si è fuori dalla famiglia si è fuori da tutto. Parlando con lei che mi mostrava la foto della madre accudita fino alla fine, ho raccolto il dolore e l’afflizione di quella gente”. Carmela Giglio parla anche degli  incontri avuti al tempo delle scorse elezioni americane con gli afroamericani: “Mi avevano preannunciato che non avrebbero votato per Hillary  Clinton perché espressione del partito democratico. La vittoria di Trump per me non è stata una sorpresa. L’incontro con quella gente mi ha fatto capire quale sarebbe stato l’esito del voto, anche se gli exit poll sostenevano il contrario”.

Teodoro Andreadis Synghellakis, – corrispondente da Roma della radiotelevisione greca Alpha, dell’agenzia di stampa Amna e del quotidiano Efimerìda Syndaktòn – greco di origini, ma nato in Italia da genitori fuggiti dalla dittatura greca dei colonnelli, nell’ambito della sua relazione dal titolo  “Migranti e crisi economica, sfide d’Europa”  ha analizzato la “tremenda crisi economica” attraversata dalla Grecia che  “a causa del suo grande debito pubblico ha comportato tagli alla spesa pubblica. Oggi registriamo una leggere discesa del debito e una ripresa del Pil (prodotto interno lordo), ma non dimentichiamo che si tratta di una crisi dalle proporzioni immani che ha determinato la conseguenza di far piombare  il 35,70 per cento della popolazione in condizioni di povertà. La crisi ha colpito tutti ma si è abbattuta con più forza sulla generazione dei ventenni e dei trentenni rendendo loro impossibile progettare qualunque futuro. Molti di loro sono andati via”.

Di “Nuove schiavitù, antiche tragedie: il dovere della denuncia” si è occupata  la giornalista Laura Bonasera, 33 anni, di Enna, ma trapiantata a Roma, che fa parte della squadra giornalistica di Nemo-Nessuno escluso, in onda il giovedì su Rai2. In precedenza ha lavorato per Piazza Pulita (La7), Parallelo Italia e Agorà Estate (Rai3). La giovane cronista crede in un giornalismo “immersivo” che le ha permesso di non fermarsi alla semplice notizia. “Ho ripreso – ha raccontato Bonasera – i campi in cui gli indiani vengono sfruttati come lavoratori in nero. Per questo motivo sono stata minacciata e aggredita insieme alla mia troupe. Ho trascorso un giorno a filmare la vita degli indiani che ogni giorno vengono sfruttati nei campi dell’agro pontino, e in particolare nella città di Sabaudia. Il servizio non è andato giù ai proprietari dei terreni, che davanti alla realtà prima mi hanno minacciata e poi aggredita, rompendo un pezzo della telecamera. Nonostante le minacce, il ‘pezzo’ è stato portato a termine e presentato durante la trasmissione Piazza Pulita in onda su La7. Nel servizio si racconta la vita degli indiani che, arrivati in Italia dopo aver pagato tra i 10mila e i 15mila euro per un viaggio, dopo anni di sfruttamento e lavoro nero, non hanno i soldi per poter saldare il debito”.

La giornalista Laura Bonasera

“Utilizzando la tecnica del ‘fingersi qualcuno’  – ha aggiunto Bonasera –  ho finto di cercare lavoro e così ho svolto un’inchiesta sui cassaintegrati delle industrie di divani di Matera assunti in nero dai contoterzisti cinesi  e fatti lavorare per tredici/quattordici ore al giorno con un misero salario che sommato alla cassa integrazione assicurava lo stesso reddito ma senza nessuna tutela e garanzia; mi sono anche occupata di maternità surrogata fingendomi una donna che non potendo avere figli ne voleva avere un figlio con l’utero in affitto. Ho scoperto che – anche se si tratta di tecnica vietata in Italia – ci sono tante donne disposte a ricorrervi pur di avere un figlio e che dietro c’è una organizzazione clandestina che lo fa dietro lauti compensi”.

Rosalba Mazza