Il nome di Carmelo Quagliata non dice nulla ai più, era solo un ragazzo di appena 15 anni ucciso dai soldati tedeschi durante la ritirata del 1943. Pur presente nell’Atlante Nazionale delle stragi nazifasciste, s’era persa la memoria del suo martirio. Qualche anno fa qualcuno ha deciso che Carmelo Quagliata aveva il diritto sacrosanto al ricordo, che fosse come una piccola riparazione anche se ad un torto che non potrà mai essere sanato, un conforto, una carezza. La persona che ha deciso questo è Ida Bonfiglio. Ecco il suo racconto intitolato “Le scarpe”.

La foto intera di Carmelo Quagliata poco tempo prima di essere ucciso. Un dettaglio dello scatto fotografico

Un paio di scarpe da uomo sbucavano dalla terra e la ragazzina ne rimase terrorizzata e scappò via. I crucchi nascondevano le mine nelle scarpe, merce rara e preziosa durante la guerra, così i poveri malcapitati, colpevoli d’essere sporchi italiani traditori, raccogliendole ne rimanevano uccisi o orribilmente mutilati.

Questo temeva la ragazzina, per questo corse via a riferire che no, non poteva raccogliere la frutta in quel caldo 2 settembre del 1943 e che l’Arciprete Crapio non avrebbe avuto la sua frutta. Le mine, lì c’erano di sicuro, le mine lasciate dalle SS della divisione Goering che in fretta e furia avevano lasciato il paese di Calatabiano e tutta la Valle dell’Alcantara braccati dagli Alleati; ma non prima d’aver seminato soprusi d’ogni genere, ruberie e morte in ogni piccolo centro toccato dalla loro ritirata.

L’Arciprete Giuseppe Crapio corse nel frutteto di contrada Trefilippi per accertarsi della presenza dei pericolosissimi ordigni, si accorse però che le scarpe non contenevano mine ma che appartenevano ad un cadavere sommariamente sepolto lì. Fu dato l’allarme e, chiamato a identificare i poveri resti, il professor Pero, constatò con immenso dolore che si trattava del suo figlioccio Carmelo Quagliata.

Di lui si erano perse le tracce dal 12 agosto, quando era stato visto per l’ultima volta nelle mani delle SS a “lavorare” per loro proprio in quel campo.

Carmelo, con la famiglia sfollata sulle colline, era sceso in paese a controllare la loro casa, la casa del Capostazione di Calatabiano, che aveva più volte subito le incursioni dei soldati crucchi che si aggiravano come predoni in giro per case e campagne, arraffando oggetti, animali da macellare e cibo. Gelosissimo dei suoi libri e delle sue cose, Carmelo temeva che i tedeschi avessero portato via altre cose dalla casa di famiglia. Non sapeva che proprio a casa avrebbe sorpreso i tedeschi e che questi avrebbero portato via la sua giovane e preziosa vita e strappato l’anima alla sua famiglia.

Carmelo alcuni anni prima di essere trucidato

Lo portarono in un campo poco lontano dalla stazione, in Contrada Trefilippi, e fattogli scavare una fossa sommaria, lo uccisero con due colpi di pistola alla testa.

Il padre di Carmelo, il Capostazione Angelo, prima della fuga dei tedeschi, era andato a parlare con un loro ufficiale chiedendo notizie del proprio figlio, ricevendone rassicuranti notizie sulla sua incolumità, ma Carmelo era già stato trucidato nel frutteto poco lontano…

Dopo la partenza dei tedeschi avevano cercato disperatamente il loro Carmelo, per ogni strada e contrada, impazziti da un terrore che ogni genitore comprende ma che non osa neanche immaginare.

Carmelo era un bellissimo e coraggioso ragazzo di 15 anni, brillante liceale, di cui conosciamo l’indole seria e l’insofferenza alle prepotenze dai racconti della sua mamma ai famigliari. La nipote Mariella Grimaldi, figlia dell’unica sorella di Carmelo, Stella, mi racconta d’aver sempre visto sua nonna Maria chiusa nel suo immenso dolore, come dentro un bozzolo di pece. Con l’urlo straziante e disumano che uscì dal suo petto, prima di perdere i sensi, alla notizia del ritrovamento del corpo di suo figlio, forse l’essenza stessa della vita l’aveva lasciata per sempre, povera madre.

A noi che osserviamo lontani nel tempo, la perdita del suo Carmelo rappresenta plasticamente, in tutto il suo orrore, la banalità del male.

Un male che l’umanità non riesce a sradicare dal suo DNA. I tedeschi seminavano mine, le milizie nell’ex Jugoslavia in ritirata, le mine le nascondevano nei giocattoli, nei videoregistratori che trovavano nelle case degli sfollati, quelle con i VHS dei cartoni animati…

Adesso vediamo in tv, magari mentre pranziamo, o comodi sul divano, ospedali e scuole bombardati nell’indifferenza dei cosiddetti “grandi della terra”, neonati che muoiono di fame, bambini fatti a pezzi perché qualcuno vuole un pezzo di terra non suo. Come fanno i mafiosi, del resto, che non hanno mai esitato ad uccidere i bambini.

Allora che dobbiamo fare? Ci dobbiamo arrendere? Ci voltiamo dall’altra parte finché non ci ammazzano i figli? Piangiamo? Ci dobbiamo disperare?

Io dico che ci dobbiamo incazzare, che dobbiamo urlare ed anche piangere per ogni ingiustizia, che dobbiamo lottare con i mezzi che abbiamo, che ci dobbiamo battere ognuno come può nella sua piccola vita, e che dobbiamo farlo per non essere moralmente complici silenti e ciechi della perdizione dell’umanità.

RICORDARE, ricordare è un mezzo; è uno strumento potente la MEMORIA, ricordare a chi vuol dimenticare, a chi si rifiuta di vedere le onde della storia lambire sempre uguali le nostre vite, di generazione in generazione, sempre a portare la stessa disumana follia.

L’urlo di mamma Maria, l’urlo di una Maria di duemila anni fa, l’urlo delle madri ucraine, l’urlo delle madri di Gaza, della Siria, di Srebrenica, dello Yemen, l’urlo di ogni madre in ogni angolo della terra e in ogni tempo.

Fermatevi. Chiudete gli occhi. Lo sentite? Fa tremare l’intero pianeta e noi fingiamo che la terra stia ferma.

Fare memoria è anche e soprattutto trasmetterla alle nostre giovani generazione, affinché sappiano riconoscere i segnali del male, e quale miglior modo se non una borsa di studio?

L’assessora alla Pubblica istruzione Vanessa Gambacurta, gli studenti Domenico Pennisi e Valerio Samperi, vincitori della Borsa di studio “Carmelo Quagliata”, il vicesindaco Stefano Brianni, Ida Bonfiglio ideatrice del premio, Mariella Grimaldi e la dirigente scolastica Lucia Rigano

Piccola, piccolissima, ma pesantissima per nome e motivazioni. Per il terzo anno è stata consegnata la Borsa di studio “Carmelo Quagliata” che mi onoro di consegnare ai nostri studenti che si distinguono nello studio della matematica e delle materie scientifiche, che ultimano il percorso nel nostro Istituto “Macherione – G. Galilei”.

Quest’anno, specialissimo, la consegna è avvenuta alla presenza della nipote di Carmelo, signora Mariella Grimaldi, del marito Orazio e della cugina, la professoressa Annamaria Marchese, il cui nonno era quel professor Pero di cui si è parlato nel racconto.

Un altro momento della manifestazione

I vincitori per l’anno scolastico 2023/24 sono:

Valerio Samperi, IIIA del Macherione di Calatabiano, e Domenico Pennisi, IIIE del Galilei di Piedimonte Etneo.

Nel corso della premiazione, avvenuta durante la festa di fine anno, il vicesindaco del Comune di Calatabiano, Ing. Stefano Brianni ha annunciato che, ottenuto un finanziamento, la Via Stazione di Calatabiano sarà riqualifica e diverrà Via Carmelo Quagliata, proprio lì dove lui ha vissuto e dove la sua vita fu strappata dal male assoluto.

Ida Bonfiglio