A 15 anni dalla sua morte voglio ricordare Angelo D’Arrigo con le parole che gli dedicai nel mio “Sicilia esoterica” perché non ne troverei di migliori per ricordarlo, seppur insufficienti alla sua grandezza: “L’uomo uccello” e il volo di ritorno alle origini.

Aveva espresso le sue ultime volontà ai compagni di volo: che fosse cremato e le sue ceneri fossero disperse in volo sui crateri e i gioghi etnei, dove sciogliere il proprio io col fuoco e il ghiaccio nell’assoluta unità del Tutto, facendosi lui stesso Natura. La sua storia è quella di un’iniziazione, un percorso di superamento delle più rischiose prove fisiche, mentali e morali, di purificazione delle scorie delle vite precedenti, di liberazione dai condizionamenti che falsano il giudizio della mente. Una trasformazione che conduce a una rinascita.

Dedalo l’ingegnoso gli mise le ali per evadere dal Labirinto del limite, essendo precipitato in mare l’improvvido figlio Icaro.

Gli angeli del cielo vollero che si chiamasse come loro per la sua capacità di penetrare nei profondi misteri e scoprire la luce divina che si cela nel cuore di ogni essere umano.

Antonio Nicoloso, “l’Empedocle reincarnato”, gli insegnò quali erano le rupi dell’Etna da cui lanciarsi in volo mentre il vulcano era in piena eruzione. Leonardo da Vinci gli insufflò il sogno di riuscire a far volare un uomo su ali d’uccello appendendolo a una grande Piuma, spostando ogni giorno più in là le frontiere dell’umano.

Gli insetti gli insegnarono la teoria secondo cui non è il peso e la forma del corpo in rapporto alla superficie e al profilo alare a permettere o a impedire a un essere vivente di volare. Altrimenti, secondo le leggi dell’aerodinamica, il calabrone non potrebbe restare sospeso in aria… «Eppure ci sta. Qualcuno ha trovato una risposta.Tutto dice che il calabrone non potrebbe volare. Ma lui ci riesce perché non lo sa!».

E lui, Angelo D’Arrigo (Catania, 1961-Comiso, 2006), campione di volo sportivo, o meglio, di volo iistintivo, ed etologo, rese possibile il sogno di Leonardo di fare volare la Piuma e insegnò a volare alle gru siberiane, rimaste orfane prima dello schiudersi delle uova.

La sua breve vita è il racconto di una metamorfosi. E “Metamorphosis” fu il suo progetto di uno studio analitico delle tecniche di volo dei più grandi rapaci dei cinque continenti: dalle aquile delle Alpi ai rapaci dell’Himalaya, dagli avvoltoi dell’America Latina a quelli australiani, con cui Angelo impara a convivere e di cui impara a capire il linguaggio.

Angelo D’Arrigo mentre insegna il volo agli uccelli

Parlare la lingua degli uccelli è prerogativa dei più importanti iniziati, mistici, profeti: si narra che Cristo bambino parlasse il linguaggio degli uccelli, come san Francesco o Gilgamesh o l’Illuminato Budda, perché ciò non vuol dire solo comunicare con i pennuti, ma allude alla capacità di parlare con gli esseri spirituali appartenenti alle sfere superiori dell’esistenza, nei cieli degli angeli e degli arcangeli. E Angelo nella teologia gnostica sarebbe l’uomo che giunge a una tale conoscenza

di sé da riuscire a svincolare il proprio “pneuma” divino dai lacci del mondo materiale. Quale sia il senso dell’essenza angelica l’esistenza stessa di questo Angelo può farcelo curiosamente scoprire, insieme alla sua morte e alle modalità del suo “seppellimento”.

Tutti quelli che lo conobbero ne ricordano la dote particolarissima di essere un grande maestro, di riuscire a guidare chi lo seguiva alla scoperta delle misteriose risorse riposte nell’intimo di ciascuno, senza imposizioni, solo con la persuasione della parola e l’esempio.

Da qui l’aura di creatura angelica di cui egli, conformemente al suo nome, fu circonfuso alla sua morte, avvenuta in seguito a un banale incidente nei cieli di Comiso, a bassa quota, a bordo di un piccolo veicolo guidato da un amico, lui che era stato il primo uomo ad aver sorvolato l’Everest, la montagna più alta della terra con un deltaplano appositamente studiato, l’ala “Stratos”, realizzando il volo libero più alto della storia!

Lui che aveva sorvolato l’Aconcagua, la vetta regina della Cordigliera delle Ande, la seconda catena più alta al mondo, superando l’ipossia non con il respiratore, ma con una tecnica yoga denominata “pranayama”. Lui che era stato il primo uomo a percorrere in volo libero, senza ausilio di motore, il Sahara e ad attraversare la Siberia.

Lui che volava come gli uccelli con gli uccelli! A Parigi, dove visse fino al 1984 e dove si laureò all’Università dello Sport, lo chiamavano “le funambule de l’extrême”: era stato uno spericolato questo ragazzo che amava gli sport estremi e che aveva visto più volte la morte con gli occhi almeno in due incidenti col deltaplano.

Ma anche da questi aveva saputo imparare perché a contatto con la sofferenza fisica o psicologica, rimetti talmente in questione te stesso e i tuoi valori che, forse, la persona che sei all’uscita, se ne esci, non è più quella che è entrata. Nulla avviene per caso. Ogni episodio ha avuto un senso. Dopo l’incidente di gara di alcuni anni prima, la mia disavventura libica mi ha spinto a mettere a fuoco ciò che volevo davvero. E mi ha insegnato a non disperare mai, una lezione che mi è stata poi di grande aiuto in molte circostanze, nelle solitudini della tundra siberiana come durante la lunga marcia verso l’Everest.

Tornato con i miti genitori, sempre in pena per la vita del figlio ma mai invadenti o determinati a fargli intraprendere una carriera meno rischiosa, consapevoli che il volo fosse lo scopo della sua esistenza, rimase affascinato dai suoi luoghi d’origine, alle falde dell’Etna, dominio dei quattro elementi primordiali empedoclei: acqua, terra, fuoco, e qui decise di istallarsi e creò una scuola di volo libero, l’“Etna Fly”, trasformato oggi in un centro per la pratica di sport estremi, il “No Limits Etna Center”. Divenuto campione mondiale di volo, però, nella sua coscienza ha inizio una metamorfosi travolgente e profonda. E così, dopo anni di agonismo in volo libero e due titoli mondiali con il deltaplano a motore, decide di allontanarsi dal circuito delle competizioni, abbandona gare e cronometri per dedicarsi al volo libero e concepisce e realizza imprese che vanno ben al di là del semplice evento sportivo, dedicandosi soprattutto all’emulazione del volo dei rapaci per la ricerca del volo istintivo e la reintroduzione di specie di uccelli migratori in via di estinzione, come le gru siberiane, il cui stormo guida, con il supporto di uno staff di biologi russi e americani, per 5300 chilometri.

Volare a occhi chiusi, senza riferimenti tecnologici, era per me passare dal volo matematico al volo istintivo. Dopo la fase delle competizioni ero passato a una fase di transizione, dedicata alla ricerca del record, dal confronto agonistico al superamento del limite […]. Avevo capito che bisogna prima superare se stessi.

La misura universale è anche misura personale. Così, spostando il mio interesse dal cronometro all’interiorità, cominciai a vivere pienamente la realtà filosofica del volo.

E mentre vola con gli uccelli nei luoghi più elevati verso i cieli di ogni parte del mondo, nel silenzio sterminato e assoluto delle vette più sublimi, dove l’individuo e la natura sono i soli protagonisti, si sente parte di un cosmo sacro, inalterato nei secoli, divino.

L’ampiezza degli spazi aerei – diceva – la libertà di non seguire un percorso stabilito da una strada e i tuffi in picchiata nel vuoto con le ali dispiegate a reggere il peso, le accelerazioni gravitazionali nelle virate, la terza dimensione… In me tutto tende all’aria.

Finché i miei piedi toccano terra fremo dal desiderio di librarmi. È come una febbre. Perché volare è uno sguardo alternativo sulla realtà che schiude la fantasia. Ma l’eroe contemporaneo si dà intanto a uno studio matto e disperato, specialmente degli scritti di Leonardo, il Codice di Madrid in particolare, e dimostra l’esattezza delle progettazioni aerodinamiche di Leonardo e del suo approccio intuitivo che condivide con la sua “guida”.

Così realizza e fa volare una “Piuma” leggerissima, identica nella struttura a quella di Leonardo, ma non nei materiali, che nel Cinquecento potevano essere solo il legno, il cuoio e la tela, bensì  utilizzando le tecnologie più avanzate e i materiali ultraleggeri del terzo millennio. E forse, allo stesso modo in cui procedeva il genio di Leonardo, aveva scoperto la formula della sapienza. Diceva infatti: Credo che la principale facoltà dell’essere umano sia quella di fare uso della propria intelligenza e fantasia; il connubio di questi due parametri fondamentali crea un’alchimia che può annullare il peso della terra come anche la leggerezza dell’aria. Questo significa che in realtà siamo noi gli artisti e gli artefici del nostro quotidiano e del nostro vissuto.

Umano, aveva imparato a superare i limiti dell’umano, le paure «che ci vietano il possesso della nostra esistenza ». Il germe della rinuncia non si dà mai facilmente per vinto – diceva. Come si combatte l’impulso a desistere? Con la determinazione. Un atleta che si imbatte in un’avventura non scevra di rischi ha messo a fuoco l’obiettivo nel mirino già molto prima di partire. È quella la motivazione che lo sostiene e che gli permette di andare avanti: il taglio del traguardo. Andare avanti, da guerriero, nonostante tutto. Anche quando ogni cosa sembra congiurare contro di te. Anche quando gli elementi, la tecnologia, l’universo intero sembrano essersi coalizzati per farti fallire. Per quanto mi riguarda è proprio in questi momenti che vengono fuori le energie migliori, quando sento che sta diventando difficile e che devo, più che mai, essere presente a me stesso, pronto a una decisione dell’ultimo istante.

Purché si proceda a tappe, a piccoli passi: È un approccio che mi deriva dalla mia esperienza dell’arrampicata sportiva. Quando sei ancora in basso, arrampicato a una parete, ti sembra quasi impossibile arrivare in cima. Ma se intanto avanzi di un metro, dopo ti porrai il problema del successivo e così via. Guardando soltanto a quello, mai alla cima lontana. Procedendo a piccoli passi, come in un labirinto, dove ogni svolta è fondamentale per trovare l’uscita.

Visse e morì all’unisono con la Natura che amava come una Grande Madre. Mi piacerebbe – ebbe a dire – riuscire a far passare diffusamente un messaggio di grande rispetto per l’ambiente. Spesso l’uomo si sente padrone dell’ambiente, padrone dell’aria che lo circonda. E questa è la peggiore conseguenza del fatto che le grandi Potenze hanno indotto il singolo a sentirsi proprietario dell’aria in cui abita e respira. Voglio sperare che nel futuro mio, dei miei figli, di tutti, questo modo di pensare possa essere ribaltato, e che le grandi Potenze possano anch’esse sentirsi ospiti di un ambiente magnifico, in un nuovo contesto nel quale poter vivere meglio domani e in cui l’ospite rispetta prima di tutto chi lo sta ospitando. Noi, ospiti della terra, dovremmo imparare a rispettare la nostra terra.

Profondamente umano, amò gli uomini e seppe comunicare e solidarizzare con loro senza  distinzione di lingua, cultura e stato sociale: Lo scambio culturale è uno degli aspetti che mi rimangono più cari dei miei viaggi in giro per il mondo. La comunicazione non è necessariamente un fatto verbale. Se con gli abitanti di Tozeur potevo parlare in francese, con i Tuareg potevo ricorrere ai gesti o ai disegni tracciati sulla sabbia, e a molti, molti sorrisi; eppure riuscivo a farmi intendere perfettamente.

Ma amò non meno la solitudine e il silenzio: Nei miei viaggi attraverso il mondo, i deserti, gli oceani, i mari, le montagne, ho avuto sempre momenti estremamente lunghi di solitudine. E la solitudine è il miglior modo per ritrovare se stessi.

Sono le situazioni ovattate a consentirti di far emergere quella parte di te che altrimenti sarebbe repressa o comunque sconosciuta. La prematura scomparsa gli impedì di arrivare alla conclusione delle sue ricerche.

Credo che l’uomo, a causa di interessi commerciali, di obiettivi bellici, sia andato troppo veloce nella ricerca del volo. Invece, a me piace pensare che manchi un’importante cartella in tutto ciò, quella legata al mondo della natura. Questo file l’uomo l’ha chiuso troppo in fretta, prima ancora di avere indagato a sufficienza; è passato subito alla conclusione per avanzare, arrivare più fresco e prima del nemico o dell’antagonista commerciale. Ebbene, in questi anni, la Nasa, cioè il più grande ente mondiale di analisi sull’aerodinamica, sui profili alari e su tutto ciò che concerne il volo, è giunta a una certezza: l’uomo può volare a mach 2, mach 3, due, tre volte e anche più della velocità del suono. Eppure non riesce a volare come volano le aquile, i falchi, cioè non riesce a fermarsi per aria. Un velivolo dell’uomo non riesce oggi a fermarsi per aria, se non facendo uso di attrezzature altamente sofisticate, non riesce a fare quello che fa nel semplice volo un’aquila: fermarsi per aria, osservare e poi eseguire lo spostamento secondo gli obiettivi prescelti. Quindi, non è vero che oggi l’uomo ha completato la sua ricerca sul volo: manca un pezzo. Io sto cercando di fare quello che senz’altro avrebbe tentato Leonardo da Vinci oppure Otto Lilienthal: riuscire a capire di più in merito alle basse velocità, riuscire a rendere il volo più istintivo, più animale, meno meccanico. Per questo sto cercando di ripercorrere il volo come se io stesso fossi un’aquila, addirittura il papà di un’aquila; sto tentando di entrare nel suo meccanismo di pensiero per fare più o meno quello che lei riesce a fare. Questa è la metamorfosi, come indica il nome stesso del progetto. Trasformazione. Ed evoluzione, perché trasformarsi significa evolvere, far uso di quanto sapevo prima per riuscire ad aggiungere cose nuove e progredire. La lunghissima storia dell’uomo è sempre stata caratterizzata dal sentimento dominante di fare proprie caratteristiche non peculiari al suo involucro fisico. Ce lo insegna il mito di Icaro, l’“uomo uccello”. Non è quindi per caso che tutta la storia degli uomini sia stata così saldamente legata alla storia della magia, sino a quando non furono inventati gli aerei e tutte le moderne tecnologie. Ma figure come quella di Angelo D’Arrigo sono la spia che qualcosa sta mutando: lo scienziato odierno, alla fine del suo processo di separazione, cerca di ricomporre l’atomo, torna a osservare la natura che lo circonda, riscopre la necessità dell’amicizia, della solidarietà e della poesia, vuole sentirsi parte del Tutto: un cammino antico e dimenticato, che può essere dell’uomo di oggi come dello stregone di ieri, ma questo non vuol dire che l’uomo torni indietro, anzi.

Molti mi chiedono che cosa mi spinga ad andare sempre oltre – diceva Angelo –. Non è il bisogno di misurarmi con i miei limiti, come a volte ho creduto. No, è qualcosa di più semplice e intimo: l’istinto di esistere nella natura a modo mio. Un istinto che mi tiene sveglio la notte, che mi illumina e mi entusiasma. Non seguirlo sarebbe tradire me stesso. Se riesco a sentirmi pienamente vivo soltanto immerso in spazi sconfinati, libero nell’aria sopra deserti o ghiacciai, vulcani o pianure, fiumi, mari, montagne, non è per qualcosa che cerco, ma per quello che sono. La mia vita, in fondo, è questo: un grande volo per tornare alle origini, a uno sguardo di gabbiano sulle falesie della Normandia

Marinella Fiume