Venerdì 27 settembre alle 17, nell’aula consiliare del Comune di Belpasso, si svolgerà il convegno “La viticultura storica e gli alberi monumentali nel paesaggio italiano”, cui prenderanno parte specialisti del settore fra cui il prof Alfio Bruno, i cui studi vengono approfonditi in tutto il mondo per l’ampio interesse che rivestono. Quello che segue è l’articolo di Carmelo Nicoloso, tra i massimi conoscitori del territorio etneo.

Quella della vite è la coltivazione legnosa più diffusa e rappresentativa nel nostro Paese, fortemente limitata dalla latitudine e dalle condizioni climatiche, per cui ampie fasce del nostro territorio risultano precluse alla pianta sacra ad Atena. Le viti, invece, crescono anche nelle vallate alpine, sulle pendici degli Appennini, nella nebbiosa Pianura Padana, sulle piccole isole preda dei venti, in terreni impervi di origine vulcanica, come quelli etnei. La vite è una pianta lianosa, volubile, straordinariamente plastica che ben si adatta alle diverse forme di allevamento, espressione di esigenze produttive ed ambientali diverse, nonché dei processi storici e culturali degli uomini.

Aspetti che toccano il cuore, suscitano emozioni ed ammirazione come le vecchie forme di allevamento della vite, i vigneti eroici aggrappati ai versanti con pendenze da capogiro, quelle sulle nere lave vulcaniche, le ultime vigne della montagna, retroguardie di un esercito in precipitosa ritirata.

Le grandi viti italiane, veri e propri patriarchi vegetali, abnormi nelle dimensioni, con una loro storia, un’identità forte quasi umana, a cui si lega uno straordinario interesse genetico ed agronomico in quanto, spesso, ultimi esemplari di varietà scomparse. Così come le rare viti selvatiche ancora presenti nel nostro Paese, i progenitori della pianta coltivata  che, nonostante tutto, riescono ancora a sopravvivere allo stato selvatico abbracciate ai grandi alberi delle ultime selve scampate alla distruzione. E ancora, i manufatti realizzati dall’uomo nei vigneti in funzione della pratica agricole, soprattutto della vendemmia e pigiatura delle uve. I palmenti, le vasche per pigiare l’uva scavate nella pietra proprio nel mezzo delle vigne. Si tratta di manufatti eleganti e funzionali nella loro semplicità, spesso antichissimi, risalenti persino al periodo greco o romano, oggi purtroppo abbandonati o nel più totale oblio.

Gli ultimi paesaggi viticoli tradizionali, la diversità, la diversità delle forme di allevamento, i palmenti scavati nella roccia o all’interno delle grotte costituiscono un’eredità culturale straordinaria che nessun Paese al mondo può vantare.

Alfio Bruno insegnante belpassese in pensione, ha coniugato l’attività di uomo di scuola con quella di fitogenetista, con apprezzati e qualificati campi di ricerca in tutto il mondo. Di seguito un estratto delle sue ricerche e trattati in ambito vitivinicolo, dal Corinto bianco al Moscato di Siracusa.

I Corinti non erano soltanto tre vitigni di classica memoria (Bianco-Rosa e Nero), bensì una quindicina, pur essendo stati coprotagonisti dell’antica civiltà del vino. Queste uve venivano dette di Corinto, non perché autoctone della Corinzia, ma perché in quella regione avevano trovato sia un livello di civiltà più favorevole alla loro valorizzazione (presenza di ville aristocratiche) e sia il luogo, attraverso il porto, raggiungevano le altre città nel mondo. Il Corinto bianco doveva essere già diffuso e conosciuto in Asia Minore e nel Sud Europa, come si riferivano autori latini  riportando cenni su “Vitis pergulana (ad) uva minuta  (dall’) acinis albidoflavis, rotundis, enucleatis, dulcissimis, sapidissimis et minutissimis”. Probabilmente in epoca alessandrina (300 a.c. ad opera delle milizie di Alessandro, il Corinto Bianco venne importato in Grecia e da qui diffuso nelle colonie fra le quali la Sicilia.

Moscato di Siracusa Tra i più famosi liquorosi al mondo. Accoppiati alla finezza del gusto un aroma ricchissimo e rivaleggia con i migliori prodotti spagnoli di questo tipo. Arriva a 18° e possiede una limpidezza eccezionale, tanto da sembrare olio liquido. Produzione limitatissima.

L’attuale moscato continua la tradizione del celeberrimo Pollio dell’antichitá. Secondo una leggenda, l’eccezionale dolcezza della “moscadella siracusana” deriva dal dono fatto dalla dea Demetra alla figlia del tiranno Falaride. A costei, cieca dalla nascita, piaceva molto l’uva di una vigna limitrofa alla sua casa e un giorno la dea inviò le api che punzecchiarono gli acini e li resero squisitissimi.

Il mitico Castagno dei Cento Cavalli nel territorio di Sant’Alfio (Ct)

Gli alberi e i boschi erano rispettati e tutelati fin dall’antichità, come ricordano i “Boschi Sacri” dell’antica Roma, protetti per motivi religiosi … E poi la storia narra anche di ben organizzate difese per finalità produttive, come nel caso della Serenissima Repubblica Marinara di Venezia, gelosissima custode del suo “gran bosco da reme del Cansiglio”. Di queste, e di molte altre salvaguardie, aveva narrato Franco Tassi nella recentissima opera “Alberi Sacri” (2018).

Tuttavia era stata anticipata in Italia, con l’albero considerato monumento da proteggere: come il famoso Castagno dei Cento Cavalli, classica meta del Grand Tour, tutelato fin dal lontano 1745 con il Sigillo Borbonico. Ma è nel Novecento che vengono pubblicati i nostri primi censimenti degli alberi, a cura di Renato Pampanini, Luigi Parpagliolo e Pietro Romuo Aldo Pirotta, sempre nell’ottica dell’aspetto paesaggistico, tutelato da vincoli e leggi dell’epoca.

La ricerca degli alberi straordinari infervora appassionati di molti Paesi, e in Italia viene ben rappresentata dalle molte scoperte e pubblicazioni di Valido Capodarca e dei suoi colleghi e seguaci, dal 1979 in poi, fino a convergere in un Gruppo specialistico, denominato RAMI (Registro Alberi Monumentali Italiani).

Questa prospettiva vede l’albero nella sua realtà: un mondo ricco di biodiversità, patria e rifugio di mille animali e piante. Una straordinaria Biocenosi, ovvero una comunità di esseri viventi da tutelare nella sua interezza. Lanciata da Franco Tassi fin dal 1969, è ben espressa nelle Tavole della Biodiversità, che raffigurano ogni albero con la vita ad esso legata, dall’umido muschio al nido del picchio, dal fungo legnoso alla tana del ghiro, dal lichene crostoso al più piccolo coleottero vivente nelle sue cavità.

Costituzione della Repubblica italiana: Art. 9. “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.”

In Italia erano gli anni del dopoguerra, anni di povertà, ma si ritenne importante tutelare e difendere la nostra memoria storica, guardando lontano, consapevoli che “è meglio un popolo vestito bene, bello, con un po’ di fame piuttosto che con il paesaggio intorno devastato”. L’articolo 9, infatti “tutela il Paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”, dimostrandosi il principio più originale e incredibile della Costituzione perché trasforma in  legge la nostra memoria storica e la nostra origine che sta negli occhi, nella mente, nell’anima di tutto il mondo. Un punto fermo “sul paesaggio” dei nostri Costituenti più illuminati e lungimiranti, Benedetto Croce in primis, ci hanno lasciato in eredità. Sembra strano pensare che proprio in Sicilia già con il Real Patrimonio di Sicilia del 21 agosto 1745 si impose, fra le altre cose, la conservazione dei boschi del Carpinetto a monte di Mascali con il “ Castagno dei Cento Cavalli”.

All’impetuosa crescita industriale e il conseguente benessere abitativo con la concentrazione della popolazione nelle città, non è corrisposta un’adeguata crescita culturale, all’aumento della scolarizzazione si è accompagnata una scarsa attenzione politica verso la qualità dell’istruzione dei cittadini: la cultura del  bene comune.

Il cittadino locale stenta a raggiungere la consapevolezza di essere l’unico vero custode di questo patrimonio. Intervengono in qualche misura lo Stato, la Regione, gli Enti Locali nel garantire la TUTELA di un patrimonio unico al mondo, ma la tutela non può essere considerata un’emergenza com’è allo stato attuale, un’attività mortificante, estenuante e frustrante perché i reati ambientali sono sempre più numerosi e diversificati.

Non si può concepire questo senso di passiva protezione, ma attivare la funzione partecipativa dei cittadini, sviluppando attraverso una costante azione culturale, con l’intento di rendere fruibile il bene a tutti.

Carmelo Nicoloso