Ormai che la verità sul caso Manca tracima da ogni lato, la faccia del procuratore di Viterbo, Alberto Pazienti, è una maschera tragica che si contrae davanti all’evidenza dei fatti, mentre la bocca balbetta delle frasi che tornano al mittente con la violenza di un boomerang. L’aspetto tragicomico di questa vicenda è quel goffo tentativo di scaricare tutte le responsabilità di quella scandalosa indagine sull’ex capo della Squadra mobile Salvatore Gava, o al limite su chi ha parlato di delitto di mafia, come se questo avesse condizionato o disturbato l’inchiesta di Viterbo.

l procuratore della repubblica di Viterbo e il Pm, Alberto Pazienti e Renzo Petroselli

Un copione ripetutosi mercoledì scorso durante la trasmissione “Chi l’ha visto?”, dopo la comparsata di molti mesi fa in Commissione parlamentare antimafia, quando lo stesso Pazienti, assieme al Pm Renzo Petroselli (titolare dell’inchiesta), tentò di scaricare le colpe sulla dottoressa Dalila Ranalletta, Medico legale che ha eseguito l’autopsia e l’esame esterno sul cadavere. Come se loro, Pazienti e Petroselli, in questi dodici anni, fossero stati su Marte, e non fossero stati artefici, assieme a Gava, alla Ranalletta, e al Gip Salvatore Fanti, delle sciatterie giudiziarie che hanno contribuito a scempiare – assieme a quel colpo al viso sferrato simultaneamente alla tremenda botta ai testicoli, e a quel soffocamento sul materasso, e a quel buco di eroina – la memoria di uno dei più grandi urologi italiani.

Sembrano lontani i tempi in cui Pazienti e Petroselli sfoderavano il ghigno sicuro di chi – senza uno straccio di prova – sosteneva ostinatamente che Attilio Manca si era suicidato con una micidiale overdose di eroina mista ad alcol e tranquillanti. Sembra lontana quella surreale “conferenza stampa”, quando per dimostrare “l’inoculazione volontaria”, i due magistrati tirarono fuori un esame digitale sulle siringhe (da cui non sono emerse impronte né di Attilio né di altri, quindi non è affiorata alcuna prova) e un esame tricologico sui capelli della vittima che – secondo loro – dimostrava la pregressa assunzione di eroina, mentre l’autopsia stabiliva il contrario, ovvero che gli unici buchi (o l’unico buco, come è emerso nella nostra inchiesta) trovati/o nel corpo del medico corrispondeva(no) solo con quella maledetta “pera” praticata nel braccio sbagliato (quello sinistro) di un mancino puro.

Roba da commedia dell’arte. Per la semplice ragione che l’analisi sulle siringhe è stata effettuata dopo otto anni, e l’esito dell’esame tricologico (“esame irripetibile”, come impone la legge) non è stato mai notificato né alla famiglia Manca, ne al suo legale Fabio Repici (cui si è aggiunto negli anni successivi l’avv. Antonio Ingroia).

Ora spetta alla Procura distrettuale antimafia di Roma – segnatamente al procuratore aggiunto Michele Prestipino e al procuratore capo Giuseppe Pignatone – dirci se ci sono stati depistaggi, chi li ha ordinati, chi li ha eseguiti, chi li ha protetti.

Giuseppe Pignatone, capo della Procura distrettuale antimafia di Roma

 

Le indagini di Pignatone e Prestipino

Dovranno dircelo perché è morto Attilio Manca, primo urologo italiano ad operare il cancro alla prostata col sistema laparoscopico. Dovranno dircelo perché quella mattina del 12 febbraio 2004, quando Attilio è stato ritrovato senza vita nel suo appartamento di Viterbo (città dove lavorava da due anni presso l’ospedale Belcolle), la Polizia ha cambiato la posizione del cadavere mentre la figura della dottoressa Ranalletta sembra inserita in un gioco di ombre cinesi: compare  e scompare dalla scena del delitto.

Dovranno dircelo perché da un lato la Polizia di Viterbo scrive che la professionista è presente in quell’appartamento alle 11,45 (dunque tre quarti d’ora dopo il ritrovamento del cadavere da parte del personale paramedico dell’ospedale), dall’altro lei stessa scrive di “essersi portata sul posto” due ore e un quarto dopo, cioè alle 14 (prima incongruenza), per giunta senza specificare l’ora di inizio e di conclusione dell’ispezione cadaverica (seconda incongruenza), quindi senza spiegare cosa è successo, e quali modifiche, e quali trasformazioni, potrebbero essersi verificate nel frattempo sul cadavere di Attilio Manca. Nei verbali di sopralluogo delle 11,30 e delle 11,45 la Polizia parla espressamente di cadavere “rigido” e “fresco”, segno di una morte recentissima. Ma nella relazione del Medico legale si legge di un cadavere con “cornee opache”, “rigidità cadaverica risolta” (molle), “macchie ipostatiche” presenti sia nella parte anteriore che posteriore, tutti segni di una morte avvenuta in un arco temporale che secondo la Ranalletta va “dalle dodici alle quarantotto ore prima” (terza incongruenza). Due versioni nettamente contrastanti, che mai nessuno si è preso la briga di chiarire.

Michele Prestipino, procuratore aggiunto

Non solo. Dovranno dircelo perché la stessa Ranalletta, pur scrivendo che il sangue sul pavimento era “abbondante”, non ha specificato se era coagulato o fluido (quarta incongruenza), altro passaggio fondamentale per risalire al momento del decesso. Dalle foto si vede che è fluido, quindi la morte potrebbe essersi verificata addirittura pochissimi minuti prima. Ecco perché è fondamentale chiarire anche questo.

 

Il naso e i testicoli

Dovranno dircelo perché non è stata descritta la condizione del setto nasale deviato (quinta incongruenza), del braccio e del polso sinistro (sedi di ecchimosi, secondo il docente di Medicina legale intervistato nelle puntate precedenti; sesta incongruenza), e come è possibile che un mancino puro possa essersi iniettato l’eroina nel braccio sinistro (settima incongruenza), o nella parte radiale del polso (sempre sinistro, ottava incongruenza) dove la Ranalletta ha individuato il secondo buco di eroina. In quella porzione, a dire del nostro prof, c’è l’osso, non la vena. In realtà quel “buco” – secondo lo stesso docente –  è una ecchimosi o una lesione da afferramento (nona incongruenza).

E dovranno dirci perché è stata ignorata una evidentissima ecchimosi ai testicoli (una sorta di “prova regina” di una morte violenta, decima incongruenza), documentata dalla foto scattata dalla Polizia scientifica. Un’ecchimosi  “a stampo”, che secondo i principi medico-legali, riproduce l’oggetto (o l’arto) che l’ha causata: forse una pedata, forse una ginocchiata, più verosimilmente un afferramento con tanto di ”impronte” delle dita.

Si tratta di elementi che portano a ritenere che l’urologo non si è suicidato con una overdose di eroina – come da dodici anni sostengono i magistrati di Viterbo – ma è stato assassinato in modo violento e fulmineo da “braccia e menti raffinatissime”, abili a simulare l’“inoculazione volontaria” (tesi tanto cara ai magistrati di Viterbo, ma priva di riscontri).

Del resto, che in questa storia ci sia il coinvolgimento di “braccia e menti raffinatissime” lo ha confermato recentemente il collaboratore di giustizia Carmelo D’Amico. ex boss di Barcellona Pozzo di Gotto, il quale ha dichiarato che l’urologo è stato ucciso da un ufficiale dei servizi segreti in trasferta a Viterbo, su mandato della mafia barcellonese, in un contesto fatto da “un Generale dei Carabinieri”, e dal “circolo paramassonico “Corda fratres”, che D’Amico cita nei suoi verbali.

Prima di D’Amico, altri due pentiti di rango avevano detto le stesse cose: l’ex capo dei Casalesi Giuseppe Setola, e l’ex braccio destro di Bernardo Provenzano, Stefano Lo Verso. Le versioni dei tre pentiti sono state approfondite?

Attilio Manca – secondo i tre collaboranti – ha avuto un ruolo nell’operazione di cancro alla prostata alla quale, nell’autunno del 2003, era stato sottoposto a Marsiglia il boss Bernardo Provenzano. Una latitanza protetta per 42 anni dallo Stato, compreso il periodo in cui il capomafia sarebbe stato nascosto a Barcellona, circostanza svelata dai Ros in un rapporto misteriosamente scomparso, ma di cui esistono evidenti tracce. Da chiarire anche questo.

A proposito di rapporti scomparsi. Dovrebbero spiegarci se è vero che un’alta personalità – di cui bisognerebbe chiarire il ruolo che avuto in questa vicenda – a suo tempo chiese a tamburo battente le carte di un’indagine dove, a quanto pare, si parlava del nesso fra il decesso dell’urologo e la latitanza di Provenzano a Barcellona, e se è vero che dopo la trasmissione di quegli atti, sulla vicenda è calato il silenzio.

6^ puntata. Continua