Il 27 ottobre ricorre il 43° anniversario dell’assassinio del giornalista ragusano Giovanni Spampinato, un assassinio che, a distanza di oltre quattro decenni, continua a fare discutere e a suscitare polemiche.

Tre anni fa protestammo con gli autori di un documentario (Vincenzo Cascone e Danilo Schininà) che, malgrado la buona fattura artistica, difettava nella ricostruzione giornalistica. Oggi lo facciamo con Rai Storia, trasmissione che solitamente apprezziamo, ma che nei giorni scorsi mandando in onda un documentario su Spampinato, ci ha consegnato i soliti luoghi comuni sulla vittima, non facendo onore alla verità. Rai Storia – pur avendo degli ottimi autori e del materiale processuale che abbiamo messo a disposizione – non ha descritto sufficientemente il sistema politico-malavitoso entro il quale è maturato il delitto, non ha approfondito le gravi responsabilità della magistratura del capoluogo ibleo, segnatamente dell’ex Procuratore della Repubblica di Ragusa, Agostino Fera, andato a ruota libera durante la trasmissione, senza un adeguato contraddittorio, ha ignorato dei passaggi fondamentali per l’accertamento della verità.

Con questa “lettera aperta” protestiamo con Rai Storia ricopiando provocatoriamente l’articolo scritto tre anni fa e cambiando solo il nome degli autori, per dimostrare che sul Caso Spampinato spesso cambiano i suonatori ma la musica è sempre la stessa. E questo non è consentito a nessuno, per onore di un onesto e valoroso cronista, e della verità.

Carissima Rai Storia, carissimo Fabrizio Marini (autore del documentario),

a quarantatré anni dalla morte di Giovanni Spampinato, avete avuto il merito di essere stati tra i pochi ad avere ricordato uno degli intellettuali siciliani più lucidi e coraggiosi degli ultimi decenni. Avete realizzato un documentario a tratti emozionante ed apprezzabile, ma ahinoi, sulla ricostruzione dei contenuti, non sempre avete fatto onore alla verità, consegnando agli annali di Storia Patria i luoghi comuni che da oltre quarant’anni avvolgono questa vicenda.

Con incredibile superficialità avete dato molto spazio all’ex Procuratore della Repubblica, Agostino Fera, il quale, invece di basarsi su fatti oggettivi, ha fatto delle ricostruzioni del tutto personali, consegnandoci come fatti veri dei fatti a volte discutibili, a volte addirittura falsi. La vostra superficialità è doppia se si pensa che, a tali argomentazioni, non avete contrapposto le tesi opposte (per esempio quelle del sottoscritto), non perché non ci fossero, ma semplicemente perché le avete ignorate, finendo per censurarle.

Con questo non voglio dire che non mi avete dato spazio, anzi, dico il contrario, e vi ringrazio. Non era lo spazio, o la visibilità ad interessarmi, ma la verità. E per amore di verità, dico che avete oscurato delle cose tremendamente serie. Mettetevi nei panni di chi non conosce la storia: viene fuorviato da una ricostruzione non sempre aderente ai fatti, viene privato dei tasselli fondamentali, e si fa un’idea sbagliata.

Non si può consentire di fare andare a ruota libera un ex Procuratore della Repubblica che riproduce gli alibi (ora vedremo quali) portati avanti pervicacemente da un sistema di potere che – sull’assassinio Spampinato – ha coperto molte responsabilità, ignorando l’antitesi, soprattutto quando su quei punti erano state dette delle cose precise, con tanto di fonte giudiziaria.

Quando ho scritto “Gli insabbiati”, il libro sugli otto giornalisti uccisi in Sicilia – che comprende anche il caso Spampinato – non avete idea di quanti mistificatori abbia incontrato sulla mia strada. Avevo due possibilità: o censurarli o dar loro corda. Ho optato per la seconda ipotesi. Non solo per un’esigenza di pluralismo dell’informazione, ma perché è importante far comprendere ai lettori le dinamiche che delineano il “contesto”. Alla fine le ambiguità tracimano attraverso gli atti giudiziari e i mistificatori vengono smascherati dai fatti nudi e crudi. Voi invece (e mi dispiace dirlo), in certi momenti avete saltato a piè pari gli atti giudiziari e avete dimenticato “le altre campane”, confermando le teorie sballate che da quattro decenni delegittimano la vittima ed assolvono l’assassino e quella pletora di personaggi che lo hanno protetto.

Quali? Prima di vederlo è necessario spiegare chi era Giovanni Spampinato e cosa avvenne in quel terribile 1972.

Giovanni Spampinato aveva 26 anni quando fu ucciso, era un bravissimo cronista, un grande intellettuale, comunista e cattolico. Scriveva sull’unico quotidiano anti mafioso della Sicilia: “L’Ora” di Palermo. I suoi reportage riguardavano essenzialmente le trame del neofascismo in Sicilia, all’epoca legate al fallito golpe Borghese, al regime dei colonnelli greci e al traffico di materiale di antiquariato. Egli faceva a Ragusa quello che Peppino Impastato nel frattempo faceva a Cinisi: una denuncia a trecentosessanta gradi sul nesso fra eversione nera e potere bianco e nero, e quindi fra i campi paramilitari fascisti, gli strani sbarchi nella costa iblea di droga e di materiale di antiquariato, e i viaggi in Grecia di alcuni neofascisti siracusani evidentemente affascinati dal colpo di Stato dei colonnelli, e magari desiderosi di apprendere la loro lezione. Spampinato, come Impastato, aveva capito con molto anticipo i fili di collegamento di una struttura clandestina che in futuro avremmo chiamato “Gladio”.

Ma gli scoop che posero Giovanni all’attenzione dell’opinione pubblica siciliana furono due. Il primo riguardava la presenza di Stefano Delle Chiaie a Ragusa (anche questo ignorato dalla Rai), nel periodo in cui il leader neofascista era ricercato per la strage di piazza Fontana e per l’attentato all’Altare alla Patria di Roma. Il secondo concerneva il coinvolgimento del figlio del presidente del Tribunale di Ragusa, Roberto Campria – futuro assassino di Spampinato – nell’omicidio dell’ingegnere ragusano Angelo Tumino, fascista, coinvolto nel torbido commercio degli oggetti di antiquariato.

Il cronista de ”L’Ora” fu l’unico, fra i giornalisti ragusani, a scrivere che Campria – anch’egli simpatizzante per l’estrema destra, e detentore di un arsenale di armi non denunciato – era stato messo “sotto torchio” dai magistrati locali dopo il delitto dell’ingegnere-antiquario. Ed anche l’unico a scrivere che Campria e Tumino erano stati visti insieme qualche ora prima del delitto. L’unico a scrivere che, dopo quell’omicidio, il figlio del presidente del Tribunale si precipitò nell’abitazione della vittima (con cui era molto amici) per rovistare nei cassetti, “come se volesse cercare qualcosa”. L’unico a scrivere che Roberto aveva raccontato un sacco di balle ai magistrati. L’unico ad avere inquadrato quell’omicidio nel contesto del neofascismo locale e del traffico di oggetti di antiquariato. L’unico a sorbirsi gli insulti del suo futuro assassino, ed anche una querela. Dalla quale fu assolto, anche perché il querelante non ritenne di presentarsi in Tribunale.

Nel frattempo denunciava alla Federazione provinciale del partito comunista italiano: 1) di essere pedinato dalla Polizia; 2) di avere il telefono sotto controllo; 3) di aver notato che l’inchiesta sul delitto Tumino era stata insabbiata in quanto “si vuole proteggere qualcuno che sta molto in alto”; 4) di essere la possibile vittima di una “provocazione” che avrebbe potuto avere effetti devastanti per la sua persona. Dalla Federazione comunista nessuna risposta.

Un giorno Campria convocò una conferenza stampa alla quale parteciparono tutti i cronisti locali, compreso Spampinato. Il giorno dopo, il cronista de “L’Ora”, non solo riportò fedelmente la versione di Roberto, ma aggiunse delle parole che possiamo considerare una sorta di testamento spirituale: “Adesso Campria, che probabilmente non c’entra nulla col delitto Tumino, torna nell’ombra”. Una frase che dimostra la sua buona fede e che lo scagiona dall’accusa che qualche magistrato ragusano (segnatamente Giustino Duchi e Agostino Fera, allora impegnati proprio nell’indagine sul delitto Tumino) ripete ancor oggi senza uno straccio di prova: ovvero che Campria avrebbe assassinato Spampinato in seguito ad una serie di “provocazioni” fatte dal giornalista.

Fera nell’intervista si spinge oltre, e voi, carissima Rai e carissimo Marini, gli siete corsi dietro. Secondo l’ex magistrato, era Spampinato a cercare ossessivamente Campria e non il contrario, come risulta dagli atti processuali.

L'ex Procuratore di Ragusa, Agostino Fera

Ora, è corretto far passare il principale sospettato del delitto Tumino, nonché uccisore di Spampinato, come vittima? Non è vero che Campria – grazie alla posizione del padre – avrebbe beneficiato delle compiacenze dei magistrati all’interno del Tribunale (non solo di Ragusa)? Lo dimostrano diversi fatti: 1) l’inchiesta sul delitto Tumino, invece di essere trasferita per “legittima suspicione” al Tribunale di Catania, rimase a Ragusa, dove fu chiusa senza l’individuazione degli assassini, ma in compenso con una serie di calunnie nei confronti di Spampinato; 2) dopo il delitto Tumino, Roberto Campria si recò dal sostituto procuratore Agostino Fera e dall’allora comandante della Guardia di Finanza, Carlo Calvano, per confidare loro di essere stato avvicinato da un “personaggio insospettabile” che gli avrebbe chiesto di facilitare lo sbarco, attraverso la corruzione degli agenti della Guardia di Finanza preposti al controllo, di materiale di antiquariato, e di portare fino a Palermo una valigetta probabilmente carica di droga; 3) nella stessa mattina in cui fu ucciso Tumino, l’antiquario fu visto su una macchina in compagnia del presidente del Tribunale Saverio Campria e della moglie.

La prima pagina de "L'Ora" dopo il delitto del giornalista Giovanni Spampinato. A sinistra, il suo assassino Roberto Campria, a destra la vittima.

E allora sorgono spontanee delle domande: perché l’inchiesta sul delitto Tumino non fu trasferita ad altra sede, dato che il figlio del presidente del Tribunale era implicato? Perché non si accertò il motivo per il quale il presidente del Tribunale e la moglie erano in compagnia di Tumino poche ore prima del delitto? Perché – circostanza gravissima che inopinatamente è stata censurata – l’ex maggiore della Guardia di Finanza e l’ex sostituto Fera non sentirono il dovere di approfondire le confidenza fatte loro da Campria? Perché non scrissero un rapporto ai superiori? Perché non individuarono il “personaggio insospettabile” che aveva avvicinato Campria? Perché non si posero una semplicissima domanda: è logico che un “personaggio insospettabile” avvicini il figlio di un magistrato per una missione così scabrosa? È logico un fatto del genere se non esiste un rapporto pregresso fra i due? Perché dopo quella conferenza stampa, Campria cercava sempre Spampinato? Era ossessionato da quello che sarebbe potuto emergere non solo sul delitto Tumino?

Approfondire questi elementi significava spingersi “oltre”, molto “oltre”. Significava scrutare quel mondo misterioso e perverso del neofascismo e della criminalità locale di cui Giovanni aveva compreso i collegamenti e la pericolosità. Un mondo di cui, nel processo d’Appello, parlò un magistrato illuminato come Tommaso Auletta (ignorato anche questo), il quale nella sua arringa al processo, disse: “Campria ha ucciso Spampinato come prova di fedeltà a quel mondo”. I magistrati ragusani, invece, preferirono mettere tutto a tacere. Risultato: Agostino Fera è rimasto a Ragusa per 40 anni, malgrado i dubbi dell’opinione pubblica e le interrogazioni parlamentari sul suo conto.

Questi fatti sono stati incomprensibilmente omessi da Rai Storia. Sono fatti che danno un quadro completo di questa vicenda, della figura di Roberto Campria, del potere e delle istituzioni ragusane che avevano il compito di fare luce sul delitto Tumino e non solo non l’hanno fatto, ma, con le loro omissioni, hanno spianato la strada a Campria per uccidere Spampinato.

Allora come ora si è preferito tacere, ignorare e omettere.

Cara Rai Storie e caro Fabrizio Marini, mi dispiace dirvelo perché vi stimo, ma avete macchiato un lavoro che, senza questi “buchi neri”, avrei definito ottimo.

Un cordiale saluto.