L’esito si attendeva ieri, ma a Paternò (Catania) il “certo” di tre giorni fa, è diventato il “certissimo” di due giorni fa”, e il “probabile” di un giorno fa. Molta incertezza e cittadini che sfogliano ancora la margherita: il sindaco, la Giunta e il Consiglio comunale saranno sciolti per infiltrazioni mafiose?
La domanda circola dappertutto, ma la risposta è una sola: “Se il Consiglio dei ministri non ha ancora deciso, vuol dire che si tratta di materia di difficile interpretazione”, anche se le illazioni di carattere politico non mancano: Paternò è feudo elettorale di La Russa, ma c’è un “ma” grosso quanto una casa, dato che il presidente del Senato (e di conseguenza la corrente di Fratelli d’Italia che localmente fa capo al presidente dell’Assemblea regionale siciliana Gaetano Galvagno) pare che non veda di buon occhio il sindaco Nino Naso, anche lui appartenente al centrodestra, ma con una antica vicinanza all’ex presidente della Regione Sicilia Raffaele Lombardo, leader del Movimento per l’autonomia (Mpa), quindi, come una coppia di separati in casa, le due parti convivono sotto lo stesso tetto, ma la corrente larussiana di Paternò tiene a marcare le differenze di cultura e di identità da quella “lombardiana”: da un lato la “destra-destra” di Ignazio, dall’altro la “destra democristiana” di Raffaele: uniti sì (almeno per ora), ma profondamente diversi.
I primi rappresentanti di un’alta borghesia delle professioni, i secondi portatori del “modus operandi” della vecchia Balena Bianca, clientelismo senza freni e rapporti opachi con ambienti monitorati continuamente dalla magistratura, come se il tempo, in questa parte di Sicilia, si fosse fermato agli anni Novanta, ma senza il livello politico di allora.
Del resto, quando l’ex prefetto di Catania Maria Carmela Librizzi – su disposizione del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi – ha dato le direttive alla commissione prefettizia di insediarsi al Comune per passare al setaccio delibere, determine, verbali di gara e tanto altro, è stata chiara: “Verificare l’eventuale sussistenza di elementi concreti, univoci e rilevanti su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso”. Ripetiamo: : “Elementi concreti, univoci e rilevanti”.
Quindi se è vero che la decisione di determinare un terremoto politico nel comune più grosso della provincia di Catania (50mila abitanti, un’economia in fortissima crisi basata sulle arance rosse), non può essere presa a cuor leggero, è anche vero – si pensa, si presume, si congettura in città – che il ritardo potrebbe essere dovuto a dialettica politica non facilmente districabile.
Ma le voci di popolo, da che mondo è mondo, sono da prendere con le dovute cautele. In fondo il 3 ottobre era solo ieri. Domani è un altro giorno e vedremo quale decisione uscirà fuori dal Consiglio dei ministri.
Ma a Paternò si guarda anche al dopodomani, cioè alle prossime elezioni: non è detto che il centrodestra debba marciare unito, innanzitutto perché potrebbe essere la volta buona in cui “larussiani” e “lombardiani” si separino definitivamente, e poi per la profonda crisi di identità che attraversa il centrosinistra, alle ultime elezioni alleatosi addirittura con l’altra componente della “destra-destra”, quella di Filippo Condorelli, nemico storico di La Russa e grande ammiratore di Mussolini, tanto da custodirne il mezzo busto in casa.
Nella foto: Palazzo Alessi, sede istituzionale del Comune di Paternò (Catania)
Luciano Mirone























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