“Il mio impegno e quello del governo regionale è rivolto a privilegiare la meritocrazia rispetto alla raccomandocrazia”. È il 25 marzo 2025 quando il presidente della Regione Sicilia, Renato Schifani, pronuncia solennemente questi saldi principi di democrazia che da sempre ispirano la sua vita politica, davanti a numerosi giornalisti, in occasione degli ottant’anni del quotidiano La Sicilia.

“Lo dico perché ci credo”, afferma ancora Schifani, “per sradicare dalla nostra terra un vecchio sistema pregiudizievole col quale siamo cresciuti. Questa è la mia scommessa e su questo non intendo indietreggiare”. Infatti.

Basta vedere le nomine che il presidente della Regione Sicilia ha fatto nei giorni scorsi nei posti del sottogoverno isolano (Istituto autonomo case popolari, Parchi, Aziende trasporti, ecc.), per capire che lui a questa cosa ci crede davvero, basta vedere i curriculum dei nominati, e soprattutto basta vedere i partiti di cui questi fanno parte: da Forza Italia alla Lega, da Fratelli d’Italia al Movimento per l’autonomia di Lombardo e alla Democrazia cristiana di Cuffaro. L’intera galassia che sostiene il governo regionale presieduto proprio da Schifani.

La pratica della raccomandazione riguarda più o meno tutti, destra e sinistra, quindi non ci scandalizziamo, ma per favore, egregio Schifani, ci risparmi questa demagogia che sa tanto di presa in giro.

Se da un lato ci sono siciliani che hanno deciso di far parte dell’esercito nauseabondo di clientele che avete messo su, dall’altro ci sono siciliani che hanno deciso di emigrare – con o senza una laurea – per trovare un lavoro dignitoso altrove, siciliani che hanno deciso di restare nella loro terra e di affermarsi senza il vostro “aiutino”, siciliani che lavorano in silenzio senza dovere ringraziare nessuno, e siciliani che non ce la fanno ad arrivare alla fine del mese e che vivono perennemente in una condizione da “fine del mese” e quindi sono costretti ad aiutarsi con le unghie e con i denti per sbarcare il lunario. Cosa fa la politica per rendere più vivibile il futuro di costoro?

Di fronte alla dignità di molte persone, la politica ha il dovere del rispetto. In Sicilia c’è un detto che circola fin dall’antichità: “U saziu non po’ cridiri o diunu”, il sazio non può credere al digiuno. Un concetto che i privilegiati da 15 o 20mila Euro al mese, esclusi viaggi e ingressi al teatro, allo stadio e in qualsiasi posto, non possono capire. Non è meglio, allora, che di fronte al “dolore sacro” di tanti siciliani convenga tacere?

Nella foto: Antonio Albanese nella parte di “Cetto La Qualunque”

Luciano Mirone