Antonio Mazzeo, messinese, giornalista e attivista, è l’unico italiano, assieme al pugliese Antonio La Piccirella, ad aver fatto parte dell’equipaggio della Handala Freedom Flotilla, una sorta di “apripista” della Global Sumud Flotilla (50 navi che raccolgono 500 attivisti di 44 Paesi) impegnata in questi giorni per la stessa missione
Partita a luglio dall’Italia per portare aiuti umanitari alla popolazione palestinese rifugiata nella Striscia di Gaza, massacrata dalle bombe dell’esercito israeliano (oltre 60 mila i morti accertati, fra cui 20 mila bambini, oltre alle circa 140 mila vittime seppellite dalle macerie), l’equipaggio della Handala (21 persone provenienti da tutto il mondo), dopo un settimana di navigazione, è stato intercettato e arrestato in acque internazionali dalla marina israeliana e rispedito in Italia.
“E’ stata un’azione illegale e violenta – dice Antonio Mazzeo a L’Informazione, che lo ha intervistato –, un’azione compiuta in acque internazionali o comunque non soggette alla giurisdizione israeliana, che configura un grave atto di pirateria navale e violazione del diritto internazionale”.

Antonio Mazzeo in una recente manifestazione contro la realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina. Sopra: l’attivista siciliano davanti alla Handala Freedom Flolilla, impegnata a luglio nella missione di portare aiuti umanitari alla popolazione di Gaza
Pochi giorni dopo eccolo a Messina, in testa al corteo contro la costruzione del Ponte sullo Stretto. E’ da una vita che Antonio gira il mondo per compiere missioni umanitarie, per documentare giornalisticamente tante ingiustizie e per cooperare con le popolazioni locali contro la fame, le guerre e il sottosviluppo.
In Sicilia (“altro Sud del mondo”), Antonio porta avanti le stesse battaglie, ma con sfaccettature diverse. In quel caso i nemici sono la mafia, la massoneria, i servizi segreti deviati, l’illegalità, la cementificazione selvaggia, i missili americani a Comiso la costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina, tanti aspetti di un fenomeno che ha come denominatore comune il capitalismo selvaggio, la prevaricazione, la mancanza di rispetto per la persona umana e per la natura.
“Piango spesso per le ingiustizie che si commettono nel mondo”, dice Antonio. “Il pianto è una catarsi che mi fortifica e mi fa andare avanti. L’ultima volta? Quando a un’amica ho raccontato i momenti più drammatici trascorsi sull’Handala, le sofferenze vissute sulla barca. Tanti giornalisti hanno posto la solita domanda banale, ‘hai avuto paura?’. Quando uno si trova in quella situazione e si sente derubato di un sogno su cui ha lavorato per mesi, quando è convinto che, dopo sette giorni e sette notti di navigazione, ce l’ha fatta e i soldati dell’esercito israeliano salgono sull’imbarcazione armati fino ai denti, senti di aver paura? In quel momento ci siamo trovati al cospetto di stupratori. Stupratori che stanno stuprando di un sogno, che ti stanno derubando di una missione che non era soltanto quella di arrivare a Gaza, ma di regalare un sorriso ai bambini della Striscia. Alcuni giorni prima, i bambini italiani di Gallipoli e di Siracusa ci avevano consegnato i loro orsacchiotti per regalarli ai loro coetanei palestinesi. Quell’irruzione è stato il tradimento dei bambini, di tutti i bambini della terra. Nei giorni precedenti i bambini di Gaza ci scrivevano, ‘quando arriva Handala?’. Handala è il fumetto su cui è cresciuta la popolazione palestinese e parla di un ragazzino che gira le spalle alle ingiustizie”.

“Handala” è il nome di un personaggio iconico creato dal vignettista palestinese Naji al-Ali, che rappresenta simbolicamente il popolo palestinese, soprattutto i rifugiati e gli esiliati. È un ragazzino di 10 anni che non si volta mai, mantenendo le mani sui fianchi, simbolo del rifiuto di cedere la sua identità e la sua terra
Quale è stata la vostra reazione quando vi hanno annunciato che i soldati avrebbero fatto irruzione?
“Ci siamo seduti e abbiamo aspettato che arrivassero. Non avevamo rabbia, ma disperazione, come se in quel momento ci avessero succhiato tutte le energie. Siamo crollati. Sono arrivati con due navi e con dei motoscafi, trentacinque persone, super armate, e ci hanno sequestrati. La cosa che mi ha colpito è stata quella di aver visto sotto quei caschi militari degli occhi di ragazzini, che quando hanno incrociato il nostro sguardo hanno abbassato il loro”.
Che esperienza è stata?
“Quando sei in mare aperto, non è come quando il mare lo guardi dalla terra: vedi la curvatura dell’asse. Passavo ore intere a prua a guardare il mare, senza pensare. Per otto giorni solo mare aperto, non abbiamo visto terra. Notti stupende, il cielo stellato come non esiste, lontano da qualsiasi forma di luce artificiale, la via lattea sopra la tua testa, da prua a poppa, vedere solo il mare e un oceano di stelle. Una settimana serena di navigazione”.
E poi?
“Fino al quarto giorno non abbiamo avuto presenze ingombranti. Abbiamo visto i primi droni la quarta notte. Le nostre Colonne d’Ercole erano il punto dove venti giorni prima era stata assaltata la Madleine, l’altra nave della Freedom Flotilla sequestrata dall’esercito israeliano per lo stesso motivo. Quel punto lo abbiamo superato di sessanta miglia, mentre ormai respiravamo l’aria di Gaza”.

Il momento dell’irruzione sull’Handala
Come pensi che finirà la navigazione della Global Sumud Flotilla?
“Può succedere tutto e il contrario di tutto. Può succedere ciò che noi abbiamo sperato che accadesse nei nostri confronti, cioè che Israele ‘per faccia pulita’, come diciamo in Sicilia, per dimostrare di essere una vera democrazia, alla fine dica a due o a tre barche delle cinquanta presenti: ‘Volete andare a Gaza? Andate’. Così come potrebbe succedere quello che Israele ci ha già insegnato”.
Adesso però ci sono gli occhi del mondo a vigilare.
“E’ una flotta di 50 navi rappresentata da 44 Paesi. Sono ottimista in un senso, ma profondamente pessimista nell’altro”.
In ogni caso, non credi che si stia creando un movimento politico sulla pace, sull’emergenza climatica, sulle ingiustizie sociali, sulla legalità, sull’ambiente?
“Il movimento non è nato ora, semmai è tornato in piazza per il martirio del popolo palestinese, un martirio che viene negato da molti media. A Gaza, negli ultimi due giorni, hanno già abbattuto sei grattacieli. Il sangue del popolo palestinese è come se avesse riattivato il sangue che si era congelato nelle nostre vene. Non è Greta Thumberg (la giovane attivista svedese che lotta contro l’emergenza climatica, ndr.), non è la Global Freedom Flotilla, non è l’Handala che stanno risvegliando il mondo, ma il sacrificio del popolo palestinese. La gente sostiene un’operazione del genere perché si sente impotente, ha bisogno di sperare attraverso uno strumento che lotta contro il genocidio di un popolo”.
Da questi movimenti può nascere una classe politica mondiale?
“Non lo so. So però che il movimento di oggi ha riattivato l’impegno delle nuove generazioni, che era scomparso negli ultimi trent’anni. Oggi rivediamo tanti ragazzi, un’umanità non solo nelle democrazie occidentali. Tantissime persone scendono in piazza in Africa, in Asia e anche all’interno di regimi dittatoriali. Per questo parlo di miracolo del martirio palestinese: questo rimette in gioco prospettive politiche. Guardiamo la Tunisia: dopo i due bombardamenti a Gaza, si sono riversate in piazza migliaia di persone (il sottoproletariato, i vecchi, le donne, i bambini) a salutare le imbarcazioni della Global Sumud Flotilla”.

Alcune imbarcazioni della Global Sumud Flotilla mentre solcano le acque del Mediterraneo con destinazione Gaza
Vedi dei nuovi leader politici nel mondo che possano convogliare tutte queste energie?
“No. E lo dico per esperienza. Sono ottimista perché si stanno creando energie dal basso che sono transnazionali, movimenti che se si sedimentano, se riescono a costruire reti superando le frontiere, i luoghi comuni, penso che possano aprire prospettive di ribaltamento del modello unico del liberismo, del capitalismo selvaggio, che è quello dominante”.
E negli Stati Uniti c’è un nuovo leader progressista?
“Non lo vedo. Vedo però delle realtà interessanti. A bordo dell’Handala, ad esempio, c’era il leader del primo sindacato autonomo di Amazon”.
C’è una speranza?
“Sì, ma non è il caso di inventarsi degli eroi. I processi sociali non li fanno gli eroi. Gli eroi li puoi ammazzare, te li puoi comprare, puoi farli andare fuori di testa, li puoi infangare. Bisogna aprire una fase nuova, rischiamo la terza guerra mondiale totale, siamo a un passo dal baratro, però abbiamo le energie per salvarci”.
Luciano Mirone























Leave A Comment