Ricordo ancora le sequenze di quel convegno nel quale mi trovai allo stesso tavolo con il magistrato Michele Prestipino, oggi indagato per violazione del segreto d’ufficio sulle presunte infiltrazioni della ‘ndrangheta calabrese nei colossali affari che riguardano il Ponte sullo Stretto di Messina. Ricordo ancora, come se nella mia memoria ci fosse una macchina che proietta un film, una delle vicende più surreali che mi siano mai capitate.

Marzo 2016. Un’associazione di Gioiosa Marea mi contatta perché sta organizzando un convegno sulla mafia. A quel convegno parteciperà il famoso magistrato che, dopo essere stato alla Procura di Palermo dove si è distinto per avere arrestato – assieme al suo procuratore Giuseppe Pignatone – il boss della Trattativa Stato-mafia, Bernardo Provenzano, è diventato procuratore aggiunto presso la Procura di Roma capeggiata, in quel momento, anche in questo caso, dallo stesso Pignatone.

“Abbiamo pensato a te – mi dice una componente del sodalizio – dato che sei fortemente impegnato nella ricerca della verità sulla morte del trentaquattrenne urologo di Barcellona Pozzo di Gotto  Attilio Manca, . Per noi sei fra i giornalisti più indicati per fare il relatore assieme a lui. E’ un onore ricevere il magistrato che ha catturato Provenzano, che, tra l’altro, è originario di Gioiosa Marea. Al tavolo sarete voi due”.

Accetto con piacere, anche perché, davvero, in quel momento, sono completamente calato nell’indagine su questo mistero fra i più torbidi e dolorosi dell’Italia repubblicana. Due anni prima avevo scritto il libro-inchiesta “Un ‘suicidio’ di mafia” e quindi della storia di Manca conoscevo i risvolti più inquietanti, compresa l’autopsia eseguita sul corpo di Attilio, che in quel momento stavo approfondendo, grazie alla consulenza del professore di Medicina legale dell’Università di Catania  Vincenzo Milana, prezioso e valoroso professionista che diversi anni prima mi aveva dato la possibilità di ribaltare un caso simile: quello del giornalista Cosimo Cristina di Termini Imerese (Palermo), altro stranissimo “suicidio” (1960).

Alcuni giorni prima del convegno mi ricontatta la persona che mi aveva invitato: “Abbiamo pensato che sarebbe meglio darti il ruolo di intervistatore di Prestipino, anziché quello di relatore”. La proposta – benché allettante – mi mette in certo imbarazzo: se devo fare una relazione è un conto, ma se devo intervistare un magistrato che è tenuto a rispettare il segreto istruttorio su una vicenda che seguo da alcuni anni, un altro.

Nel primo caso ognuno fa il proprio intervento assumendosi la responsabilità di quello che dice. Nel secondo, pur rispettando la deontologia del magistrato, qualcosa su Attilio Manca devo pur chiederla. La proposta mi mette un po’ a disagio, ma al tempo stesso mi entusiasma, poiché potrò capire in che direzione intende muoversi la Procura distrettuale antimafia di Roma sul caso Manca. 

16 Aprile 2016. Arriva il fatidico giorno. I genitori di Attilio, anche loro galvanizzati dalla presenza del magistrato che ha catturato Provenzano, finalmente potranno sperare nella giustizia, dopo la sconcertante indagine portata avanti dalla Procura di Viterbo.

Va ricordato che l’urologo era stato trovato morto nel 2004 nella sua abitazione della cittadina laziale, dove da due anni prestava servizio presso il locale ospedale. Fin da subito i magistrati viterbesi avevano imboccato la pista del decesso per overdose di eroina, in virtù di due presunti buchi rinvenuti nel braccio sinistro della vittima (quello sbagliato perché Attilio era un mancino puro) e di due siringhe trovate in cucina e nel bagno con tappi salva ago e salva stantuffo regolarmente inseriti, senza minimamente sfiorare l’ipotesi dell’omicidio che in casi del genere, secondo i trattati di criminologia, andrebbe approfondita adeguatamente, specie se la famiglia della vittima parla insistentemente di omicidio di mafia. 

Anni di grandi umiliazioni, quelli attraversati da Angela e da Gino Manca, mai ascoltati dai giudici di Viterbo e addirittura estromessi dal processo imbastito nei confronti della donna romana, Monica Mileti, che, secondo la Procura, avrebbe ceduto ad Attilio la “dose mortale”.

Però siccome quella primavera del 2016 è contrassegnata dalle clamorose rivelazioni di alcuni pentiti importanti, che hanno confermato la versione della famiglia Manca, ossia che era stata la mafia di Barcellona Pozzo di Gotto a commissionare ai servizi segreti deviati l’assassinio di Attilio, dato che solo i servizi segreti possono essere capaci di far passare un omicidio per una morte per overdose, i familiari del giovane urologo ripongono tutte le loro speranze nell’”eroe” che ha preso Provenzano.

E mi chiedono di passare da Barcellona – a pochi chilometri da Gioiosa – per rilevarli e recarci insieme al convegno. Hanno il cuore gonfio di attese. Durante il viaggio non fanno altro che parlare di Prestipino: “Stavolta sarà diverso, stavolta avremo giustizia”.

Gioiosa Marea è un bellissimo paese situato sulla costa tirrenica della Sicilia orientale che mi ha sempre ricordato – chissà perché – quegli affascinanti centri della Liguria vicini a Sanremo. Quel pomeriggio il paese è inondato di un sole primaverile carico di belle cose. Un’illusione.

Il primo segnale che tutto sarebbe andato diversamente ce l’ho quando vedo le locandine dell’evento affisse nelle vetrine dei locali pubblici. Contrariamente alla proposta telefonica, ad intervistare Prestipino sarei stato io assieme a un giornalista locale. Nessuna contrarietà, ma perché non mi hanno avvisato?, mi chiedo.

Lascio Angela e Gino davanti al circolo che ospita la manifestazione e dallo specchietto vedo che gli organizzatori molto gentilmente li guidano per farli accomodare in prima fila. Qualche minuto per posteggiare e arrivo nel luogo dell’evento. L’ingresso è uguale ad una secchiata di acqua gelata ricevuta in una giornata d’inverno. Sala gremita all’inverosimile. Convegno iniziato. Di solito quando un ospite che parte da lontano ritarda una decina di minuti riceve la seguente telefonata: “Che facciamo, sei nei paraggi, ti aspettiamo?”. Ma dato che c’è un ospite di riguardo che potrebbe avere degli impegni professionali, è giusto così. 

Entro dalla porta laterale, prendo il corridoio di sbieco e mi siedo al tavolo. A poco a poco mi accorgo di non essere neanche un co-intervistatore, sono soltanto un intruso capitato per caso in quel luogo estraneo.

Il discorso del magistrato si sofferma sulla mafia dell’Ottocento, sul trasferimento dei boss dalla campagna alla città dopo la seconda guerra mondiale, sul contrabbando di sigarette, sul “pizzo”, sul traffico di droga, nessuna parola sulle collusioni fra i potenti di oggi (e neanche di ieri) e Cosa nostra, men che meno sulle stragi degli anni Novanta. Insomma, una lezioncina sull’ala militare della mafia di altri tempi e nulla più.

A farmi prendere consapevolezza del ruolo che avrei avuto nei minuti successivi è il piglio deciso del collega, vero padrone di casa, che riprende la parola dopo il lungo intervento di Prestipino. Invece di dare il formale saluto al cronista arrivato da lontano e magari dargli la parola, lo ignora del tutto e continua con le sue domande.

Venti minuti di passione, di sudore, di imbarazzo e di pensieri: cosa è cambiato dal giorno della prima telefonata ad oggi, perché è stata stravolta la scaletta, perché non sono stato avvisato, cosa è successo? Perché, perbacco, qualcosa deve essere successa in questi giorni. Frasi che mi ronzano nel cervello mentre il magistrato continua la sua dotta prolusione sulla mafia del feudo.

Fine del secondo giro. E intanto, mentre continuo a stare seduto a quel fottutissimo tavolo, una canzone di Aznavour prende il posto delle domande più strane: “Ed io tra di voi che non parlo mai…”. 

Dopo trentacinque, quaranta minuti di dissertazione del magistrato, finalmente il collega si accorge che esisto e dice con sufficienza: “Approfitto dell’arrivo di Luciano Mirone per chiedergli se vuole fare una domanda al dottor Prestipino”.

Mi tocco per cercare di capire se sogno o son desto, tocco il legno, la sedia, i pantaloni, la giacca, sì, son desto. Mi viene concesso di fare “una” domanda, giusto perché sono scritto nelle locandine e poi non sta bene che dopo tutti questi chilometri faccia scena muta pur stando seduto al tavolo dei relatori.

A quel punto esco dal disagio e decido di fare lo stronzo. Del resto è anche facile, dato che nessuno si è permesso di parlare dei rapporti fra mafia e politica: decido di colmare un vuoto clamoroso e faccio una domanda lunghissima: lo sbarco degli americani in Sicilia, Portella della Ginestra, Andreotti, Berlusconi, Dell’Utri, Falcone, Borsellino, la trattativa, l’Agenda rossa”. E Attilio Manca? “Dottor Prestipino, lei da poco tempo indaga sulla morte di questo brillantissimo urologo di cui parlano i pentiti. Non più decesso per eroina ma delitto di mafia: secondo i collaboratori di giustizia, l’urologo avrebbe visitato il latitante Bernardo Provenzano, sia prima che dopo l’intervento chirurgico di Marsiglia. Ora, giustamente, io non le chiedo notizie sulle indagini coperte dal segreto istruttorio, ma può dare una speranza ai genitori, può dire loro che in questa nuova indagine non sarà lasciato nulla di intentato?”.  

Non riesco a finire la domanda che vengo interrotto, dalla sala parte un urlo: “Parli di Attilio Manca perché vuoi fare pubblicità al tuo libro”. “Vero è”, si sente dall’altra parte. “Attieniti all’argomento mafia, i fatti di droga non ci interessano”. Angela e Gino atterriscono.

Parte il brusio, si alza la cortina fumogena (metaforicamente parlando), si genera confusione, Prestipino prende il microfono: “Per deontologia non parlo mai delle indagini in corso”. Lapidario. L’applauso dei compaesani esplode come un tuono, interminabile.

Gino ad alta voce si rivolge al magistrato: “Lei ce l’ha un figlio? Sa che vuol dire perdere un figlio?”. Si crea il parapiglia. Che aumenta quando Angela sbatte sul tavolo dei relatori la foto del volto di Attilio tumefatto e pieno di sangue: “Le sembra la faccia di un morto per droga?”.

Il magistrato non fa una piega e il conduttore dichiara chiuso il convegno. Il titolare dell’indagine su Attilio Manca si alza, non saluta i genitori della vittima e se ne va seguito dalla scorta e da tanti ammiratori che formano un codazzo. Sul banco degli imputati, adesso, c’è chi si è permesso di macchiarsi della grave eresia di andare “fuori tema”, tempestato dagli improperi dei più scalmanati.

Un pomeriggio memorabile. Anche a Roma, alcuni anni dopo, il caso Manca sarà archiviato come suicidio per overdose di eroina. Senza lo straccio di una prova. L’indagine di Prestipino ripete per filo e per segno quella di Viterbo.

Oggi, nove anni dopo quel memorabile convegno, leggo che Prestipino è indagato per il motivo opposto per il quale nel 2016 si rifiutò di rispondere ad un cronista che passava da lì per caso e, da insalutato ospite, si permise di rivolgergli una domanda un po’ ingenua.

E oggi, per caso, quel cronista apprende che l’avvocato dell’indagato è lo stesso (a meno che non si tratti di un caso di omonimia) che all’epoca assistette la donna romana accusata e poi assolta dai magistrati di Viterbo di essere stata colei che vendette l’eroina ad Attilio, oltre ad essere lo stesso che, secondo l’ex magistrato Antonio Ingroia, difese Massimo Carminati, uno dei protagonisti di Mafia capitale. Coincidenze, sicuramente. Davanti al magistrato che voleva interrogarlo, Prestipino si è avvalso della facoltà di non rispondere.

Nella foto: il magistrato Michele Prestipino e l’autore di questo articolo nel convegno sulla mafia svoltosi a Gioiosa Marea (Messina) il 16 aprile 2016

Luciano Mirone