Don Alfio Cristaudo, 42 anni, docente stabile di cristologia e teologia patristica presso lo Studio Teologico San Paolo di Catania, è uno studioso della figura dei santi fratelli Martiri Alfio, Filadelfo e Cirino.
Don Alfio, perché è così importante la festa di sant’Alfio per la gente comune?
“È una devozione che a Trecastagni si è affermata a partire dal Cinquecento, soprattutto dopo il ritrovamento delle loro reliquie (1517). Eventi che ci sfuggono pienamente, hanno legato la città di Trecastagni alla devozione verso i tre Santi Fratelli, prevalendo sui culti precedenti, fino alla loro elezione come speciali patroni della città (1697). Il fascino emanato dalla vicenda dei fratelli Alfio, Filadelfo e Cirino, giovani nobili e belli, giunti da terre lontane come stranieri per testimoniare fino al dono della vita la fede nel Vangelo di Gesù Cristo, contribuì retrospettivamente ad alimentare l’idea del loro passaggio e della loro sosta presso il luogo in cui oggi, a Trecastagni, sorge il santuario loro dedicato: per tale ragione l’annuale festa in onore dei tre santi Fratelli non è semplicemente una festa cittadina, ma una festa etnea. Credo inoltre che nelle figure dei tre giovani fratelli, vittime di carnefici crudeli, il popolo siciliano, come nel caso del Cristo della passione e della Madre Addolorata, abbia proiettato le sofferenze che i ‘vinti’ di ogni tempo hanno sempre subito per mano del potere ingiusto e prepotente: in questo senso Alfio, Filadelfo e Cirino sono santi del popolo”.

Padre Alfio Cristaudo, studioso della figura dei santi fratelli Martiri Alfio, Filadelfo e Cirino. Sopra: le statue dei tre Patroni nel santuario di Trecastagni (Catania)
Quindi storicamente i fedeli si sono legati ai tre santi di Trecastagni perché giovani e belli?
“L’idealizzazione dei tre santi Fratelli come giovani e belli affonda le radici nel nostro retroterra culturale greco: noi siciliani, soprattutto quelli orientali, in fondo siamo anche greci. Poiché nella mentalità greca antica il bello e il buono coincidono, anche il dialetto siciliano, come si evince dalle pratiche di devozione, ha tramandato l’insistenza sulla santità intesa come bellezza: Chi su’ beddi sti tri santi, tutti tri ‘na vuluntà. La bellezza interiore, cioè il concetto di bontà d’animo, nella cultura siciliana tradizionale si esprime attraverso la bellezza fisica”.
È solo fede o c’è anche del folclore?
“Non è facile rispondere a questa domanda: bisogna vedere cosa si intende per fede. Come spesso accade in tali manifestazioni, fede correttamente intesa, atti religiosi e atteggiamenti antropologici convivono insieme ed è difficile discernere tra di essi. La fede cristiana può anche diventare cultura, folclore, identità, sebbene a volte il rischio di queste manifestazioni sia quello di ignorare la memoria provocatrice che le figure dei festeggiati rappresentano”.

C’è questo rischio?
“In certi momenti sì. A volte la memoria dei martiri, addomesticata dalla consuetudine, diventa soltanto un’occasione di svago folcloristico e anche gli atti religiosi rischiano di diventare ambigui, soprattutto quando la devozione è alimentata dalla logica del ‘do ut des’, cioè quando si pensa di offrire qualcosa in attesa di un contraccambio, ma senza lasciarsi interpellare dai valori evangelici per cui i martiri hanno dato la vita”.
Specialmente nella notte tra il nove e il dieci maggio si assiste a delle scene strazianti di implorazione dei santi da parte di migliaia di fedeli giunti da ogni parte della Sicilia orientale, e non solo, per chiedere un miracolo, una grazia, una intercessione. Sembra che in quei momenti ognuno abbia un colloquio interiore coi santi, soprattutto con sant’Alfio. Difficilmente si riscontra in Sicilia un “pathos”, una drammaticità così forte.
“Soprattutto nel passato, la devozione ai martiri Alfio, Filadelfo e Cirino è stata trasmessa prevalentemente attraverso il registro miracolistico, cioè quello della richiesta di una grazia da esaudire. Di conseguenza le scene strazianti che a volte possono verificarsi in santuario hanno a che fare con difficoltà irrisolte, drammi umani o con esternazioni di ringraziamento. Questa impostazione è un’arma a doppio taglio: se da una parte è inevitabile che il ricorso alla trascendenza avvenga laddove si sperimenta tutto il limite della condizione umana, è anche vero però che l’esperienza religiosa non può limitarsi al ‘Dio tappabuchi’, altrimenti essa scomparirebbe parallelamente al progresso tecnologico e scientifico dell’umanità. E l’esperienza religiosa non dipende soltanto dai limiti fisici dell’uomo, ma nasce da una domanda di senso più profonda”.
Le centinaia di pannelli ed ex voto che raffigurano i miracoli sembrano dimostrare questo bisogno.
“Le tavolette degli ex voto, soprattutto quelle più antiche, risalgono all’Ottocento e sono dipinte a mano su pannelli di lamiera. Gli ex voto costituiscono un patrimonio etnografico di straordinaria importanza. L’insieme delle tavolette, oltre che a offrire un’eloquente testimonianza dei sentimenti religiosi, testimonia anche lo sviluppo degli usi e dei costumi della popolazione. Probabilmente le più antiche sono andate perdute: al museo Pitrè di Palermo se ne conserva una proveniente da Trecastagni e datata al 1810”.
Perché la tradizione popolare ritiene sant’Alfio un santo molto miracoloso?
“Queste convinzioni dipendono sempre da esperienze straordinarie: le esperienze si sedimentano nella memoria collettiva, diventando un fatto”.
Qual è il messaggio che lanciano oggi questi tre fratelli Martiri?
“In un’epoca in cui l’uomo pretende di fondare la propria esistenza su verità convenzionali e autoreferenziali, fabbricate a misura personale, i tre santi fratelli Alfio, Filadelfo e Cirino richiamano fedeli e devoti al primato della coscienza, al valore della verità, che è il Vangelo di Gesù Cristo, per il quale vale la pena di donare la vita; inoltre il loro martirio insiste sulla logica della non-violenza come criterio per affrontare persino le avversità dell’esistenza quotidiana. Amore, fedeltà, lealtà sono valori che non sviliscono l’uomo, ma lo nobilitano. La vicenda dei tre Fratelli evidenzia anche il valore dell’accoglienza, che da tempi immemorabili, con il contributo di matrici culturali diverse, ha caratterizzato la cultura del popolo siciliano”.
Redazione
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