Ieri a Catania è stato celebrato un grande attore, “mitico” secondo il Corriere della Sera, Aldo Puglisi, in occasione del suo novantesimo compleanno. Ed anche se lui ci ha lasciati nel luglio scorso per dei problemi polmonari causati dal covid, la sorella Giovanna, coadiuvata da Rita Stivale del teatro “Il canovaccio”, ha voluto organizzare un evento degno dell’Artista, un evento che è andato “oltre” la commemorazione ed ha toccato le corde più sensibili del pubblico che ha gremito il salone della parrocchia Santi Pietro e Paolo della sua città.

Sì, ieri è stato celebrato un Attore con la A maiuscola. Per l’impronta indelebile che ha  lasciato nella commedia all’italiana, con quel ruolo da protagonista che, ad appena vent’anni, nel periodo in cui Aldo frequentava il Centro sperimentale di cinematografia, gli fu affidato da Pietro Germi in “Sedotta e abbandonata” (1964), che lo vide nel ruolo di Peppino Califano al fianco di una splendida e giovanissima Stefania Sandrelli (Agnese Ascalone) . Per la straordinaria versatilità di essere indifferentemente attore comico e drammatico (sia al cinema che al teatro). Per l’umiltà con la quale gestiva i rapporti umani.

Una mattinata piena di spezzoni di interviste tratte dalla Rai e dal Prato FilmFest, e di porzioni delle performance cinematografiche più significative fra le 23 interpretate (oltre a “Sedotta e abbandonata”, vanno ricordate, “Matrimonio all’italiana” di Vittorio De Sica con Sophia Loren e Marcello Mastroianni; “Signore e signori” di Germi; “La ragazza con la pistola” di Mario Monicelli con Monica Vitti; “Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare di agosto” di Lina Wertmuller con Giancarlo Giannini e Mariangela Melato; “Segreto di Stato” di Paolo Benvenuti), di testimonianze molto toccanti di colleghi, amici, familiari e intellettuali (gli attori Sergio Nicolai e Paola Abruzzo, figlia di Michele, erede di Musco ed altro mattatore del palcoscenico italiano; lo storico Mario Patanè, l’artista Antonio Santacroce, il musicista Germano Mazzocchetti; la sorella Giovanna, la nipote Gloria Anselmi nei panni della presentatrice, e l’autore di questo articolo), con gran finale musicale in cui Alfio Patti e Santo Privitera hanno intonato la proverbiale “serenata” che Peppino fa ad Agnese nell’indimenticabile film di Germi.

Aldo Puglisi con Sophia Loren ne “Matrimonio all’italiana” di Vittorio De Sica, con Marcello Mastroianni. Sopra: l’attore assieme a Stefania Sandrelli in “Sedotta e abbandonata”

E poi le diapositive delle locandine di centinaia di opere teatrali che ha interpretato. Fra questi, “Orlando furioso”, “I lunatici” e “Utopia” (regia di Luca Ronconi), “Caligola” e “Cyrno de bergerac” (Maurizio Scaparro), “Passione” (Antonio Calenda), “Il coraggio di un pompiere napoletano” e “La locandiera” (Carlo Cecchi), “La pazza di Chaillot” di Jean Giraudoux, “Il berretto a sonagli” di Pirandello, “Cirano di Bergerac” di Edmond Rostand con Pino Micol. 

La storia di Aldo Puglisi è davvero paradossale e oggi – se non fosse stato per un mondo cinematografico abituato a selezionare gli attori in base ai cliché – probabilmente avremmo raccontato una storia più intensa, almeno per i cultori del grande schermo.

Ad essere la sua croce e la sua delizia fu quel “Sedotta e abbandonata”, che ad inizio carriera gli procurò una notorietà straordinaria, ma al tempo stesso lo “condannò” a vivere con l’etichetta del “maschio latino”, lui che col suo carattere schivo, gentile e raffinato ha sempre avuto l’aria del gentiluomo inglese.

Ma se alle selezioni Germi lo preferì ad attori come Lando Buzzanca e Thomas Milian (parliamo del Thomas Milian di inizio carriera: per intenderci quello che un paio d’anni prima aveva recitato al fianco di Marcello Mastroianni e Claudia Cardinale ne “Il bell’Antonio” di Mauro Bolognini) un motivo doveva pur esserci.

Ed il motivo era semplice: Germi capì di trovarsi di fronte un talento vero, formatosi alla scuola dei Mostri sacri del teatro siciliano come Giovanni Grasso, Angelo Musco, Tommaso Marcellini, Marinella Bragaglia, Mimì Aguglia, Michele Abruzzo e Umberto Spadaro, con i quali diversi esponenti della sua famiglia avevano recitato nei teatri di tutto il mondo.

E lo scritturò immediatamente. Ad aiutarlo molto (altro paradosso), quella timidezza innata che, al momento delle selezioni, lo inibiva parecchio, soprattutto quando si trovava al cospetto del grande regista, ma al tempo stesso lo rendeva molto umano stemperando i tratti somatici del maschio siciliano in gioventù molto marcati in Aldo. Ma Germi voleva esprimere l’interiorità del personaggio ed uscire fuori dagli stereotipi e dai luoghi comuni. 

“Peppino Califano è lui”, disse mentre fumava il suo proverbiale sigaro. Era vero. Aldo emanava eros, ma tremava quando parlava col regista genovese (basti pensare che cercava di troncare sempre i discorsi dicendo sempre “grazie”): era timido, romantico, impacciato e talmente bravo da essere “involontariamente” simpatico. Il siciliano che voleva Germi.

Eppure Aldo, in quel film, espresse il trenta o il quaranta per cento del suo immenso potenziale artistico. Me lo disse quando lo intervistai per Repubblica per un reportage sui film celebri girati in Sicilia (poi il libro “Il set delle meraviglie”). “Ma scherzi!”, esclamò. “Per uno che da bambino respira l’aria del palcoscenico assieme agli attori immensi delle compagnie siciliane, è un gioco da ragazzi fare quelle cose”. Anche questo era vero. Solo che lui era “oltre” il cinema.

Ed oltre il cinema c’è sempre stato il teatro (non a caso la definizione di “parenti poveri” che gli artisti del palcoscenico hanno affibbiato a quelli del set), il teatro vero, quello “del gelo” delle prove (secondo la definizione eduardiana), ma anche del calore del pubblico delle prime e delle repliche, dell’emozione del debutto e della paura di andare fuori tempo o di dimenticare una parola.

Queste prove, Puglisi, le ha sempre superate brillantemente, sia in Italia che all’estero. Tranne nella sua Catania, da dove è dovuto andar via giovanissimo per stabilirsi a Roma (come Leo Gullotta e Pino Caruso), e dove le istituzioni teatrali più importanti come lo Stabile non hanno fatto mai nulla, non diciamo per accaparrarselo (sarebbe stato difficile con le offerte che aveva), ma quantomeno per fargli fare delle tournée nella sua città natale. Aldo ne ha preso atto con filosofia e non ha mai recriminato o inveito: semplicemente ha continuato tranquillamente a calcare le tavole dei teatri europei.

Ieri lui non c’era, ma c’era. E Catania gli ha tributato un grande applauso.

Luciano Mirone