“Ingenti somme di denaro” richieste a una ditta di Belpasso (Catania) specializzata nell’estrazione e nella lavorazione della pietra lavica. Queste le accuse che la magistratura di Catania formula a quattro soggetti di Paternò gravemente indiziati del reato di concorso in estorsione aggravata anche dal “metodo mafioso”.

Per questo, su delega della Procura Distrettuale del capoluogo etneo, i Carabinieri del Comando Provinciale hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia.

L’indagine, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia etnea e condotta dai Carabinieri del Nucleo Operativo della Compagnia di Paternò da febbraio a maggio di quest’anno, ha consentito di riscontrare anche con attività tecnica, seppur in uno stato del procedimento nel quale non è ancora intervenuto il contraddittorio tra le parti, una estorsione aggravata condotta mediante minacce derivanti dall’appartenenza al clan mafioso di Giovanni Rapisarda (classe ’58) –  inteso “Sansuneddu”, pregiudicato appartenente alla famiglia di cosa nostra etnea “Santapaola Ercolano” e detenuto all’ergastolo per un omicidio di un noto imprenditore catanese commesso nel 1993 – che sarebbe stata operata attraverso i suoi figli Giuseppe (classe ’88), con precedenti per droga, e Valerio (classe ‘92), nonché sua moglie Santa Carmela Corso classe ’61).

Giovanni RAPISARDA, sebbene detenuto, avrebbe impartito le disposizioni dal carcere attraverso i colloqui con i suoi familiari o lettere dal tono intimidatorio indirizzate alla vittima, gestore di una ditta di Belpasso operante nel settore dell’estrazione e lavorazione di pietra lavica al quale veniva richiesta, sin dal 2012, una cifra complessiva di 1 milione 700 mila Euro.       

Le indagini prendevano le mosse da numerosi servizi di osservazione svolte dai Carabinieri i quali notavano diverse e frequenti visite dei fratelli RAPISARDA nella sede della ditta. La successiva attività investigativa, svolta anche attraverso l’installazione di telecamere all’interno dell’azienda, permetteva di ritenere che l’ergastolano, sebbene recluso, richiedesse attraverso i figli e la moglie il versamento di ingenti somme di denaro sin dall’anno 2012 da effettuarsi mediante pagamenti in contante, assegni, cambiali e acquisto di mezzi d’opera (nello specifico, l’acquisto di un escavatore).

La vittima, a seguito dell’acquisizione di un ramo dell’azienda già di proprietà di altri componenti della famiglia RAPISARDA, rispettivamente fratelli e sorelle di Giovanni RAPISARDA, pur avendo già consegnato 700 mila Euro negli ultimi 10 anni per crediti illecitamente vantati di un milione di euro, riceveva un’ulteriore richiesta estorsiva di 700 mila Euro, dilazionati in 5 anni attraverso il pagamento di una somma tra i 1.500 e 3mila Euro settimanali o, in alternativa, la cessione della ditta.

I Carabinieri di Paternò, per impedire che il reato si potesse portare a conseguenze ulteriori, traevano dunque in arresto in flagranza di reato nei giorni scorsi Giuseppe RAPISARDA e la madre Santa CORSO i quali, dopo essersi recati presso la sede della ditta di Belpasso, avevano ricevuto dalla vittima una busta contenente 2mila euro, quale rata della richiesta estorsiva.

Nel corso di uno degli ultimi incontri, Giuseppe RAPISARDA avrebbe palesato esplicitamente la richiesta, specificando che quei soldi gli erano dovuti in quanto la cava della vittima (“(..) era la nostra cosa, (..), perché oramai non è che è un giorno, dodici anni, tredici anni e dobbiamo chiudere sta partita…vedi tu cosa vuoi fare!”) proferendo altresì nei confronti della vittima frasi del seguente tenore,  “(..) che i o te lo avevo detto..mio padre il suo piacere è questo, perché qui era la cosa sua”). Gli arrestati sono tuttora associati presso le case circondariali di Grosseto e Catania Bicocca.

Redazione