Comincia giovedì 14 aprile, presso la IV sezione Penale del Tribunale di Catania, il processo nei confronti del presunto stalker di Calatabiano (come viene definito dai denuncianti), che sui Social si definisce “uomo libero e di sani costumi”. Un vero e proprio “caso”, che dopo alcuni anni approda in un’aula di giustizia.

A segnalare con un post su Facebook la data della prima udienza è Ida Bonfiglio, uno dei bersagli di insinuazioni, volgarità e insulti vari arrivati via Social, che per diverso tempo hanno creato “tensioni, paure e apprensioni” in questo piccolo centro alle pendici dell’Etna, fra Catania e Messina.

Ida Bonfiglio si è coraggiosamente rivolta ad un avvocato e, dopo vane segnalazioni, ha trovato dei magistrati disposti a darle retta. Sì, perché il paradosso, in casi del genere, è costituito dal fatto che ancora (i Social sono stati inventati da pochi anni) alcuni tutori della legge sottovalutino un fenomeno devastante come questo, confondendo lo stalking su web con la goliardia o al massimo con la critica politica.

Ida non si è persa d’animo, ha consultato sentenze, ha contattato altre persone che si trovavano nella medesima condizione, ha preso carta e penna e ha denunciato tutto al Tribunale di Catania.

“Dopo anni di paziente attesa, nutrita da ferma ed assoluta fiducia nelle Istituzioni – scrive la signora Bonfiglio – avrà inizio un processo in cui sarà chiarito chi, in quanti e perché, mi hanno diffamata usando i social e non solo”.

“Mi auguro – prosegue Bonfiglio – che sia fatta chiarezza su tutto e di avere giustizia, al fine di ritrovare la mia serenità e spero con tutto il cuore che questa possa essere anche un’occasione per il paese in cui vivo”.

“Calatabiano – dice Ida – è dilaniata da odi e faide, faide che negli anni sono state amplificate e rese ancora più violente da un uso insano dei social”.

“Sarebbe meraviglioso – seguita Bonfiglio – se la nostra piccola comunità ne prendesse atto, così come del resto hanno già fatto in molti prendendo le distanze dalle ‘gogne mediatiche e di piazza”.

“Mi auguro – conclude l’autrice del post – che ‘gli amici di Gino’ (Gino è la persona denunciata, ndr.) comprendano finalmente quanto male è stato inferto e coltivato fin qui e che ogni adulto ha l’obbligo di assumersi le responsabilità del suo operato davanti alla legge”.

Lo scritto di Ida Bonfiglio – al di là delle eventuali responsabilità giudiziarie del presunto stalker, che sarà il Tribunale a stabilire – costituisce uno “spaccato sociale” sull’uso contorto dei Social. Un mezzo potentissimo come Facebook – che dovrebbe servire a veicolare informazioni, eventi e stati d’animo “sani” – viene utilizzato, da determinati individui, per consumare vendette (personali e politiche), per sfogare rancori e per esprimere odio, con il pretesto che siccome viviamo in uno Stato “libero e democratico”, tutto è possibile.

Il post di Ida Bonfiglio – al di là della vicenda giudiziaria – dà lo spunto per dire che in alcuni casi ci troviamo oltre la famosa frase di Umberto Eco, “Facebook ha sdoganato gli imbecilli”, per la semplice ragione che Facebook ha sdoganato anche gli psicopatici, i gelosi sociali e gli odiatori seriali, insomma una fauna umana che ha bisogno della “preda” per saziare l’irrefrenabile bulimia da insulto da cui sono afflitti.

Troppo variegata la tipologia del “leone da tastiera” per tentarne una descrizione che solo sociologi, antropologi e psichiatri possono fare.

Questo processo tuttavia – uno dei primi in Italia su un fenomeno che non vede come vittime i divi del cinema o della televisione, ma le persone comuni – offre molti input, poiché mette in evidenza le dinamiche psicologiche e sociali di certi individui e di certe comunità.

Calatabiano è una metafora delle gravissime patologie che affliggono determinate realtà profondamente malate. Ida Bonfiglio non limita la sua denuncia al suo presunto molestatore seriale, ma allarga il campo agli “amici” di quest’ultimo, che hanno diffuso l’odio attraverso il ventilatore – per usare un’altra metafora – che ha fatto schizzare il fango dovunque, con conseguenze devastanti per le vittime e per i propri familiari, costretti a subire certi oltraggi da cui non possono difendersi.

Il caso Calatabiano va “oltre” Calatabiano e mette il dito su una piaga purulenta di cui molte persone perbene sono vittime. La casistica è ampia e somiglia a un gigantesco iceberg di cui si vede solamente la punta. Oltre a sdoganare gli imbecilli (senza volere generalizzare), Facebook ha dato il via libera a parecchia gente malvagia, che col tempo è riuscita ad evolvere la tecnica della denigrazione: alcuni colpiscono attraverso il vecchio e grossolano pseudonimo (facilmente rintracciabile dalla polizia postale), altri hanno capito il gioco e nella loro “lucida follia” si sono adeguati: si presentano spavaldamente con nome e cognome, ma (per evitare querele) storpiano le generalità della vittima o utilizzano elementi che la pubblica opinione riconosce immediatamente. Basta raccontare delle balle colossali, condirle con qualche citazione letteraria e il gioco è fatto. Dopodiché se qualcuno si permette di protestare educatamente, si passa al contrattacco, senza soluzione di continuità. 

Un tempo a Catania c’era un personaggio che tutti chiamavano “Ciccio pernacchia”, famoso intonatore di suoni volgari che sfiatavano dalla sua bocca, passavano dalle fessure delle dita, dagli interstizi dei denti e si espandevano fino al quarto o al quinto piano di un palazzo: avevano il fine di umiliare la vittima predestinata. Pippo a volte operava per proprio conto, a volte per conto terzi (con mandanti anche politici) mediante ricompensa: “Pippo, a chissu l’ha suttirrari ‘ccu ‘mpiritu”.

Pippo si nascondeva all’angolo della strada, chiamava (“a vuci di testa”) il destinatario dell’”affettuoso gesto” ed usava da par suo lo strumento che madre natura gli aveva donato: un suono così potente che suscitava l’ilarità degli astanti e la fuga del perseguitato.

Per tanti anni “Pippo pernacchia” è stato un “simbolo”. Un grande simbolo dell’ironia ma anche della volgarità di quel pezzo di città che non conosceva di meglio che ricorrere ai peti boccali (o magari alle lettere anonime) per togliere di mezzo avversari o gente che dava fastidio.

Oggi le cose sono cambiate. La volgarità è diventata violenza, la società si è imbarbarita e ha trovato nei Social un poderosissimo microfono che diffonde i peti nauseabondi di certi personaggi dappertutto, con la complicità degli “amici” (così li definisce Ida Bonfiglio), compresi certi “intellettuali” e certi “politici” (le virgolette sono d’obbligo) i quali, facendo finta di cadere dal pero, si intrattengono in amabili discussioni “culturali” che finiscono oggettivamente per legittimare lo stalker, che ha lo scopo di “sbranare la vittima.

Il caso Calatabiano evidenzia che determinati soggetti possono contare su una rete di complici e che diverse vittime sono costrette a rivolgersi al cardiologo o allo psicologo per problemi di salute. Per questo bisogna lanciare un appello a tutte le persone perbene: non credete ai diffamatori seriali, isolateli, segnalateli alla magistratura e agli assistenti sociali. Che qualcuno, una volta per tutte, si prenda cura di loro.

Luciano Mirone