Riuscirà l’eroico popolo ucraino a fermare l’armata di Putin? Serviranno a qualcosa le durissime sanzioni imposte dall’Occidente? Ci sarà il temuto allargamento del conflitto? Chi vincerà la guerra? Nella terza settimana dall’inizio dell’aggressione, anche se l’esito sembra scontato, nessuno sa dare risposte tranquillizzanti. Certo, l’avanzata dell’esercito russo è rallentata dalla sorprendente resistenza degli Ucraini e dalla tenacia del presidente Zelensky; ma pochissimi sono coloro che oggi scommettono sul successo del piccolo Davide contro il gigante Golia. 

Eppure il Putin che vince è un Putin che perde! E per comprendere il paradosso non occorre possedere la sfera si cristallo. Basta comparare gli obiettivi che stanno alla base della tragedia con gli esiti che si profilano all’orizzonte.

Da un veloce esame, emerge con chiarezza che l’obiettivo strategico prioritario di controllare politicamente ed economicamente l’Ucraina ha prodotto lutti, odio, devastazione del territorio, guerriglia urbana, genocidio e diaspora di un popolo. Pertanto, renderà difficile la pace, la riconciliazione tra i Russi e gli Ucraini, la ricostruzione in un territorio devastato dalle bombe.

Il secondo grande obiettivo strategico di espandere la Russia a occidente, indebolire la Nato, l’Unione Europea e gli Usa ha già determinato il consolidamento dell’alleanza atlantica e la richiesta di aderirvi di Finlandia e Moldavia, confinanti con la Russia. Ha rafforzato, inoltre, l’Europa, accelerando il processo di unione e di adesione dei pochi paesi che ancora oggi non ne fanno parte.

Lo scenario che ci riserverà il futuro sarà la corsa al riarmo dell’Occidente e l’azzeramento della dipendenza dell’Europa dagli idrocarburi russi. 

E veniamo infine all’ultimo grande obiettivo di Putin. Se l’ipotizzata “guerra lampo” doveva consolidare il suo prestigio interno e internazionale, quella reale di logoramento ha compromesso irreversibilmente la sua immagine e probabilmente anche la sua leadership dentro e fuori i confini nazionali. Crescente è, infatti, l’onda interna di resistenza alla guerra, malgrado la repressione e gli arresti in massa.

E sono in tanti oggi a ipotizzare che le difficoltà economiche, conseguenti alle sanzioni occidentali, sono un’anticipazione dell’imminente default della Russia. A chi serve quindi l’orrore scatenato dal presidente russo, se la tragedia incombe ineluttabile anche sulla testa di chi l’ha generata? La risposta che non c’è alimenta la disperazione, genera lo sconforto, accresce il pessimismo verso la reale capacità della nostra specie di affrancarsi dalla ricorrente tentazione all’autodistruzione.

Ci siamo illusi che la razionalità del terzo millennio reggesse alla spinta degli istinti primordiali. Eravamo persuasi che l’ombrello atomico e la minaccia della reciproca estinzione preservasse la pace dalle tentazioni di ricorrere alla forza. Abbiamo in tanti sognato che l’uomo non fosse più uomo fino all’ultima maledetta alba di fuoco.

Nella foto: un momento della guerra in Ucraina

Nino Pulvirenti