È quando quella piccola linea biancastra comincia a delinearsi sul tampone, che all’improvviso capisci quanto sei stato stupido ad illuderti di farla franca. Un attimo di distrazione, hai tolto la mascherina, ed ecco che quell’essere minuscolo si è intrufolato, si è fatto largo e si è impossessato di te, senza concederti alcuna possibilità di reazione.

Stavolta è il tuo turno, non ci sono errori che possano giustificare quel segmento grigiastro sempre più tendente al nero che si staglia in corrispondenza della lettera T. Sei positivo al Covid, lo ha confermato anche il medico al quale hai appena inviato la foto.

E così tutt’a un tratto vieni catapultato nella realtà, perché alla fine ognuno ha un Covid da raccontare: attraverso un amico, un familiare o se stesso. Ognuno di noi lascerà qualche traccia di questa sterminata guerra senza bombe, con morti e ferite (non solo fisiche) da narrare ai posteri. E la realtà è l’isolamento al quale l’Asp ti ha ordinato di stare. Una stanza dove – anche con la febbre e i dolori che ti spaccano le ossa – devi cercare di fare qualcosa se non vuoi abbatterti.

La verità è che dopo che è toccato ad altri milioni di esseri umani, stavolta è toccato a te. E non c’è metafora migliore per indicare che prima o poi… sì certo, prima o poi, è un pensiero costante da quando la lineetta del tampone è diventata nera… l’aldilà, il Padreterno, il turno, certo… ma è un pensiero costante anche la vita, i sogni, la bellezza, e tu che senti di essere al centro di questa eterna diatriba, mentre dentro di te avverti che quell’esserino continua a far festa, ha già apparecchiato la tavola e si è messo pure il bavaglino: ha fame, vuole nutrirsi.

Lo senti davvero, ci parli, gli chiedi se veramente viene dal pipistrello o da quella misteriosa centrale di Wuhan, dove qualcosa potrebbe essere scappata di mano. Ha troppa fame, non gli va di parlare. E però dentro di te senti altre voci. Quella dei bravi medici ai quali ti sei rivolto: “Anche se hai fatto il vaccino sei mesi fa (per giunta il monodose Jhonson e Jhonson), per un po’ sei coperto. E comunque il siero ha la capacità di attivare il sistema immunitario anche quando ci sono scarse coperture, quindi cerca di stare sereno”. 

E allora mi metto a guardare lo spicchio di cielo che la stanza mi mette a disposizione. Un giorno grigio, un giorno azzurro, un giorno attraversato da quelle nuvolaglie arrivate da qualche parte e destinate a chissà quale altra parte di infinito. Vi sembrerà strano, ma è bellissimo aprire l’imposta e respirare a pieni polmoni l’aria pura del mattino: il nuovo ospite si incazzerà, ma è uno sprazzo di vita che evoca le partite di calcio, le lunghe nuotate, la ricreazione fra l’ora di latino e l’ora di matematica.

Accendo la televisione. Prima dell’ospite, divoravo i programmi di attualità, ora preferisco la natura, la storia, la cultura, il bei film, forse vi sembrerà strano ma guardo anche Giorgione e Vito, le loro ricette narrate dal cuore dell’Italia. La vita è diversa da questa postazione: ad essere importanti non sono le grandi cose, ma i piccoli gesti di solidarietà, hai bisogno di qualcosa? Cosa ti compro oggi?     

No, di decessi, di manovre economiche, di crisi di governo, di politica estera ne ho piene le scatole, voglio le piccole cose, voglio la vita.

Luciano Mirone