Un  progetto che si ispira alle green way americane, un lungo percorso ferrato da fare a piedi, in bicicletta e a cavallo (qualcuno ha avanzato l’idea di un tragitto in vaporiera, almeno nei tratti più fruibili, ma ancora si tratta di una intenzione allo stato embrionale) che si muove lungo la Valle del Simeto attraverso la vecchia Ferrovia delle arance, ormai dismessa, dalla quale un tempo passavano i vagoni carichi di agrumi destinati al Continente e al resto d’Europa.

Oltre cinquanta chilometri di fichidindia e di ulivi, di mandorli e di casette rurali, di stazioni ferroviarie e di dimore del casellante da valorizzare come “nuova via” del turismo siciliano, che si integra perfettamente con le escursioni da fare nel territorio del fiume più lungo della Sicilia, a un passo dal vulcano più alto d’Europa, dai castelli, dagli antichi ponti, dai vecchi mulini, dalle zone archeologiche, e financo dalle mete più prestigiose dell’Isola.

Una stazione lungo la Ferrovia delle Arance. Sopra: un tratto dei 50 chilometri della linea Motta Sant’Anastasia-Regalbuto (foto Cristiano La Mantia)

Non è un’utopia. È un sogno che potrebbe trasformarsi in realtà: un concreto progetto di “sviluppo sostenibile” che il Presidio partecipativo del Patto del Fiume Simeto (decine di associazioni, composte anche da molti giovani, che operano negli undici comuni della Valle) sta portando avanti per incrementare l’economia attraverso la valorizzazione delle risorse naturali.

Ecco allora una miriade di progetti (l’Ecomuseo all’aperto e l’azione di sviluppo per le aree interne, sono fra questi) messi “a sistema” mediante un’azione mirata di coordinamento e di collegamento con le università straniere, che, oltre al Presidio, vede impegnati direttamente l’Ateneo di Catania, le Amministrazioni comunali, il Cnr e diverse altre istituzioni. 

La mappa della Ferrovia delle Arance redatta da Medea Ferrigno

Un esempio di governance “dal basso” che all’emergenza climatica, al sottosviluppo e all’inciviltà contrappone la sostenibilità, la bellezza, le idee e la cultura. Traduzione: la casalinga, il ragazzino o l’operaio che interloquiscono alla pari (qui si dice “orizzontalmente”) con lo studente dell’università di Memphis o col cattedratico che spiega il valore delle energie sostenibili, del riciclo dei rifiuti e della salvaguardia delle biodiversità, mentre l’artista dà un tocco di fantasia al progetto. 

Un’altra stazione con lo sfondo dell’Etna (foto di Cristiano La Mantia)

A spiegare i contenuti del progetto della Ferrovia delle Arance è il presidente del Presidio partecipativo, David Mascali (ricercatore di Fisica all’Università di Catania).

“Si tratta – dice Mascali – della linea ferrata Motta Sant’Anastasia-Regalbuto, dismessa alcuni anni fa, che collegava due punti strategici delle province di Catania e di Enna per la commercializzazione degli agrumi. Questa struttura costituisce un tema centrale che il Presidio affronta da diverso tempo per la valorizzazione delle maggiori peculiarità di questo territorio: varie le proposte formulate ‘dal basso’ attraverso un dibattito aperto, che dal 2015 ad oggi ha registrato un impulso notevole attraverso l’idea di ripristinare questa ferrovia, non per riportarla alle funzioni di un tempo, ma per farla diventare un punto di riferimento per i turisti di tutto il mondo, riprendendo le stazioni (nove, più le case dei casellanti) che fanno parte di questo itinerario: strutture molto belle anche esteticamente, che possono essere trasformate in poli culturali, in centri di aggregazione, in alberghi diffusi, caratterizzandole con dei temi cari alla comunità locale: l’agricoltura, il cibo, il fiume Simeto, i beni culturali”.

La stazione San Marco di Paternò (Catania) durante una Summer School con studenti italiani e stranieri

Una spina dorsale nella Valle del Simeto?

“Esattamente. Che parte da Motta ed arriva al lago di Pozzillo. Di queste nove stazioni, quattro sono quelle principali (San Marco a Paternò, Schettino tra Paternò e Santa Maria di Licodia, Mandarano tra Biancavilla e Centuripe, e infine Regalbuto, situata in una posizione splendida tra la Valle del Simeto, l’Etna e il lago). Una ferrovia che ha un inestimabile valore, perché attraversa il paesaggio rurale della Valle. Nel 2016 il Presidio comincia a lavorare sulla stazione di San Marco promuovendo un bellissimo evento al quale partecipano oltre 300 persone, malgrado il maltempo: si è creato un vasto collettivo di associazioni che si è occupato di recuperare il recuperabile, ma anche di formulare progetti per il futuro e per attrarre risorse da investire per il progetto”.

Gli artisti che danno un tocco di fantasia al progetto

Qual è il percorso che avete fatto?

“A metà del 2016 viene fondata l’associazione Suds (Stazioni unite del Simeto), nel 2017 viene organizzata una scuola estiva con le università italiane e americane per riflettere su come rilanciare questo percorso verde assieme alle  Stazioni. Nel 2018 viene allestita un’altra Summer School focalizzando l’attenzione sulla stazione di Schettino, dato che su San Marco si stava già lavorando. Si immagina che Schettino possa diventare il fulcro di tutte le attività che riguardano l’enogastronomia con una cucina di comunità, un polo sulla cultura del cibo nella Valle del Simeto”. 

Quindi?

“Parallelamente il collettivo installatosi a San Marco (che stava conducendo delle attività culturali), a un certo momento perde di vista il metodo partecipativo e aperto al contributo di tutti e intraprende una via propria, con una propria elaborazione progettuale: un atteggiamento non compatibile con i principi della democrazia partecipata”.

Una passeggiata su un pezzo di linea ferrata

Un pezzo di archeologia industriale che convive in un mare di natura

La passeggiata continua sotto un ponte antico

È una accusa?

“Come presidente del Presidio mi sento di esprimere una certa distanza dal percorso che alla stazione San Marco è stato intrapreso dal 2018 in poi, che non guarda più all’intero progetto , ma focalizza l’attenzione solo su quel bene. Il fatto paradossale è che quel gruppo, da due anni, non rinnova la propria associazione formale alla rete rappresentata dal Presidio partecipativo”.

Lei quindi parla di una frattura all’interno del Presidio. Questa frattura sta cambiando i vostri progetti?

“Assolutamente no. La ‘Ferrovia delle arance’ rimane una priorità del nostro lavoro, con il coinvolgimento di altre associazioni e dei Comuni interessati dalla tratta ferroviaria per riaprire un percorso partecipato e condiviso che riguardi l’intero asse”.

A Paternò ci sono state altre polemiche piuttosto aspre su un progetto di 80mila Euro riguardante sempre la stazione ferroviaria di San Marco.

“E’ successo che con il ‘bando periferie’ (un finanziamento del Governo nazionale per supportare le periferie delle aree metropolitane, recuperando beni, infrastrutture, luoghi, eccetera), allorquando si era capito che c’era un margine di un intervento su San Marco. Si poteva presentare una proposta progettuale per il recupero di quella stazione (l’edificio, la vastissima area circostante, l’ex dimora del casellante da trasformare in una struttura ricettiva): in tutto una somma di circa 2 milioni di Euro; 80 mila da destinare alla progettazione esecutiva. Si formò un pool di progettisti (alcuni dei quali paternesi) che parteciparono alla gara per l’aggiudicazione dell’elaborato. Il bando venne ‘congelato’ dal primo Governo Conte e quindi queste persone non hanno mai avuto la parcella pagata rispetto al lavoro svolto. Quest’anno il Comune di Paternò ha deciso di sbloccare questa parcella con un debito fuori bilancio: questo ha innescato una polemica politica, data la crisi economica causata dalla pandemia, ma su questa vicenda, il Presidio, non intende entrare nel merito”.

Uno scorcio panoramico dalla Casa del casellante

La passeggiata su un pezzo di rotaia divelta, metafora del passato e del futuro che si intreccia

Qual è il dialogo istituzionale fra i Comuni della Valle e il Presidio?  

“Qualche volta di grande sinergia, qualche volta di esplicito scontro: questo è avvenuto sia sui temi che sui metodi. Sui temi perché non sempre tutti hanno la stessa sensibilità rispetto a certe tematiche attualissime. Noi, ad esempio, a proposito del progetto dell’Ecomuseo (un immenso museo all’aperto elaborato di recente, di cui questo giornale si è occupato nei giorni scorsi, ndr.) diciamo che con la cultura e con l’ambiente, se valorizzati nel giusto modo, si mangia, al contrario di certa corrente di pensiero che porta a snobbare queste categorie perché le ritiene astratte. In un territorio come il nostro, questi due concetti possono diventare una formidabile leva di sviluppo. Questo messaggio non sempre riusciamo a farlo arrivare ai nostri partner politico-istituzionali. Sul metodo (il metodo della partecipazione, del confronto orizzontale dei cittadini che esprimono la propria idea in maniera consapevole sulle scelte da fare) abbiamo avuto diverse volte degli scontri. Devo dire però che ultimamente registro un trend positivo: al momento esiste un dialogo costruttivo con quasi tutti gli amministratori”.

 

E i giovani?

“C’è un grandissimo coinvolgimento di giovani all’interno del Presidio. Da poco si è formato un gruppo, il Presidio Young, formato da una quarantina di ragazzi tra i 20 e i 30 anni che risiedono in quasi tutti i comuni della Valle, i quali si prendono l’incarico di coordinare i gruppi di lavoro, di coinvolgere la gente, di realizzare le mappe progettuali di diverse iniziative. Insomma svolgono un lavoro molto proficuo, che non si vede, ma che sta portando a risultati importanti per il cambiamento. Molti di questi si stanno convincendo di un fatto fondamentale: che devono rimanere in Sicilia, l’obiettivo primario che in fondo ha il Presidio partecipativo”.

Luciano Mirone