Un bosco. Pieno di querce, di roverelle e di ginestre che sorge ai piedi dell’Etna, in territorio di Belpasso, contrada Giampasquale, nei pressi del santuario della Madonna della Roccia. Un’eruzione devastante che nel 1669 taglia in due il bosco e scende fino a Catania.

Tre secoli dopo. Il Comune che, invece di salvaguardare quella immensa striscia di roccia nera – oggi considerata patrimonio dell’umanità assieme al resto del vulcano –, manda le ruspe. L’ordine è quello di frantumare quella storica colata lavica. Il motivo non viene spiegato, ma siccome da qualche tempo – siamo nei famigerati anni Ottanta, anni ruggenti, epoca della Giunta di geometri – la moda è quella di radere al suolo qualsiasi cosa, dall’antica Fenicia Moncada alle ville antiche, dai palazzi nobiliari agli archi in pietra lavica, i cingolati vengono dirottati a nord del paese per spianare la storia: il progresso prima di tutto!

Nel giro di pochi giorni, tre ettari di quel monumentale simbolo della natura vengono distrutti senza pietà. Ne esce un paesaggio brullo, lunare, desolato, ma perfettamente coerente con l’abusivismo edilizio che nel frattempo imbruttisce il resto del territorio, unitamente a un Piano regolatore che considera “pessimo” (testuale) l’impianto barocco del centro storico. Del resto, bisogna inculcarglielo agli abitanti che le loro case devono essere abbattute e non ristrutturate? Ecco allora che il potere si organizza anche dal punto di vista lessicale per fare il lavaggio del cervello alla gente.

Si cancella la memoria storica, nessuno osa fiatare: indignazione e presa di coscienza sono male parole che appartengono ai visionari: se qualcuno si comporta “maleducatamente” scatena reazioni imprevedibili nel Palazzo e suscita scandalo nell’immensa sacca del perbenismo benpensante. 

Anno 2021. Sono passati circa trent’anni e da queste parti non è cambiato “quasi” nulla. Il Piano regolatore è scaduto da diciassette anni, ma non viene revisionato, quindi è sempre quello, l’abusivismo edilizio avanza inesorabilmente senza che il comune si permetta di vigilare: se c’è un Consiglio comunale con questo ordine del giorno, amministrazione e consiglieri se la danno a gambe levate.

Ma c’è quel “quasi” che sa di trasgressione in chi considera ancora un “modello” il mitico sindaco del tempo con le sue frasi ruspanti come questa: Su dipinnnissi di mia sdirrubbassi macari u campanaru ‘a Matrici. Traduzione: se dipendesse da me demolire anche la Chiesa Madre.

Quel “quasi” sono venti associazioni, le quali, nel periodo in cui Greta Thumberg crea un movimento mondiale per salvare il pianeta dal surriscaldamento climatico, parlano di città a misura d’uomo, con più verde, con più aria pulita e con meno cemento: in Svezia sarebbe normale, a Belpasso è una “rivoluzione”.

Venti associazioni organizzano le passeggiate per sensibilizzare i politici a realizzare il Parco delle torrette, una zona ricca di terrazzamenti e di diverse testimonianze della civiltà contadina che – secondo il famigerato Piano regolatore – rischia un’invasione di condomini e di centri commerciali.

Venti associazioni, in quelle contrade, realizzano (con straordinario successo) presentazioni di libri, incontri con i cantastorie, conferenze e dibattiti, e a un certo punto ritengono che bisogna andare “oltre” il Parco delle torrette, valorizzando anche i sentieri che conducono sul vulcano, “corridoi naturali” da collegare con altri territori da tutelare e da rendere fruibili ai cittadini e ai turisti.

E allora si ricordano di quella antica colata lavica che nei lontani anni Ottanta fu fracassata dalle ruspe comunali: perché non restituiamo alla natura quello che l’uomo le ha sottratto? Come? Cercando di ricreare un equilibrio ambientale attraverso la piantumazione delle essenze autoctone. E come possiamo chiamare tutto questo? Bosco Sciaraviva.

Si consultano agronomi, biologi, geologi per capire come si può “ricucire” un ambiente devastato dall’uomo, si scovano le leggi che consentono la riforestazione a ridosso dei centri abitati e si pensa pure a costruire un piccolo teatro naturale ispirato ai miti dell’antica Grecia: una struttura armonizzata con la natura che abbia nella Muntagna e nel tramonto gli scenari ideali per far muovere gli attori e gli spettatori. 

L’idea, naturalmente, bisogna sottoporla al Comune (proprietario del terreno) e alla Sovrintendenza. Le istituzioni non hanno esitazioni e rispondono sì.

L’Amministrazione approva una delibera in cui riconosce l’iniziativa. Non si sa quando il bosco vedrà la luce, i tempi non saranno brevi, tra burocrazia, lavori, piantumazione e crescita, ma intanto si stanno gettando i semi. Si pubblicano articoli, comunicati, foto. Il messaggio passa. Chi guarda avanti esprime la propria felicità tramite i Social.

Chi guarda indietro pensa di essere ancora negli anni Ottanta, senza rendersi conto che certi discorsi – con il movimento ambientalista che assume dimensioni sempre più planetarie – sanno di stantio, di vecchio, di grottesco. Dovreste vederli come prendono posizione: contro i cementificatori? Macché! Contro il progetto verde.

Gli stessi che vanno a braccetto con i Signori del mattone, invece di indignarsi per le colate di cemento che hanno posto Belpasso in cima alla classifica siciliana dell’abusivismo edilizio, scoprono improvvisamente la-tutela-della-colata-lavica-del-1669. Una gara per chi le spara più grosse: e-dove-li-prendete-i-soldi/e-la-terra/e-come-le-fate-le-buche/e-quanti-secoli-passeranno?

E mentre si continua a giocare a fare domande intelligenti, l’Europa impone una nuova economia basata sull’ambiente. Greta, il Papa e il presidente americano puntano decisamente sulla sostenibilità e dicono che bisogna invertire la tendenza. Il mondo cambia, ma ci sono i negazionisti dell’evidenza che continuano a dissertare. Se ne facciano una ragione.

Nella foto: la landa deserta che il Comune di Belpasso (Catania) ricavò negli anni Ottanta in contrada Giampasquale (nei pressi del santuario della Madonna della Roccia) attraverso lo spianamento della colata lavica del 1669 (immagine di Donatella Fiore)

Luciano Mirone