Tornare al proprio paese dopo il periodo estivo può riservare sorprese. E che sorprese! Lo scorso anno l’impatto fu traumatico: nella bacheca del Secolo d’Italia – posta nella centralissima via Roma – avevano affisso il ritratto fotografico di Mussolini, con tanto di “patriottica didascalia”.

Indifferenza “quasi” generale, ma in un comune dove il sindaco, gli assessori e la maggioranza dei consiglieri appartengono a un movimento di dichiarata ispirazione fascista, e dove perfino alcuni esponenti della “sinistra” si candidano con la destra per poi tornare a far finta di essere di sinistra, non c’è da meravigliarsi.

La bacheca con l’immagine di Mussolini in centro storico. Sopra: Palazzo Scrofani

Quest’anno l’impatto è indefinibile, una via di mezzo – parafrasando Claudio Lolli – di “rabbia, pena, schifo e malinconia” per quei tre manufatti antichi ubicati in centro storico demoliti senza pietà dalle ruspe con regolare concessione edilizia del Comune. Tutto in piena regola. Il Piano regolatore redatto dal cugino di Salvo Lima – scaduto da una ventina d’anni – prevede la salvaguardia di alcuni palazzi aristocratici e lo scientifico abbattimento di tutto il testo: piccoli manufatti di architettura etnea con l’arco in pietra lavica, il giardino, la cisterna, le volte a sesto acuto, elementi indispensabili per creare quel “tessuto urbanistico” che fa l’identità di una comunità. Sembra poca cosa (l’identità è un concetto astratto, che si comprende se c’è cultura, sensibilità e amore), invece è la chiave di tutto. 

Al posto di quei tre edifici sorgeranno tre nuove “cose” (non sappiamo definirle diversamente) anonime di tre o quattro piani, che contribuiranno a livellare verso il basso l’identità del paese. Delle superfetazioni che soffocheranno quelle case a pianterreno o a un piano (concepite così dopo l’eruzione e il terremoto che per ben due volte distrusse il paese, 1669 e 1693) che fanno parte della storia di un popolo e che, opportunamente ristrutturate (con ottimo beneficio delle maestranze e dei tecnici), costituiscono una risorsa da cui ripartire (come ha fatto qualche cittadino, che con coraggio e buon gusto ha messo mano al restauro con risultati eccellenti).

Intanto il Piano regolatore generale (Prg) di Lima, come detto, è scaduto da un ventennio e nessuna Amministrazione riesce a redigerne un altro (come prevede la legge), magari incentivando le ristrutturazioni, i piani del colore, la drastica riduzione di cubatura (altri tabù da non infrangere per carità di Patria).

Eppure quando ce n’è stata l’occasione, uno dei più grandi urbanisti europei (il prof. Leonardo Urbani, arrivato grazie al commissario regionale Angelo Sajeva) è stato perentoriamente mandato a casa dall’ex sindaco Carlo Caputo (2013), che ha affidato tutto ad un Ufficio tecnico completamente privo di mezzi e di personale. Perché? Lui ha sempre detto che doveva risparmiare la parcella da 200 mila Euro da conferire al professionista. Ma noi non ci crediamo, viste le castronerie alle quali l’ex sindaco ci ha abituati. Risultato: un Piano regolatore che Urbani avrebbe fatto in pochi mesi, si trova ancora in alto mare, ma in compenso il Comune continua a pagare consulenti a gogò.

Quindi delle due l’una: o c’è una grande incompetenza ad affrontare queste tematiche, oppure c’è del dolo. In entrambi i casi, dovrebbero togliere il disturbo sia i politici che governano, sia quelli che stanno all’opposizione. 

In questo caso l’indifferenza dell’opinione pubblica è generale, senza il “quasi” di cui sopra: da queste parti la cancellazione della storia e dell’identità fa rima con la parola modernità: basta fare una passeggiata per il paese per vedere che non i bombardamenti dell’ultima guerra mondiale hanno raso al suolo decine di edifici di pregio, ma le ruspe, simbolo “avveniristico di progresso” per una popolazione sempre più convinta che la cultura della rimozione deve avere il sopravvento sulla cultura della tutela, della salvaguardia e del restauro. Salvo poi a lamentarsi che di turisti non se ne vedono. Ma fortunatamente abbiamo gli slogan: la-città-dalle-cento-sculture, l’offensiva-culturale, eccetera eccetera eccetera.

Di crescita e di sviluppo razionale, di valorizzazione di una cittadina dalle grandi potenzialità, di cultura vera neanche a parlarne. Di un problema drammatico come quello della desertificazione urbana, men che meno. Figuriamoci se si discute dello spopolamento del centro storico – con tanto di “vendesi” e di “affittasi” davanti a ogni casa – che sta avvenendo sotto gli occhi di tutti a causa della totale assenza delle Amministrazioni comunali degli ultimi decenni e della contemporanea cementificazione selvaggia delle periferie.

Il paese – secondo le cifre fornite dalla Regione Sicilia – è al primo posto in provincia di Catania per abusivismo edilizio, superiore come percentuali ai simboli di questa gravissima piaga sociale: Paternò, Adrano, Biancavilla e Misterbianco. Ma anche questo dato (che abbiamo fornito attraverso diversi articoli sull’argomento) non sembra appassionare più di tanto i paesani, men che meno il sindaco, gli assessori e i consiglieri comunali, che scappano letteralmente quando in Aula bisogna affrontare il problema dell’abusivismo edilizio nelle frazioni, dove, guarda caso, certi partiti fanno il pieno di voti.

Intanto in paese si spaccia, e pure di brutto, lo sapevate? Ma al Palazzo di città si chiudono gli occhi e si continua a parlare di “trentotto telecamere” per beccare chi, dai paesi vicini, viene fin qui a comprare la ricotta (pensate!) trasgredendo il lockdown. I risultati – visti i morti e i contagi da coronavirus – sono patetici. Ma nel frattempo si continua a pubblicizzare l’immagine di un paese che non esiste a suon di paginoni sul quotidiano la Sicilia.

La cosa più stupefacente è che se cerchi di spiegare il nesso fra identità, abusivismo selvaggio, desertificazione urbana, disagio giovanile, spaccio di droga e mancanza di turismo, si abbassano gli occhi, si cambia discorso, ti stringono garbatamente la mano e… scusa-ho-un-impegno-urgente. Alcuni perché non capiscono davvero, altri perché capiscono troppo bene ma riescono straordinariamente a recitare la parte. Sono quelli della mutazione-antropologica, della nostalgia-del-bel-tempo-andato, del paese-che-amo, dello-stiamo-tutti-uniti-attorno-a-una-cosa-sola.

La verità è che affrontare la realtà non conviene: la cultura del cemento, di Lima, dei geometri al potere è stata introiettata perfettamente. Meglio legarsi al consigliere, all’assessore, al sindaco e all’onorevole di turno per portare avanti l’unica cosa che conta davvero: l’orticello. Qui è un insieme di orticelli, oltre i quali non conviene, non importa e non sta bene guardare.

E così si continua ad assistere alla macabra decadenza di un paese che pochi amano, molti dicono di amare e tanti spremono come un limone anche a costo di cancellarne la memoria, e anche a costo di rubare il futuro ai propri figli.

Luciano Mirone

Post scriptum: alcuni si chiederanno perché non è stato citato il nome del paese. Lo abbiamo sempre fatto, ma stavolta – non sappiamo perché – proviamo un po’ di pudore.