Si è appena conclusa in diverse regioni d’Italia una vasta operazione, denominata “Peregrinus”, dal nome scientifico del velocissimo falco, di contrasto al bracconaggio di specie protette, in particolare di rapaci, tra le provincie di Catania, Ragusa, Caltanissetta, Alessandria, Roma, Grosseto e Trento.
Le indagini delegate dalla Procura della Repubblica di Enna e coordinate dal Nucleo Carabinieri Cites di Catania e dal SOARDA (Sezione Operativa Antibracconaggio e Reati in Danno di Animali) di Roma, hanno portato a numerose perquisizioni che hanno preso il via già dalle prime ore del mattino e per tutta la giornata, con la partecipazione del Reparto Operativo del Raggruppamento Carabinieri CITES, del Centro Anticrimine Natura di Palermo, dei Nuclei CC Cites di Roma, Alessandria, Arezzo e Verona, e dei Gruppi Carabinieri Forestali di Vicenza e Grosseto, con un impiego di oltre 40 militari.
Le attività si sono svolte con il contributo tecnico del progetto Life ConRaSi (Conservazione Rapaci Siciliani), da anni impegnato nella conservazione di rapaci a rischio in Sicilia, dei volontari del gruppo tutela rapaci e di ornitologi specialisti.
Come già negli anni precedenti, con le operazioni “Bonelli” e “Biarmicus”, si è voluto in tal modo reprimere il dilagante fenomeno del prelievo in natura di esemplari particolarmente protetti di rapaci diurni e notturni che, proprio a causa di tali condotte criminali, rischiano l’estinzione. Situazione ancor più grave se si pensa che la Sicilia è considerata una delle vie principali di transito delle specie di avifauna migratoria. Si pensi in particolare alle Aquile del Bonelli, di cui la Sicilia accoglie l’unica popolazione nidificante in ambito nazionale, agli ormai rarissimi Falchi Lanari, il cui nucleo popolazionale più importante fino qualche anno fa era presente proprio in Sicilia, e ai Falchi Pellegrini, ma anche agli avvoltoi come i Capovaccai e i Grifoni, che spregiudicati collezionisti legati al mondo della falconeria prelevano dai nidi. Esemplari che tali soggetti sono disposti a pagare cifre considerevoli, nell’ordine di decine di migliaia di euro, destinati anche al mercato estero, specialmente se appartenenti alle sottospecie più rare. Ciò anche per garantire dei ceppi genetici più ricercati grazie all’ibridazione con altri esemplari.
I Carabinieri hanno disvelato una rete di soggetti, costituita da bracconieri, committenti, esecutori materiali, falsificatori e riciclatori di certificati. Il modus operandi è ormai rodato. Soggetti senza scrupoli, operanti in particolare in Sicilia, seguono gli spostamenti degli esemplari adulti fino ad individuare i siti di nidificazione. Poi con binocoli e cannocchiali seguono la deposizione e la schiusa delle uova e, dopo qualche giorno, armati di funi ed imbracature, prelevano i pulli, così sono chiamati i pulcini dei rapaci, cominciando ad allevarli in cattività.
A quel punto, prima di poterli piazzare sul mercato devono in qualche modo “ripulirli”, dissimulandone la natura selvatica, dotandoli di anelli identificativi contraffatti e falsificando certificati Cites, normalmente necessari per rendere lecita la detenzione e il commercio di tali specie, altrimenti rigorosamente vietati.
La Cites, infatti, ovvero la Convenzione Internazionale sul commercio delle specie a rischio di estinzione, siglata a Washington del 1973, al fine di preservare dalla estinzione le specie più a rischio, ne impedisce il commercio, salvi i casi di esemplari riprodotti in cattività e tramite una serie di certificati rilasciati dalle Autorità di Gestione.
In Europa gli esemplari a rischio vengono elencati in 4 Allegati al Regolamento Comunitario 338 del 1997, a seconda del grado di protezione. La maggior parte dei rapaci è inserita nell’Allegato A, ovvero fra le specie più a rischio.
Le indagini dei Carabinieri Forestali hanno portato al deferimento all’Autorità Giudiziaria di 9 soggetti ed al sequestro di numerosi esemplari, fra cui: 8 falchi pellegrini, fra cui un raro esemplare della sottospecie calidus, particolarmente ambito dai falconieri e quindi di elevato valore di mercato, due falchi lanari, un falco della prateria, 2 poiane di harris, 2 corvi imperiali, una ghiandaia marina, 2 cardellini, 30 storni. Oltre a ciò sono stati rinvenuti e sequestrati diversi certificati Cites, pronti per essere riciclati, documenti contraffatti e supporti informatici. Proprio l’esemplare proveniente dall’ambiente naturale di calidus, sottospecie in Italia soltanto in passaggio migratorio e quindi non nidificante, ha consentito di verificare un ulteriore tipo di cattura che avviene con trappole apposite di esemplari che poi vengono “ripuliti” e commercializzati con la stessa procedura dei pulli prelevati ai nidi.
A carico dei predetti soggetti sono configurabili gravi ipotesi di reato, che vanno dal furto aggravato (la fauna infatti è patrimonio indisponibile dello Stato), alla ricettazione, al riciclaggio, ai maltrattamenti, al falso ed alla violazione della Legge 150/92, sulle specie Cites (norma che per questi casi prevede la sanzione dell’arresto fino a 2 anni e l’ammenda fino a 150.000 €) e della Legge 157/92 sulla protezione della fauna omeoterma.
Nel corso di una perquisizione a Mussomeli è stata inoltre rinvenuta una piantagione di marijuana e per tale ragione il proprietario è stato posto in stato di arresto.
I Carabinieri ancora una volta hanno voluto colpire soggetti criminali appartenenti a quella parte della falconeria e del collezionismo che poco ha a che fare col rispetto degli animali ed in special modo delle specie protette, sempre più a rischio estinzione. “Tali operazioni – si legge nel comunicato stampa – si spera possano sempre più sensibilizzare la collettività ad ammirare tali nobilissimi e ormai rarissimi animali nel loro ambiente ed a preservarne gli habitat ed a diffidare da chi è mosso esclusivamente da approcci collezionistici e di possesso”.
Redazione
Lascia un commento...