Da sempre è un prete in prima linea. Impegnato contro la mafia, la corruzione, i rischi della devianza minorile che in una città come Catania sono sempre dietro l’angolo, padre Salvatore Resca è vice sacerdote della Parrocchia Ss. Pietro e Paolo di Catania, ed è fondatore, sin dagli anni ottanta, del Coro polifonico “Imago Vocis” e dell’Associazione ”Città Insieme”, che con la loro attività straordinaria, hanno dato un contributo fondamentale per la crescita culturale della città. 

Padre Resca, come nasce la Sua vocazione?

“Frequentavo da ragazzo l’Oratorio dei salesiani ‘Domenico Savio’ a Messina. C’erano dei preti in gamba che si  interessavano, nel dopoguerra, dei ragazzi. Ho desiderato essere come loro. Sono prete da 60 anni, ho svolto il mio ministero quasi sempre a Catania, 15 anni con i salesiani, dal 1973 in poi nella diocesi. Ho lavorato in diversi quartieri: Barriera, San Cosimo (via Teatro Greco), La Salette (San Cristoforo). Da quaranta anni in via Siena, nella Parrocchia dei santi Pietro e Paolo”.

Lei ha dato vita a due importanti realtà per Catania, l’associazione “Città Insieme” e il Coro Polifonico “Imago Vocis”. Quali i momenti più significativi legati a queste due straordinarie esperienze?

“Cittainsieme e il Coro ‘Imago Vocis’ sono nati quasi contemporaneamente nel novembre del 1987. Indimenticabili di Cittainsieme i primi anni, la cacciata di Santapaola dall’odierno Parco Falcone, i primi anni della esperienza della giunta Bianco, la celebrazione del Trentennale nel giugno del 2017. Per quanto riguarda il coro: i tanti concerti a Catania, (indimenticabili i due al Teatro Massimo), in Sicilia, all’estero, e il concerto del Trentennale (13 novembre 2017) con la partecipazione di molti ex coristi, alcuni dei quali artisti affermati anche in campi internazionale; e la recente iniziativa delle “Domeniche in musica” che arricchisce di cultura la nostra città”.

Il boss catanese Nitto Santapaola. Sopra: padre Salvatore Resca 

Facciamoci gli affari della nostra città: secondo Lei, Catania continua ad avere un alto tasso di criminalità mafiosa o c’è stato un cambiamento in positivo?

“La mafia è sempre presente a Catania, non solo quella della criminalità organizzata, ma anche quella dei colletti bianchi e delle persone ‘per bene’, spesso in stretta collusione fra loro. Ma non meno dannosa della mafia è la nostra mentalità, la mentalità ‘mafiosa’, quella mentalità che non sa vedere l’interesse di tutti ma persegue con ogni mezzo, solo i propri. E’ questo l’humus culturale della mafia”.

Nel corso degli anni, Lei ha manifestato un’attenzione e una partecipazione concreta alle tematiche socio-politiche riguardanti la nostra terra. Perché questo modo di agire viene considerato inconsueto se vissuto da un sacerdote?

“Faccio il prete e come tale sono al a servizio della mia comunità. Ma prima di essere un prete sono un uomo, un cittadino e un cristiano: e come tale devo interessarmi di quel pezzo di mondo in cui vivo e, soprattutto, sensibilizzare i cristiani ad interessarsene. I cristiani sono il sale della terra, dice Cristo. Non devono trasformare il mondo in una saliera, ma costruire in questo mondo il regno di Dio”.

Anche in qualità di docente di filosofia, lei ha affermato che educare le nuove generazioni è abbastanza faticoso. Questo è dovuto alla perdita d’autorevolezza da parte delle  istituzioni o scaturisce da qualcosa di più complesso?

“La scuola è stata distrutta: dalle riforme senza continuità e senza logica, alla burocrazia, ai tagli, alla incuria nell’edilizia scolastica, alla faciloneria dell’insegnamento, all’arroganza dei genitori, all’impreparazione dei docenti, forse anche ad un preciso disegno dei politici di ogni colore i quali temono che nelle aule scolastiche si crei quel ‘pensiero critico’ che potrebbe distruggerli, fino ad arrivare alla incapacità dei ministri della Pubblica Istruzione. Quando penso a Francesco De Sanctis, a Pasquale Villari, a Vittorio Emanuele Orlando, a Benedetto Croce, a Giovanni Gentile, ad Alfonso Omodeo, ad Antonio Segni, a Giovanni Spadolini, a Sergio Mattarella, a Tullio De Mauro (per nominarne solo alcuni), e poi mi ritrovo davanti a Maria Stella Gelmini, a Valeria Fedeli, a Lucia Azzolina… mi cascano le braccia. La scuola non può mai diventare un’azienda, né gli allievi un bacino di utenti.Un bravo insegnante di liceo classico non è detto che sappia dirigere un istituto alberghiero, né una valida insegnante di educazione musicale, perfettamente adatta a dirigere un Conservatorio, potrà mai diventare un buon preside di un liceo classico”.

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino

Il 23 Maggio 1992 muore il magistrato Giovanni Falcone per mano della mafia. Dopo quel drammatico evento, Lei insieme ai suoi ragazzi ed altre associazioni, presenzia ogni anno al Palazzo di Giustizia di Catania, in occasione della commemorazione delle vittime di Mafia. Quant’è importante per noi l’esercizio di una memoria collettiva?

“Non esiste nella maggior parte delle persone la memoria collettiva. La memoria collettiva suppone l’esistenza di un popolo, ed un popolo, come quello italiano, non esiste più o forse non è mai esistito. Esistono piccole isole di memoria collettiva, cerchiamo in tutti i modi di non farle sommergere dal mare dell’oblio. Anche quest’anno, nell’impossibilità di organizzare ciò che facciamo il 23 maggio, da 26 anni a questa parte davanti al Palazzo di Giustizia, cercheremo di fare qualcosa sui social per ‘non perdere il vizio della memoria”.

Padre Resca, ci conceda il lusso di sognare un po’: qualora Falcone e Borsellino non fossero stati assassinati e avessero avuto la possibilità di continuare a studiare il fenomeno mafioso, come immagina che sarebbe potuta essere la nostra bellissima terra?

“Certamente migliore di quella che ci troviamo ora fra le mani. L’antimafia degli ultimi anni ha prodotto soggetti che sfruttano l’antimafia per essere mafiosi. E Montante non è l’unico caso!”.

Se Lei si trovasse occhi negli occhi con un boss cosa gli direbbe?

“Nell’ipotesi che fosse disposto ad ascoltarmi, cercherei di mostragli il danno che il suo atteggiamento produce a se stesso e alla società”.

Avvalendoci ancora dell’immaginazione, secondo Lei da quali personalità potrebbe essere costituita la giunta dell’Assemblea Regionale Siciliana?

“La Regione Siciliana, esempio mirabile di elefantiasi burocratica pletorica e spesso corrotta,  presenta ormai una situazione incancrenita in cui mafia, interessi privati, criminalità, collusioni sono intrecciati in un groviglio inestricabile. Lo dimostra il malfunzionamento di tutti i servizi di cui noi siciliani soffriamo la mancanza, la perdita dei finanziamenti europei per mancanza di progettualità. Anche se, per ipotesi, tutta l’Assemblea fosse composta da persone integerrime, realtà impossibile data l’antidemocrazia su cui si fonda la nostra democrazia (si pensi solo al clientelismo e al voto di scambio), sarebbe un’impresa titanica bonificare questa palude. Bisognerebbe distruggere Palazzo dei Normanni dalle fondamenta e riedificarlo di nuovo”.

Lei ultimamente è balzato agli onori della cronaca per aver dichiarato che è un atto d’irresponsabilità concedere il via libera al culto della Santa Messa in tempi di pandemia. Può spiegarci meglio il suo punto di vista?

“La messa per il credente è, se ben capita e se ben vissuta, il gesto fondamentale della vita cristiana. Va vista però nel suo rapporto con la vita. Il culto a Dio, secondo le Scritture, da Cristo in poi, consiste nell’offrire a Dio la propria vita al servizio dei fratelli. La messa sottolinea questa dimensione, la celebra, la rende possibile. Ma senza il collegamento fra messa e vita, il rito rimane solo un rito. Nei frangenti nei quali siamo costretti, per amore dei fratelli, a non celebrare l’Eucaristia, non dobbiamo perdere di vista l’importanza e la necessità del ‘culto della vita’. Quindi non c’entra niente ‘la libertà di culto’. Ma queste poche parole non sono sufficienti per esprimere in modo completo il mio pensiero a questo riguardo”.

Sempre in merito alla drammatica vicenda del covid-19, qual è il suo pensiero in merito ai recenti provvedimenti adottati dagli addetti ai lavori per scarcerare o mandare agli arresti domiciliari fior di delinquenti, alcuni addirittura condannati al carcere duro?

“E’ necessario da un lato rispettare la dignità del carcerato che in uno stato di diritto resta sempre un uomo da rispettare e, possibilmente da rieducare, dall’altro tenere ferma la certezza del diritto e della pena. Questa scarcerazione di massa, con le relative e scandalose polemiche fra istituzioni dello Stato, mostra quanto siano incapaci i nostri politici di conciliare esigenze diverse e di mettere in atto, per tempo, le necessarie strutture per i casi di emergenza. Non si può risolvere un problema come quello del contagio nelle carceri, creando un problema altrettanto grave come il contagio mafioso nella società”.

Arcangelo Gabriele Signorello