E così Cateno si è scatenato ancora una volta, beccandosi una denuncia per vilipendio alla Repubblica da parte della ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, dopo le rodomontate che il sindaco di Messina ha messo in atto contro il Viminale, contro il prefetto della sua città, contro il Governo, contro quei rappresentanti dello Stato che non gli vanno a genio.

Con quel linguaggio ruspante a base di “vaffa”, di “che c… dici”, di “non dire cazzate”, ormai diventato virale, ha visto crescere i suoi consensi, anche a costo di rompere con pezzi importanti dello Stato, specie in un momento d’emergenza nel quale la serenità fra istituzioni – a prescindere dai contenuti delle sue proteste – è fondamentale per affrontare la più grave crisi dell’Italia repubblicana.

Ma lui, Cateno, è fatto così, più alza il tiro, più ottiene simpatie. E mentre un tempo il fenomeno sembrava circoscritto a contesti da sagra paesana, adesso bisogna ammettere che il primo cittadino di Messina ottiene applausi da destra, da una parte di sinistra e dai Social. Lui lo ha capito e va avanti.

Il sindaco di Messina quando era deputato all’Assemblea regionale siciliana. Sopra: dopo essere diventato primo cittadino del capoluogo peloritano

Fin dai tempi in cui – da deputato regionale – si fece fotografare a torso nudo, la bandiera giallorossa della Sicilia usata come pareo, le gambe muscolose, per protestare per la mancanza di acqua alle Isole Eolie e contemporaneamente contro i colleghi dell’Assemblea regionale siciliana che lo avevano estromesso dalla Commissione Bilancio. Quella volta con una mano brandiva la Bibbia e con l’altra una scultura di legno di Pinocchio: simbolo sacro il primo, al quale lui dice di essersi sempre ispirato; simbolo letterario l’altro, col quale accusava chi allora lo riteneva incompatibile per occupare quella carica.

Roba di alcuni anni fa, dopo aver fatto il sindaco di Fiumedenisi, centro collinare situato nella costa ionica del messinese, dal 2003 al 2011, facendosi pure un po’ di carcere. La prima volta per essere stato accusato dai magistrati di aver fatto il “sacco” del suo paese per i reati (dai quali fu successivamente assolto) di abuso d’ufficio, falso e tentata concussione; la seconda per evasione fiscale per la “modica” cifra di 1 milione 700mila Euro. Lui si è sempre professato innocente e vittima di un complotto. E la gente gli ha dato sempre ragione.

Riacquistata l’agognata libertà, dalla collina scende fino al mare per esportare l’esperienza di Fiumedenisi a Santa Teresa Riva, a pochi chilometri di distanza. E’ il 2012 e lui dimostra, ancora una volta, che “la politica è servizio soprattutto dei più umili” (come dice sempre). Fino al 2017. Sempre e comunque sotto le insegne dello Scudocrociato: a inizio carriera (anni Ottanta) con la Dc, poi con l’Udc e l’Mpa.

Nel novembre dello stesso anno – mentre è in piena bufera giudiziaria – viene rieletto all’Ars, malgrado la definizione di “impresentabile” affibbiatagli dalla Commissione parlamentare antimafia e la misura interdittiva della magistratura: “Divieto di ricoprire ruoli apicali negli enti coinvolti nell’inchiesta”.

Lui sbaraglia di nuovo tutti e si rimette in pista. Stavolta per conquistare il municipio di Messina. Quando si comincia a vociferare della sua candidatura, qualcuno si mette a ridere: De-Luca-chi? Lui non si curò di lor, ma guardò e passò. I sorrisini continuarono, ma si smorzarono quando Cateno riuscì ad arrivare al ballottaggio. Alcuni testimoni, quella sera, lo videro entrare in chiesa, coerentemente con i valori cristiani che ha sempre professato. Ma ai miracoli bisogna credere, specie quando tutte le forze del Centrodestra si uniscono per vincere. Lui, per ringraziare del miracolo, la mattina della vittoria, portò un mazzo di fiori alla Madonna.

De Luca con la moto da cross dentro il municipio di Messina

Ma non è che l’inizio dell’esperienza messinese. Pochi mesi fa, con una moto da cross, si fa gli scalini del municipio, sempre, ovviamente, a favore di telecamere.   

Adesso quest’altro coup da theatre che lo mette sempre più al centro della scena politica al tempo del Coronavirus. Dopo giorni di accuse nei confronti delle più alte istituzioni dello Stato, portate avanti in forma pittoresca e “volgare”, ma comunque sempre anti istituzionale, la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese “segnala all’autorità giudiziaria” i suoi comportamenti, “censurabili sotto il profilo della violazione dell’articolo 290 del Codice penale (Vilipendio della Repubblica, delle Istituzioni costituzionali e delle Forze armate)”.

Una decisione – seguita la ministra – che arriva “a seguito delle parole gravemente offensive, e lesive dell’immagine per l’intera istituzione che lei rappresenta, pronunciate pubblicamente e con toni minacciosi e volgari”.

E poi: “Proprio in una fase emergenziale in cui dovrebbe prevalere il senso di solidarietà e lo spirito di leale collaborazione, le insistenti espressioni di offesa e di disprezzo, ripetute per giorni ai media da parte del sindaco di Messina all’indirizzo del ministero dell’Interno, appaiono inaccettabili, e quindi censurabili sotto il profilo penale, per il rispetto che è dovuto da tutti i cittadini, alle istituzioni repubblicane e ai suoi rappresentanti”.

Luciano Mirone