È finita come pensavamo. Claudio Fava bugiardo e “mascariatore”. Le Iene – e quindi Italia1 e quindi Berlusconi e quindi i detrattori di Fava e del lavoro che egli sta svolgendo con la Commissione antimafia della Regione Sicilia di cui è presidente – brave, cazzute e antimafiose. E tutti a fare il tifo, bene-bravo-bis.

Basta vedere i Social dopo la trasmissione di ieri sera. Oggetto: l’attentato all’ex presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci, verificatosi nella notte tra il 17 e il 18 maggio 2016.

Sì, è finita esattamente come pensavamo. Ecco perché, nei giorni scorsi, abbiamo chiesto che Italia1 mandasse in onda l’intervista integrale (circa ottanta minuti) che l’inviato delle Iene Gaetano Pecoraro ha fatto a Fava:  troppo delicato l’argomento per essere liquidato in una mezz’oretta di trasmissione, con i tagli, le aggiunte, gli interventi giusti al momento giusto, magari effettuati da maestri del montaggio.

Abbiamo troppa esperienza di giornalismo, di televisione e di cose di Sicilia per non comprendere come funzionano certe dinamiche, a prescindere dalla bravura dei redattori delle Iene, che in certi casi si dimostrano preziosi (a proposito: siamo in attesa del seguito del caso Manca, dato che Le Iene hanno ritenuto di liquidare un argomento così complesso in una sola, bella puntata. Ma questa è un’altra cosa).

Il presidente della Commissione antimafia della Regione Sicilia, Claudio Fava. Sopra: l’ex presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci.

Questo non vuol dire assolvere tout court la Commissione antimafia regionale da eventuali responsabilità, tutt’altro (e ora ci arriviamo).

E però una cosa è far vedere gli errori presunti di Fava, un’altra dichiarare fin dal titolo (“La macchina del fango”) che Claudio Fava ha “mascariato” (ovvero dileggiato, o peggio, bollato come “simulatore”) Antoci in merito all’attentato. Se non si fa questo elementare discernimento si cade in un errore grandissimo, in cui una parte del movimento antimafia secondo noi è caduto. Ma procediamo con ordine.

Il “caso” Fava-Le Iene scoppia nella prima decade di febbraio, quando il presidente della Commissione antimafia della Sicilia denuncia una “aggressione” che la troupe di Italia1 – sul caso Antoci – avrebbe attuato nei suoi confronti.

Cosa è successo? La troupe del programma si è recata “a sorpresa” dal presidente della Commissione antimafia per chiedergli “una intervista”. Genericamente. E senza specificare l’argomento. All’insistenza pacata di Fava, Pecoraro si trincera dietro l’ “inenarrabile mistero”, che finalmente svela quando il presidente lo fa accomodare nella stanza.

Fermiamo per un attimo il fotogramma. Sui primi batti e ribatti, Le Iene costruiscono il trailer della puntata, un trailer che inonda i Social per annunciare la trasmissione, con la voce di Pecoraro che afferma: “Claudio Fava dice che lo abbiamo aggredito. Secondo voi questa è un’aggressione?”.

Praticamente il cronista chiama al giudizio i telespettatori su una cosa che essi non sanno: se non viene trasmessa l’intervista integrale, come possono essere in condizione di valutare? Già in quel minuto di trailer (in cui la iena è un pacifico agnellino) si capisce la piega dell’intera trasmissione: ossia Le iene animate da grande spirito di verità da un lato, che incalzano Fava – dall’altro – animato da spirito di censura (questo è stato detto anche da certi ambienti dell’antimafia) nei confronti del giornalismo libero e indipendente.

Diciamo “libero e indipendente” con voluto sarcasmo – ripetiamo: al di là della bravura di questi giornalisti – , perché fino a quando Le Iene non andranno a ficcare, come fanno con tutti, un microfono sotto il naso del loro datore di lavoro per chiedergli qual è l’origine delle sue ricchezze, come ha costruito Milano Due, come è nata Fininvest, come lui e il suo braccio destro sono finiti dentro a un sacco di inchieste di mafia, comprese quelle sulle stragi, è il caso di usare il sarcasmo in quanto si tratta di un giornalismo che mostra dei limiti palesi, specie quando affronta a muso duro una personalità dell’antimafia come Fava (ma potremmo riferirci anche ad altri).

Questo vale per Mediaset come per tutto quell’ottimo giornalismo italiano che purtroppo, suo malgrado, si ritrova a fare i conti con editori chiacchierati o compromessi.

Il giornalista de Le Iene, Gaetano Pecoraro

Questo vuol dire che i cronisti di questi gruppi editoriali non devono fare inchieste sulla mafia, sulla P2, sulla corruzione, sulla massoneria, eccetera eccetera eccetera? Assolutamente no, devono, ma con la dovuta umiltà, soprattutto quando vanno ad intervistare persone che dell’antimafia hanno fatto una missione di vita: con il dovuto garbo e con meno aggressività, dato che in questo Paese c’è gente che ha fatto la resistenza pagando prezzi altissimi e gente che questi prezzi – fortunatamente – non li ha pagati.

Solo questo si chiede. E magari più onestà intellettuale quando si tagliano certe “perle” all’interno di una intervista di ottanta minuti,  senza far vedere come si è svolta davvero, magari per far capire se è vero – come dice Fava – che c’è stata una vera e propria “aggressione verbale” a base di insinuazioni (addirittura su una presunta manipolazione dei testimoni da parte della Commissione), oppure se è vero – come dice Pecoraro – che quel che asserisce Fava è falso.

Noi abbiamo ascoltato l’audio integrale (registrato dallo staff di Fava) e possiamo dire che il giornalista delle Iene è andato oltre i suoi compiti professionali. Di questo siamo certi. Eppure in trasmissione si è continuato a vedere l’agnellino che si rivolge (con dolcezza) al “mascariatore”. Questo la dice lunga sul metodo. Ma passiamo al merito.

Dopodiché si è estrapolata un pezzo di intervista fatta dalle Iene a dei familiari di presunti mafiosi dei Nebrodi (“Chi lo dice che l’attentato non se lo sia fatto Antoci?”) per svoltare sull’assunto successivo: “Così è cominciato il ‘mascariamento’ di Antoci”. Così! (Con l’ex presidente del Parco dei Nebrodi che subito dopo – grazie a un bellissimo montaggio – ha fatto una metafora straordinaria: avete presente la palla di neve che pian piano diventa una valanga trasportando di tutto fino a valle?).

Ed ecco la palla di neve. Una palla di neve che noi – poco tempo dopo il fallito attentato – abbiamo visto lanciare da fonti autorevoli (al plurale, quindi più di una), le quali a loro dire, l’avrebbero vista lanciare da fonti istituzionali, seppure sottovoce, lontane da occhi e orecchi indiscreti. Quindi l’origine della famigerata simulazione dell’attentato non parte dai familiari dei presunti mafiosi dei Nebrodi – che hanno detto una cazzata come un’altra per cercare di discolpare chi presidia quei luoghi – , ma da dicerie nate in ben altri contesti.

Peccato che la trasmissione – attraverso un gioco di causa ed effetto – abbia assolutizzato quel piccolo dettaglio, collegandolo al contenuto della relazione, come se un filo invisibile unisse i familiari dei presunti mafiosi con la Commissione, come se quest’ultima avesse raccolto e rilanciato la palla di neve partita dal cul de sac del mondo e rotolata verso valle.

L’auto oggetto del fallito attentato, su cui prendeva posto l’ex presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci

E peccato che la trasmissione abbia omesso un paio di altri particolari, che nell’audio integrale si sentono perfettamente. Peccato davvero: avrebbero arricchito il servizio e informato meglio la gente: 1) il ringraziamento, fatto nelle prime pagine della relazione, all’ex presidente Antoci per il lavoro svolto e per la stesura del Protocollo da lui stesso elaborato, che impedisce ai boss di accedere ai finanziamenti europei in mancanza di adeguati requisiti; 2) l’affermazione stentorea secondo la quale, a prescindere dalle tre ipotesi sul fallito attentato formulate dalla Commissione (ora vedremo quali), Giuseppe Antoci è da ritenere la “vittima inconsapevole” di questo atto. Con ciò separando la posizione dell’ex presidente del Parco dei Nebrodi sia con il contesto investigativo che ha archiviato il caso, sia con l’apparato di  sicurezza di Antoci, di cui la Commissione ha criticato le presunte discrepanze.

Questi due punti fondamentali della relazione sono stati discussi durante l’intervista di ottanta minuti? Sì. Se ne trova traccia nella trasmissione? No. Qualcuno può spiegare perché? Qualcuno può spiegare in che modo sarebbe stato “mascariato” Antoci? Qualcuno può spiegare perché sono state fatte queste censure durante il montaggio? Perché non è stato detto che le tre ipotesi formulate – l’attentato mafioso fallito, l’atto puramente dimostrativo, la simulazione – hanno sempre ritenuto Antoci vittima (“bersaglio della mafia nelle prime due, strumento inconsapevole di una messa in scena nella terza”, dice la Commissione)? Perché non è stato detto che queste tre tesi scaturiscono dalle testimonianze rese durante le audizioni e non da un convincimento della Commissione?

I fori di entrata dei proiettili nella macchina nella quale prendeva posto il presidente del Parco dei Nebrodi

La quale Commissione ha fatto certamente i suoi errori, che per onore di verità vanno snocciolati uno per uno. Il primo: supporre la tesi della simulazione dell’attentato, o quantomeno metterla sullo stesso piano delle altre due, accusando la scorta di cose non dimostrate. E’ vero, è una tesi che scaturisce da alcune testimonianze, ma riteniamo che su questo sarebbe stata necessaria una prudenza maggiore, poiché si parla di forze dell’ordine preparate e attente che rischiano la vita e non di mestieranti allo sbaraglio. Il secondo: ritenere “l’attentato mafioso fallito come l’ipotesi meno plausibile”, anche in presenza di dubbi. Il terzo: dire in conferenza stampa che la mafia ride di fronte a un’attività rispettabilissima come quella di Antoci.

Errori. Errori che si sarebbero potuti evitare. Almeno secondo noi. Errori che un giornalista ha il dovere di evidenziare, dando comunque il diritto di spiegarne meglio i contenuti e di chiarirli all’intervistato, mettendolo nelle migliori condizioni di rispondere. È stato fatto? Ognuno in coscienza dia la sua risposta. E poi qualcuno dovrebbe spiegare perché non piace la seconda ipotesi, l’atto puramente dimostrativo, ovvero la minaccia pesante, che sembra una tesi molto verosimile. Intanto si è preferito innescare certi meccanismi finalizzati a fuorviare l’opinione pubblica e a “mascariare” l’intervistato.

P.s.: si invitano i lettori a leggere il contenuto del link arrivato in redazione assieme al commento pubblicato sotto questo articolo. Lo riteniamo molto interessante e istruttivo.

Luciano Mirone