Due sere fa abbiamo visto il reportage di Andrea Purgatori sulla strage di via D’Amelio, in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della scorta. Un’indagine avvincente ma, spiace dirlo perché stimiamo Purgatori, monca.  

In circa due ore di trasmissione (“Atlantide” su La7) il giornalista racconta efficacemente “il più grande depistaggio della storia dell’Italia repubblicana”, e il contesto in cui esso maturò: le collusioni di Giulio Andreotti, di Salvo Lima, di Vito Ciancimino, di Marcello Dell’Utri con Cosa nostra, gli omicidi Mattarella e Dalla Chiesa, la strage Chinnici, il fallito attentato all’Addaura, il delitto dell’agente di Polizia Nino Agostino, la cattura dei grandi latitanti di Stato come Totò Riina, di cui non venne perquisito il covo, l’omicidio del boss Gino Ilardo che aveva confidato – con diversi anni di anticipo dalla cattura – a un ufficiale dei carabinieri dove si nascondeva Provenzano e le trame per non arrestarlo, la trattativa Stato-mafia.

Il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando. Sopra: il giornalista Andrea Purgatori

Purgatori racconta questo e tanto altro, ma come succede indistintamente a tutti i giornalisti italiani – dal più bravo (Purgatori è fra questi) al più asino – dimentica di raccontare la più grande censura della storia dell’Italia repubblicana che con la strage di via D’Amelio è indissolubilmente collegata: il ruolo che l’attuale sindaco di Palermo Leoluca Orlando ha avuto nel fare implodere la Prima Repubblica e nel costruire la Seconda (quando, intuito il disegno, scese in campo un certo Silvio Berlusconi, con l’avallo di Cosa nostra).

Insomma, l’opera di uno dei più grandi protagonisti della storia d’Italia degli ultimi trent’anni viene sistematicamente ignorata oppure demonizzata, ma difficilmente raccontata per quella che è. Chi “dimentica” tutto questo commette una omissione, peccato grave per un giornalista.

Leoluca Orlando – sia quando si parla di Andreotti, sia quando si parla di Lima, sia quando si parla del delitto “strategico” di Piersanti Mattarella (di cui fu consigliere giuridico), sia quando si parla delle stragi – scompare misteriosamente dalla scena, anche quando è al fianco di Borsellino perfino pochi giorni prima della strage.

Sono in tanti oggi a far finta di non ricordare cosa è stato (e cosa è) Orlando per Palermo, per la Sicilia e per questo Paese. E dispiace che questo compito debba essere riservato a un piccolo giornale, quando potrebbe essere assolto dalla grande stampa che potrebbe emendarsi da un gravissimo errore commesso in questi decenni di silenzio o di demonizzazione.

Giova ricordare che dopo Aldo Moro e Piersanti Mattarella, Orlando fu il primo a fare il “compromesso storico” fra la parte migliore della Democrazia cristiana (di cui egli faceva parte assieme all’attuale presidente della Repubblica Sergio Mattarella, altro grande protagonista della Primavera di Palermo) e del partito comunista italiano? Successe negli anni Ottanta, quando l’ex Pci di Berlinguer aveva preso le distanze da Mosca, e Leoluca diventò per la prima volta sindaco di una città – Palermo – occupata militarmente dalla mafia perfino nell’espressione del consenso: una vittoria in Sicilia del partito comunista più forte d’Europa, avrebbe rischiato di condizionare il resto d’Italia, come stava avvenendo nel 1947, quando la strage di Portella della Ginestra fermò la schiacciante vittoria dei “rossi” alle elezioni regionali, e pochi mesi dopo la replica si prevedeva alle nazionali. Un Pci in giunta a Palermo era un’eresia per un contesto di quel genere, specie se si pensa che per questo motivo, pochi anni prima, era stato trucidato l’ex leader della Dc Aldo Moro.

La strage di via D’Amelio

Giova ricordare gli attacchi che quotidianamente Orlando – da sindaco di Palermo – sferrava a Giulio Andreotti, a Salvo Lima, a Vito Ciancimino (suoi colleghi di partito), a Licio Gelli, alla loggia massonica P2, al sistema di quegli anni?

Giova ricordare che a Palermo – il 23 maggio e il 19 luglio 1992 – quando ancora non si conosceva il nome delle vittime delle stragi, nel sentire quei terribili botti, molti pensarono proprio a Orlando? Sembra fantascienza, eppure è storia vera. Giova ricordare che alcuni pentiti hanno confermato tutto questo?

Sì, in un Paese dove si dimentica in fretta perfino di essere stati fascisti fino al giorno prima della caduta di Mussolini, giova ricordarlo.

E però Orlando rientra magicamente sulla scena quando si parla degli “attacchi a Falcone”, col quale – detto per inciso – era in rapporti strettissimi.

Gli “attacchi a Falcone”…  In quel caso, improvvisamente, certa stampa (la stessa che ospita le sguaiataggini di Sgarbi contro il pm del processo trattativa, Antonino Di Matteo, o contro Giancarlo Caselli) guarisce dall’Alzheimer e ricorda. E appare pure scandalizzata, senza rendersi conto di essere solo scandalosa, per il fatto di non dare la possibilità all’interessato di dare la sua versione, di non riuscire neanche a consultare i giornali dell’epoca, di non essere capace a mettere un microfono davanti alla bocca di Berlusconi per porgli un paio di domande semplici semplici: “Perché i magistrati continuano a indagare sul suo possibile coinvolgimento nelle stragi del 92-93? Perché ha sempre difeso il suo braccio destro Marcello Dell’Utri, fondatore di Forza Italia, malgrado una condanna definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa?”.

Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri, fondatori di Forza Italia

Siamo sicuri che gli “attacchi” di Orlando a Falcone non siano da definire delle semplici critiche? Sia quando Orlando – con riferimento a Salvo Lima – parlò delle “verità nei cassetti” conservate nel Palazzo di giustizia di Palermo (chi dice che si riferisse a Falcone e non al chiacchieratissimo procuratore Giammanco, che lo aveva isolato?), sia quando non approvò il trasferimento di Falcone al ministero di Grazia e giustizia su proposta dell’allora ministro Claudio Martelli.

Nel primo caso le “verità” di cui parlava Orlando erano le stesse che, fin dagli anni Sessanta, denunciava sia il quotidiano palermitano L’Ora, sia il leader del partito comunista in Sicilia, Pio La Torre. Basta consultare i titoli che sistematicamente venivano pubblicati dal giornale diretto da Nisticò contro il sistema democristiano per comprendere che le frasi di Leoluca, col tempo, si sono rivelate vere, e cioè che Lima, Ciancimino e Andreotti erano collusi. La polemica Orlando-Falcone nasce perché il magistrato – in un momento in cui Andreotti, garante degli equilibri atlantici che nel 1978 avevano voluto la morte di Moro – voleva elementi più corposi per smontare un sistema così potente.

Nel secondo caso (ovvero il trasferimento da Palermo a Roma del giudice antimafia) si trattò di un dissenso nei confronti di un amico che aveva accettato la giusta proposta proveniente da un ministro troppo inserito nell’apparato sbagliato.

Ma per comprendere meglio di cosa stiamo parlando bisogna porsi una domanda: perché Borsellino continuò ad essere amico di Orlando e a portare avanti delle battaglie comuni fino all’ultimo giorno della sua vita? Perché gente come Antonino Caponnetto e Nando dalla Chiesa furono tra i fondatori del momento politico la Rete, di cui Orlando divenne leader? Perché le tivù di Berlusconi (non solo) lo attaccano violentemente ancor oggi? Perché – malgrado la grande rivoluzione che Orlando ha attuato in una delle città più difficili del mondo – la sinistra non lo cerca per fargli fare il leader? Semplicemente perché Orlando è scomodo anche a sinistra.  Evidentemente la straordinaria politica per i migranti, per la legalità, per la cultura, per una città più vivibile, per un centro storico restituito alle persone, non piacciono ad una sinistra che preferisce parlar d’altro.

Paolo Borsellino

Ah-ma-le-periferie-Ah-ma-la-monnezza-Ah-ma-le-alleanze-elettorali-Ah-ma-è-narcisista. C’è sempre un “ma” da assolutizzare e da contrapporre a dei fatti di cui pochi parlano, senza sapere che il problema delle periferie non può mai essere risolto senza una massiccia mobilitazione da parte dello Stato, il problema della monnezza senza un impegno serio da parte della Regione. In merito a certe alleanze elettorali (si pensi all’ultima con l’ex ministro Angelino Alfano) certe critiche sono fondate (noi lo abbiamo scritto), ma non ci risulta che Orlando abbia mai superato i limiti della decenza: in caso contrario sarebbe carino dimostrarlo con dati di fatto. Leoluca ha messo insieme tanti soggetti, da Rifondazione comunista al mondo cattolico, e in questo contesto ha trovato la sintesi, cosa difficilissima in Italia. E’ narcisista? Molto. Ma è – come lo ha definito l’ex direttore artistico del Teatro Biondo, Pietro Carriglio, grande ex seguace di Salvo Lima – anche “un fuoriclasse”.

Se oggi a Palermo la mafia c’è ancora ma non comanda, se le istituzioni si sono riprese il loro ruolo è anche (forse soprattutto) merito suo. Ma lui, Orlando, oggi “non deve” andare oltre Palermo. Quando lo ha fatto (da leader) riempendo all’inverosimile le piazze e i teatri d’Italia, ha dato la netta percezione che un cambiamento è possibile.

Troppo “pericoloso”. Il potere (quello vero) non poteva permetterselo e non poteva permettersi un altro delitto eccellente. Quindi lo ha emarginato attraverso l’informazione soprattutto: che faccia il sindaco nella punta estrema della Sicilia. Ma qualcuno, prima o poi, deve dirle queste cose. E’ tempo che la stampa migliore la smetta di contribuire a questa censura che dura da troppi anni e che fa tanto male alla democrazia.

Luciano Mirone