“Vecchio rimbambito comincia a contare, si sta avvinando il giorno della verità non ci sperare che tu mi possa incontrare la barba te la faccio arrivare fino ai piedi (vedremo)”.

La lettera recapitata qualche anno fa a Vincenzo Agostino. Sopra: Vincenza e Augusta Agostino

Questa missiva che trasuda una ignoranza, una cattiveria e una stupidità senza limiti, oltre a una cultura mafiosa di infimo livello, è stata scritta qualche anno fa con la volontà di colpire un brav’uomo come Vincenzo Agostino, già provato duramente dall’assassinio del figlio, della nuora e del nipotino che da alcuni mesi la donna portava in grembo. Chi l’ha spedita lo ha fatto con l’intento di far male. Apostrofare una bella persona come Vincenzo con questa volgarità, augurandogli perfino la morte, è di una crudeltà inaudita e qualifica l’anonimo per quello che è: un infame.

Questa lettera – ripresa oggi su fb da Nunzia, la figlia – è un proiettile. Come quei proiettili che il 5 agosto 1989 a Palermo colpirono, a soli ventotto anni, il figlio di Vincenzo, l’agente di polizia Nino Agostino, assieme alla sposina Ida Castelluccio e a quella minuscola creatura che forse si sarebbe chiamata come il nonno.

Da quel momento Vincenzo (che si è fatto crescere la barba, dicendo che se la sarebbe tagliata solo a giustizia avvenuta) non sarebbe stato più lo stesso, e anche la moglie Augusta, che da allora aveva smesso di sorridere, si portava un dolore senza lacrime, cupo, muto, lancinante, fino allo scorso anno, quando la morte improvvisa l’ha portata a far compagnia a Nino, a Ida e al nipotino.

Nino Agostino e Ida Castelluccio

Falcone e Borsellino ai funerali di Nino Agostino e Ida Castelluccio.

Da allora, a ricordare Nino, a chiedere verità e giustizia su quelle morti atroci, è rimasto Vincenzo e gli altri figli Flora, Nunzia e Salvatore. Da quella maledetta giornata dell’estate dell’85, Vincenzo è diventato un simbolo.

Ed è questo simbolo che qualcuno – con quella lettera – ha cercato di abbattere. Un proiettile che non è un proiettile, ma un monito, un avvertimento, una minaccia a farla finita. Mica l’unica. Nunzia Agostino, in una corrispondenza che abbiamo avuto nel pomeriggio,  dice: “L’abbiamo portata a chi di competenza, ma non abbiamo mai saputo nulla. Non abbiamo saputo nulla nemmeno di altre minacce ricevute e denunciate, l’ultima risale all’estate del 2018”. Nunzia fa una pausa: “Una donna al telefono, alle 3 di notte, spacciandosi per maresciallo dei carabinieri, avvisava mio padre che stavano per arrestarlo”. Un’altra pausa: “Mia madre si è spaventata tanto”. “Ma non ci hanno mai detto nulla: alla fine avrebbero potuto chiedere solo i tabulati telefonici”. Ma niente. Una storia incredibile quella di Nino Agostino, che qualche anno prima aveva salvato Giovanni Falcone dall’attentato all’Addaura. Dopodiché si era messo ad indagare e aveva scoperto che ad organizzare il piano di morte per il magistrato antimafia non era stata Cosa nostra, ma uomini degli apparati dello Stato. Lo stesso Stato che dopo averlo ucciso si è reso protagonista, in tutti questi anni, di una serie di depistaggi da fare accapponare la pelle.

Non abbiamo altre parole per definire gesti come questi. Ma una – destinata a Vincenzo – vogliamo spenderla. È la parola “solidarietà”, come quella che in questi momenti sta inondando i Social da tutte le parti d’Italia per fare sentire l’affetto della parte migliore del Paese ad un partigiano dei giorni nostri. Caro Vincenzo, vecchia quercia di una lunga stagione di lotte valorose, ignora questi deficienti e vai avanti. Noi siamo con te.

Luciano Mirone