Le Iene hanno indetto una petizione per ripristinare la scorta al capitano Ultimo – il mitico ufficiale dei carabinieri che catturò Totò Riina – e noi non solo l’abbiamo sottoscritta, ma per quello che può valere abbiamo rilanciato la notizia su questo giornale.

Detto questo, consentiteci di chiederci perché Le Iene portano avanti una sacrosanta battaglia per il capitano Ultimo, alias Sergio De Caprio, oggi colonnello, e non per un ex magistrato come Antonio Ingroia (al quale pure è stata revocata la scorta) che con le sue indagini ha squarciato il velo sulla trattativa Stato-mafia, sui rapporti fra il fondatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri e Cosa nostra, sull’omicidio del giornalista Mauro Rostagno, collegato con il delitto di Ilaria Alpi e dell’operatore Miran Hrovatin, e su tanti altri misteri della storia dell’Italia repubblicana?

Forse perché Ultimo rischia più di Ingroia? Può darsi, o forse no, dipende dai punti di vista, ma in questi casi bisogna guardare alla sostanza. E allora ci siano consentite alcune domande che sono frutto di un ragionamento critico non assolutamente in contraddizione con la nostra posizione a sostegno di Ultimo.

Il capitano Ultimo, Sergio De Caprio (oggi colonnello). Sopra: l’ex magistrato Antonio Ingroia (oggi avvocato)

1)      È vero che quando Riina fu catturato, il suo covo non fu perquisito? Se questo è vero (come è stato confermato dai processi), perché Ultimo non ne ha spiegato i motivi? Perché non ha raccontato dei retroscena che ancora oggi, a distanza di anni, non sono stati svelati per intero? Magari lui con la mancata perquisizione di Riina non c’entra direttamente, ma ci chiediamo pure se i suoi superiori siano esenti da certe responsabilità, e se Ultimo su questo argomento non avrebbe dovuto essere più loquace.

2)      È vero che mentre l’ufficiale faceva parte dei Ros ebbe la soffiata della presenza di Nitto Santapaola (mandante, fra gli altri, del delitto del giornalista Giuseppe Fava) a Barcellona Pozzo di Gotto (Messina), dove trascorreva tranquillamente la sua latitanza, individuò una villa che qualcuno gli aveva segnalato come il covo del boss, aspettò che uscissero delle persone e cominciò a sparare contro colui che qualcuno gli aveva indicato (erroneamente) come Santapaola? Si trattò di una coincidenza oppure Ultimo fu depistato da qualcuno più in alto? Anche in questo caso ci saremmo aspettati qualche parola in più.

Passiamo a Ingroia. Ci saremmo aspettati che Le Iene prendessero la stessa posizione nei confronti di un ex magistrato (oggi avvocato impegnato in casi molto delicati, a cominciare dalla strana morte dell’urologo Attilio Manca, che con la trattativa – e con i personaggi istituzionali che l’hanno portata avanti – ha un nesso) fortemente a rischio.

A meno che qualcuno non dimostri che Cosa nostra si sia estinta con la morte di Riina e di Provenzano (Santapaola è in carcere), è certo che Cosa nostra – dopo le stragi – ha attuato la “strategia della sommersione”, quindi è ancora viva e vegeta, anche se orfana dei vecchi generali. E poi, diciamolo chiaramente: il suo capo, Matteo Messina Denaro, è ancora latitante. Lo Stato ogni tanto fa delle belle operazioni per fargli “terra bruciata”, ma intanto dimostra la sua impotenza nell’acciuffarlo, esattamente come è successo con i grandi boss che – ricordiamolo – erano, prima di tutto, i grandi elettori di certi politici e i grandi autori di una “pulizia etnica” (in nome e per conto degli stessi) nei confronti dei simboli dello stato di diritto che sognavano un’Italia migliore.

Questo, qualcosa, deve voler dire. E secondo noi vuol dire che è stata sì colpita buona parte dell’ala militare ormai “bruciata” dalle stragi, ma manca la parte istituzionale. La stessa su cui ha cercato di fare luce (riuscendoci) Antonio Ingroia, spianando la strada a magistrati altrettanto valorosi come Nino Di Matteo, pm del processo trattativa con i colleghi Teresi, Del Bene e Tartaglia.

Se non fosse stato per Ingroia avremmo saputo che Borsellino, assieme agli agenti della sua scorta, è stato ucciso per essersi messo di traverso allo scellerato patto fra uomini delle istituzioni e Cosa nostra per far cessare le stragi e gli omicidi politici? Avremmo saputo il ruolo di trait d’union di Marcello Dell’Utri con Silvio Berlusconi e i boss mafiosi nel fondare Forza Italia? Avremmo conosciuto gli assassini di Mauro Rostagno? Saremmo venuti a capo di un altro delitto eccellente come quello del giornalista de L’Ora Mauro De Mauro, ucciso per avere scoperto i segreti internazionali (mafia, massoneria, servizi segreti italiani e americani) relativi alla “morte accidentale” (un attentato aereo, ma lo avremmo scoperto decenni dopo) dell’ex presidente dell’Eni Enrico Mattei? Tante cose non avremmo scoperto senza Antonio Ingroia.

Non bisogna dimenticarlo. E invece viene dimenticato per il fortissimo tentativo di delegittimazione e di rimozione scattato sia mentre Ingroia era dentro la magistratura, sia quando ne è uscito. Ecco perché firmiamo per Ultimo (ma con le domande di cui sopra), ma al tempo stesso diciamo chiario e forte a Le Iene e all’opinione pubblica di sostenere Ingroia “senza se e senza ma”.

Luciano Mirone