Partiamo e ci portiamo dietro le cartoline, la cronaca, le melodie, il sentito dire, Toto’ e la pizza. Tutta quella roba che ti riempie la testa di immagini che ti fanno pensare di conoscerlo già quel luogo, quella città tanto raccontata, amata e bistrattata. Ma Napoli ti insegna che i luoghi si vivono, si respirano e soprattutto si sentono.

Napoli e’ ombrosa: dentro ai vicoli agosto non ti ferisce. In quella penombra che brulica di voci, panni stesi e spavaldi motorini c’è l’eco di un mondo lontano. Quel teatro, antico e sempre aperto, di cui parlava Eduardo si spalanca davanti ai nostri occhi. E’ un turbinio di odori, volti e maschere, voci e urla. Napoli ti stordisce con tutta quella vita che scorre davanti.

A Napoli e’ sempre Natale. E non importa che tu sia credente o no. Il presepe e’ infanzia, un rito come quello che si compie a casa Cupiello. Quanta maestria e ironia! Qui il sacro della natività convive coi corni collaudati contro il malocchio. Un tipo, con una bancarella, dispensa terni da giocare sulla ruota vincente, San Gennaro si contende il culto con Maradona e quando ti trovi davanti ad una delle opere più stupefacenti dell’arte italiana, il Cristo Velato, pensi davvero che possa essere il risultato di una misteriosa alchimia.

E poi finisci per girare a piazza Plebiscito bendato, per provare che la leggenda che si tramanda nei secoli dice il vero, non si può passare tra le due statue equestri a occhi chiusi, maledizione della regina Margherita volle così.

Napoli e’ sporca: cumuli di immondizia, carte, cicche, resti di cibo, ferri vecchi, le strade nere di lava e di resti di qualsiasi cosa. Caotica, rumorosa, un negoziante di via Toledo ci consiglia di non entrare nei Quartieri Spagnoli perché Napoli può essere pericolosa. Ma i turisti sono dappertutto, alla faccia dei luoghi comuni.

Napoli e’ luce, quella dolce dell’imbrunire, sul lungomare, alle tredici discese di sant’Antonio a Posillipo, tra le coppiette del Parco Virgiliano. Il Vesuvio, il mare, le isole. Napoli ci mostra un altro volto, una prospettiva dall’alto. E mentre il sole va giù non abbiamo ancora deciso se e’ meglio la sfogliatella riccia o la frolla. Ci prepariamo all’ennesima pizza, perché e’ vero quel che si dice, a Napoli e’ tutta un’altra cosa e decretiamo che il babà e’ esclusivamente partenopeo. Quanta luce, quanti sapori e quante calorie.

A Napoli la morte non esiste o forse si. Di certo il confine e’ sottile. I figli illustri di questa città sono in ogni angolo. A Spaccanapoli la voce e la chitarra di Pino Daniele si fonde col brusio della gente. Toto’ e Troisi sorridono da dentro un presepe o un murale, Eduardo si affaccia al balcone. Vedi Napoli e poi muori, per poi rinascere ancora.

Napoli e’ più a Sud del Sud. La loquacità e i silenzi, il sorriso e le urla esasperate. Odore di cibo, le cucine aperte sulle strade, le sedie davanti alla porta di casa. Terra di contrasti dove alla magnificenza della capitale del Regno che fu senti la povertà, le brutture della criminalità, le politiche sbagliate e le bellezze abbandonate. In nessun luogo, come qui, i contrasti sono accecanti.

Non bastano pochi giorni per conoscere un luogo. Puoi coglierne qualche sfumatura, percepirne appena l’anima. Le città ci svelano solo una parte della loro complessa vita. Non basta mai, si dovrebbe nascere in ogni luogo per conoscerlo davvero.

Quando la nave parte hai la sensazione di aver lasciato qualcosa che devi tornare a riprendere. E’ come sorridere e piangere insieme. Non capita sempre ma solo nei luoghi dell’anima: torni e non sei più lo stesso. Nel bene e nel male.

Marina Mongioví