Il caso Siri non smette di essere al centro di un duro scontro all’interno del governo. Ai pentastellati non tornano i rapporti tra il vicepremier Matteo Salvini e Franco Arata, accusato dalla procura di aver “dato o promesso” 30mila euro al sottosegretario della Lega indagato per corruzione. “L’ho incontrato soltanto una volta, quante volte lo devo dire. Occupiamoci di altro, pensiamo a lavorare tutti”, replica Salvini, a margine di un’iniziativa elettorale a Motta Sant’Anastasia, in provincia di Catania.

“Salvini ha detto di non conoscere Arata e di averlo visto una sola volta nella vita, allora perché lo propose ai vertici di Arera? Perché gli lasciò redigere il programma energetico della Lega? Perché condivise sul suo profilo ufficiale Twitter le proposte di Arata considerandolo un uomo della sua squadra? Perché si avvalse dell’intermediazione del figlio Francesco per incontrare Steve Bannon? E perché l’altro figlio di Arata, Federico, recentemente è stato assunto da Giorgetti a Palazzo Chigi? Qualcosa non torna, non capiamo quali siano i reali rapporti tra Arata, Salvini e la Lega”, affermano fonti del M5S.

Manlio Di Stefano, sottosegretario M5S agli Affari esteri, ricorda ancora che “Arata ha redatto il programma energetico della Lega”. “Salvini – incalza Di Stefano – ha il dovere di chiarire immediatamente e di spazzare via qualsiasi ombra su questa inchiesta. Non può rimanere in silenzio in eterno difendendo ad oltranza la posizione di Siri nonostante ci sia di mezzo una indagine per corruzione dove emergono anche legami con il mondo mafioso”.

Sulle dimissioni Di Siri il Movimento non molla. Il premier Giuseppe Conte interverrà e il sottosegretario sarà costretto alle dimissioni. Ne è convinto il vicepremier e ministro Luigi Di Maio che, in un’intervista al Corriere della Sera, è tornato ad attaccare il sottosegretario leghista invocando ancora una volta un passo indietro. Ma sulla tenuta della maggioranza, il capo del M5S rassicura: “Il governo è uno e c’è un contratto. Non si è rotto nulla, per noi va avanti. Vogliamo fare tante cose e in squadra. Mi auguro valga lo stesso per la Lega. Sapevo che non sarebbe stato semplice. Non mi delude la Lega, mi impensierisce quando evoca crisi di governo irresponsabili”.

Di Maio dichiara di fidarsi ancora dell’alleato Matteo Salvini, vicepremier e ministro dell’Interno: “Di lui sì, meno di chi gli sta intorno”. Il riferimento è “a questo Paolo Arata che avrebbe scritto il programma sull’energia della Lega, che lo propose alla guida dell’Autorità Arera e che, per le inchieste, è il faccendiere di Vito Nicastri, vicino alla mafia. Credo che la Lega debba prendere le distanze da lui e chiarire il suo ruolo, visto che il figlio è stato assunto da Giorgetti”. Secondo Di Maio, dunque, Salvini “deve rispondere ai cittadini, non a noi. Noi abbiamo fatto quello che dovevamo, togliendo le deleghe a Siri. Questo attaccamento alla poltrona non lo capisco. Gli abbiamo chiesto un passo indietro. Continui a fare il senatore, non va mica per strada. Certo che Conte dovrebbe spingerlo alle dimissioni. E lo farà, ne sono sicuro. Deciderà lui come”.

Dal canto suo Salvini fa capire che la corda sta diventando davvero troppo tirata. “Io di pazienza ne avrei, ma la gente si avvicina per fare selfie, stringermi la mano e mi dice: Matteo, ma questi 5 Stelle vogliono continuare ancora così? Ti attaccano sempre? Perché non rompi?”, ha detto in un colloquio sulle pagine di Repubblica. “Io non voglio fare polemica, nonostante tutto quel che mi è stato detto in queste ore – assicura il responsabile del Viminale – ma mi chiedo se la mia stessa pazienza ce l’hanno ancora gli elettori che hanno voluto questo governo”. Quanto a Di Maio, “non l’ho sentito e non rispondo alle provocazioni”. Salvini si sofferma dunque sul caso Siri, con il premier Giuseppe Conte chiamato a fare da ‘arbitro’, “il presidente del Consiglio è libero di incontrare chi vuole – dice il leader della Lega – Io con Siri ho parlato, mi ha detto di essere tranquillo e tanto mi basta. Per me deve restare al suo posto”. “Spero abbia modo di spiegare ai magistrati – prosegue il ministro dell’Interno – che in un Paese normale lo avrebbero chiamato dopo un quarto d’ora, non settimane dopo”.

Nella foto: il  ministro dell’Interno Matteo Salvini

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