“Purtroppo non vi nascondo che in questa diatriba fra Fiammetta Borsellino e Nino Di Matteo io mi sento davvero in difficoltà perché da un lato c’ è Fiammetta, figlia del giudice Paolo, ferita e amareggiata, che ha tutto il mio appoggio e il mio affetto…dall’ altro Nino Di Matteo, un grande uomo a cui voglio altrettanto bene e che sosterrò sempre, il quale rischia, così come il giudice Paolo, la vita ogni giorno e che viene accusato ingiustamente da chi invece dovrebbe solo ringraziarlo per il coraggio con cui ha cercato e continua a cercare la verità sulle stragi del 92…”.

A scrivere questo post su facebook è Linda Grasso, figura rappresentativa dell’antimafia, oltre che nostra amica. Che così prosegue: “Non è affatto facile per me e penso anche per la maggior parte di noi riuscire a non soffrire per questa situazione…”.

E infine: “Di una cosa però sono certa, che dietro tutto questo ci sono ancora le ‘menti raffinatissime’ che si servono delle persone perbene per continuare i loro sporchi giochi…”.

L’autrice di questo post è stata una delle fondatrici di Scorta civica, movimento di cittadini sorto alcuni anni fa per proteggere idealmente Nino Di Matteo dagli attentati che Riina minacciava di ordinare contro il pm. Lei, assieme a diverse altre persone stupende e di buona volontà, sacrificando lavoro, famiglia, tempo libero e qualsiasi altra attività, per diversi anni, e ogni giorno, si sono piazzate davanti al Palazzo di giustizia di Palermo, con cartelli, striscioni e gazebo per fare sentire la vicinanza della Società civile (“E adesso ammazzateci tutti”) ad un magistrato che ha avuto la “colpa” di aver portato avanti – con colleghi come Del Bene, Teresi e Tartaglia – il processo Trattativa iniziato da Antonio Ingroia.

Scorta civica a Roma il 14 novembre 1015 per sensibilizzare il governo a rafforzare i dispositivi di sicurezza per il pm Nino Di Matteo

Se oggi Di Matteo è protetto da dispositivi tecnologici all’avanguardia, lo si deve grazie ad associazioni come Scorta civica (oltre alle Agende rosse, di cui pure Linda fa parte) che hanno fatto pressioni sui vari ministri succedutisi al dicastero della Giustizia.

A lei ci rivolgiamo con lo stesso garbo con cui l’altro giorno ci siamo rivolti a Claudio Fava – al quale ci lega un’amicizia antica, una militanza comune, un affetto profondo – allorché abbiamo detto che il suo approccio nel redigere la Relazione sui depistaggi di via D’Amelio, in alcuni punti, non ci ha trovati d’accordo: ci riferiamo alle parti in cui il presidente dell’antimafia regionale – seppure indirettamente – ha coinvolto Nino Di Matteo, ancora giovane pm, mettendolo allo stesso piano con l’allora capo della Procura di Caltanissetta, Giovanni Tinebra, accusato di avere depistato le indagini sulla strage.

In quella relazione – scritta anche grazie al supporto di Fiammetta Borsellino – secondo noi andavano fatti dei distinguo molto seri in modo da evitare generalizzazioni e il conseguente rischio di isolamento del pm del processo Trattativa. Meno male che certe precisazioni sono arrivate dal procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato, schieratosi con Di Matteo “senza se e senza ma”, da Alfia Milazzo, presidente dell’associazione La città invisibile di Catania, da questo giornale, dal direttore di Antimafia 2000 Giorgio Bongiovanni, e da pochi altri.

Ora cara Linda, le “difficoltà” di cui parli, se dal punto di vista umano sono comprensibili, si comprendono meno dal punto di vista intellettuale o anche della militanza antimafia, nel senso che il militante antimafia e/o l’intellettuale hanno il dovere di dire la Verità, sempre e comunque. Sennò vengono meno al loro ruolo.

La Verità è una categoria che non deve né può conoscere appartenenze, amicizie, remore, timidezze, calcoli e paure. La Verità o si dice tutta o non si dice. Anche se riguarda persone care o persone con cognomi “pesanti”. In caso contrario non la scopriremo mai, o quando la scopriremo sarà troppo tardi e allora non sapremo che farcene.

Nella vicenda che riguarda le accuse di Fiammetta Borsellino a Di Matteo, una delle poche persone che non hanno tradito il ruolo di militante antimafia e di intellettuale è stato Salvatore Borsellino, fratello del giudice assassinato, che, pur di non venir meno alla propria missione, ha espresso la propria vicinanza a Di Matteo con una sola, grande parola: “Scusa”. Che si rivela sempre saggia, intelligente e rivoluzionaria, specie quando è pronunciata per una giusta causa.

“Scusa”. Per dire a tutti che lui, Salvatore, per la Verità, è disposto ad andare “oltre” le appartenenze, le amicizie, le remore, le timidezze, i calcoli, le paure, addirittura oltre lo stesso cognome, che con questo gesto ha onorato straordinariamente. Con la nipote – che onora pure quel cognome, lottando strenuamente per la Verità, ma che su questo punto, a nostro avviso, ha sbagliato, sottovalutando i rischi cui va incontro Di Matteo – ci sarà il tempo e il modo di discutere, ma intanto urge non isolare il pm del processo Trattativa, punto. Una lezione di antimafia, di intellettualismo e di vita per tutti.

Cara Linda, prendendo spunto dalle tue parole proviamo a fare un ragionamento e a porre alcune domande. Salvatore Borsellino, oltre a fare un gesto di umiltà, indirettamente ha preso una posizione decisa nei confronti di Di Matteo. Quando scrivi di sentirti “in difficoltà” perché non sai con chi schierarti, probabilmente ti fai interprete di quella parte del movimento che in questo momento prova gli stessi sentimenti.

Ma non credi che una posizione vada presa sempre e comunque – magari nei giusti modi – per fare onore alla Verità che dovrebbe prescindere da tutto? Non credi che una parte del movimento soffra di eccessivo “culto” della persona, o meglio, di “certe” persone? Non credi che il culto rischia di diventare dogma e il dogma rischia di essere antitetico alla Verità, specie quando ci si occupa di casi ancora insoluti? Non credi che certi silenzi del movimento contribuiscano all’isolamento di altre persone (che magari non si chiamano Di Matteo), che per le loro oneste battaglie corrono dei rischi molto seri? Non credi che il movimento dovrebbe interrogarsi, ed eventualmente prendere una posizione, anche quando a sbagliare sono le “icone” dell’antimafia, a maggior ragione se l’errore (a volte anche l’orrore) offende una Verità che formalmente tutti dicono di cercare?

Non credi che la solidarietà debba scattare quando una persona, oltre a rischiare di essere colpita dal “fuoco nemico”, viene colpita dal “fuoco amico” solo perché a un certo punto scopre delle “anomalie” che risultano scomode a certi personaggi? Non credi che non basta accusare la mafia, se prima non si apre un serio dibattito interno sulle contraddizioni dell’antimafia? Non credi che il silenzio finisca per favorire le “menti raffinatissime” di cui parli? Queste domande, ovviamente, non sono rivolte soltanto a te, ma a tutti gli amici che stanno da questa parte.

Luciano Mirone