Un evento storico. Ed ecco che la “patria” di Nino Martoglio si mobilita rispondendo entusiasticamente con una partecipazione adeguata ad un momento che resterà negli annali di Belpasso, grazie al convegno “Il Caso Martoglio. Morte Accidentale o Assassinio?”, svoltosi al Club Progressista (che ha organizzato la serata insieme all’autore di questo articolo), nel quale l’attività poliedrica del “belpassese” è stata analizzata a trecentosessanta gradi assieme ai retroscena relativi al suo misterioso decesso.
Relatori: Cristoforo Pomara, ordinario di Medicina legale all’Università di Catania, Alessandro La Rosa, pubblico ministero presso la Procura della Repubblica del capoluogo etneo, Elio Gimbo (regista) e Gianni Nicotra (avvocato), scopritori degli atti sull’inchiesta della morte del commediografo; Sarah Zappulla Muscarà ed Enzo Zappulla (rispettivamente docente di Lettere all’Università di Catania e presidente dell’Istituto di storia e dello spettacolo), studiosi dell’opera teatrale, giornalistica e cinematografica di Martoglio; Nando Sambataro (avvocato) che ha dato una testimonianza personale sul prezioso lavoro che suo padre, il professore Giuseppe Sambataro, ha profuso nei confronti di Martoglio con un’opera monumentale sulla sua figura.

La locandina dell’evento col ritratto del pittore Elio Ruffo. Sopra: un momento della manifestazione
La “patria” del commediografo non poteva non rispondere alla grande. Perché dopo avere conosciuto “come” e “perché Nino Martoglio nacque a Belpasso il 3 dicembre 1870, adesso vuol sapere “come” e “perché” morì tragicamente a soli 51 anni, il 15 o il 16 settembre 1921 (perfino in questo i magistrati furono imprecisi), nella tromba di un ascensore dell’ospedale Vittorio Emanuele di Catania.
Ecco allora che l’ampio ed elegante salone dello storico Club, fondato nel 1892 e luogo di ambientazione probabile del secondo atto di una commedia di grande successo come “L’Aria del Continente”, capace di contenere centinaia di spettatori, ieri sera ha rischiato di rivelarsi improvvisamente piccolo per una partecipazione così numerosa di persone provenienti da Belpasso e da altre province della Sicilia.
Un evento davvero eccezionale, che potrebbe innescarne altri, come ad esempio il gemellaggio Belpasso-Catania – che questo giornale sosterrà – proposto da un altro relatore, Giovanni Grasso (consigliere comunale a Catania e nipote dell’omonimo “attore tragico più grande del mondo”), che prevede un sodalizio fra la città natale del commediografo e la città che lo ha accolto e lo ha ispirato fin dall’adolescenza. Questo per aggiungere altri tasselli alla verità sulla sua morte, e per valorizzare adeguatamente un artista che coi suoi testi teatrali, poetici, giornalistici e cinematografici ha contribuito a rivoluzionare la cultura del tempo: basta ricordare che un suo capolavoro cinematografico del “muto” (“Sperduti nel buio”) ha ispirato registi come Visconti, De Sica e Rossellini a dar vita – nel secondo dopoguerra – alla corrente del neorealismo.
Ma il punto centrale della serata è stato il “giallo” della morte dell’artista belpassese. Troppo banale, troppo retorica, troppo edulcorata per essere considerata vera, così come fu raccontata dall’Autorità giudiziaria del tempo che la liquidò come “decesso accidentale di un artista fin troppo miope e distratto”.
Andò veramente così? Non lo sappiamo. Ma sappiamo che il medico chiamato ad effettuare l’esame esterno sul cadavere, e la magistratura chiamata ad indagare, non si attennero al Codice penale (il Finocchiaro Aprile, in vigore dal 1913) e alla circolare emanata nel 1910 dal ministro di Grazia e Giustizia Cesare Fani, che prevedevano una serie di accorgimenti mai rispettati. Quindi se nessuno si attenne alla legge, siamo autorizzati a pensare che in quei tre giorni fatidici – il 15 settembre quando Martoglio sparì, il 16 quando venne scambiata l’identità del cadavere, e il 17 quando si effettuò il sopralluogo della Polizia e si eseguì l’esame esterno sul cadavere – potrebbe essere successo davvero di tutto? Perché il cadavere di Martoglio fu lasciato marcire per oltre trenta ore nella tromba dell’ascensore?

Un altro momento della serata
A questo va aggiunto che lo stesso medico che eseguì l’esame esterno (Giuseppe Riccioli, appartenente all’ospedale Vittorio Emanuele, tanto per rimanere “in famiglia”) sconsigliò l’autopsia sul cadavere del commediografo. L’indicazione fu accolta in pieno dai magistrati, ma diede il colpo mortale alla Verità, poiché non si stabilì mai in maniera scientifica la causa del decesso. E senza il sigillo della scienza, chi può mai stabilire con certezza che la causa della morte fu davvero accidentale?
Perché un evento tutt’al più da considerare come ipotesi (come teorizzato dalla letteratura medico legale dei secoli precedenti) venne dato per assodato? Perché non si considerò – per dirla con un luminare ottocentesco come il professor Pucinotti – la tesi dell’omicidio camuffato da morte accidentale? Perché si forzò il Codice penale che prevedeva due periti incaricati di eseguire l’esame esterno sul cadavere e se ne nominò uno soltanto con il pretesto di una ”urgenza” che non c’era?
E diciamo che il referto dell’esame esterno (“ferita lacero contusa alla fronte, con incavo al centro”), se da un lato escluse le fratture, le lesioni, il danneggiamento del naso, che statisticamente sono presenti su una persona che cade da tre metri e mezzo (per giunta morta), dall’altro dà ragione ai teorizzatori del delitto, in quanto quella descrizione – spiega efficacemente il prof. Pomara – è perfettamente compatibile con un corpo contundente sferrato da una persona.
Quindi, non solo i magistrati si attennero passivamente alle disposizioni del dottor Giuseppe Riccioli, ma – a nostro avviso – sono da ritenere responsabili, poiché effettuarono un’indagine piena di omissioni, di strafalcioni giudiziari e di contraddizioni, senza attenersi alla legge. Lo dicono le carte, che bisogna leggere attentamente per riscontrare tutto e il contrario di tutto nel giro di poche pagine.

La casa natale di Nino Martoglio a Belpasso
Perché la sbarra di ferro che teneva salda la porticina che dava sulla tromba dell’ascensore (dove sarebbe precipitato Martoglio), descritta da ufficiali e agenti di polizia giudiziaria durante il sopralluogo, scompare nelle relazioni successive e nell’atto di chiusura delle indagini? Perché da quel sopralluogo apprendiamo che la superficie nella quale Martoglio avrebbe battuto la fronte era formata da terriccio, salvo a scoprire che nelle relazioni successive viene descritto un pavimento di cemento? Perché era presente un “incavo” al centro della fronte della vittima, se nessuno ha mai descritto che la superficie della botola e le pareti che l’attorniavano presentavano degli spuntoni che potrebbero aver causato quel “buco”? Perché inizialmente venne descritto un cadavere in posizione “supina” e poi “a faccia in giù”? Perché si diede credito alla versione del direttore sanitario dell’ospedale, il cav. Gaetano Salemi, il quale sostenne che, dato il cadavere si presentava a faccia in giù, l’identità dello stesso era quella di tale Salvatore Caminiti, un ex cocchiere affetto da sifilide e da manie suicide, ricoverato da tre anni in quell’ospedale? Perché si persero delle ore preziose a causa di questo clamoroso scambio di identità Caminiti-Martoglio? Perché nessuno chiese allo stesso direttore dell’ospedale per quale ragione non avesse verificato la presenza di Caminiti nel reparto? Perché si diede credito a questa versione, quando la magistratura sapeva benissimo che il cav. Salemi era stato con Martoglio fino alla sera del 15 settembre, al punto da conoscere il suo abbigliamento (vestito color grigio, scarpe stile bulgaro, paglietta e bastoncino) e quindi da riconoscerlo tranquillamente? Perché non si cercò di andare oltre a una versione così grottesca? Perché quando – a mezzogiorno del 16 settembre 1921, a ben quattordici ore dalla sparizione del commediografo – il direttore sanitario fece la segnalazione scritta al pretore, nella quale denunciò la scoperta del cadavere di Caminiti, in ospedale non si presentò il magistrato, come prevedeva la legge? Perché diverse ore dopo si consentì lo spostamento del cadavere senza la presenza del magistrato? Perché si scrisse che il rinvenimento del cadavere avvenne “verso” mezzogiorno, mentre nel processo civile, celebratosi due anni dopo, si parlò di 8 del mattino? Perché negli atti dell’inchiesta – in riferimento al ritrovamento delle ore 12 – si parla di corpo “rigido”, quindi privo di vita da due-tre ore? Perché non si considerò che in quelle ore Nino Martoglio poteva ancora agonizzare sotto gli occhi del personale del Vittorio Emanuele? Perché si diede credito al medico che effettuò l’esame esterno, che parlò di morte “quasi istantanea”? Perché non si indagò sul reale momento del decesso? Perché non si tenne in considerazione il fatto che il dott. Riccioli e il direttore sanitario avessero dichiarato il falso? Perché i magistrati – pur avendo riascoltato costoro diverse volte – accettarono passivamente le loro versioni? Perché Elvira Schiavazzi, moglie del commediografo, in quelle ore convulse, non fu informata della morte del marito? Perché fu sentita solo due mesi dopo?
Per la cronaca, due anni dopo la signora Schiavazzi – durante il processo civile – sostenne l’ipotesi che il marito “non fosse morto in seguito alla caduta, ma solo dopo molte ore e probabilmente a causa dell’inerzia del direttore”. Ma ormai l’inchiesta era stata chiusa e non sarebbe mai stata riaperta.
Luciano Mirone
Complimenti al Direttore Luciano Mirone per l’interessante l’articolo e a quanti hanno contribuito assieme a lui a buttare luce sulla tragica fine di Nino Martoglio. Morte accidentale?Omicidio?
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