Caro Claudio, speriamo che la pubblicazione di questa “lettera aperta” coincida con la fine delle polemiche sulla relazione che la Commissione antimafia della Regione Sicilia, da te presieduta, ha dedicato alla strage di via D’Amelio e ai suoi successivi depistaggi.

Anzi, in verità crediamo che la polemica l’abbia chiusa l’altra sera a Palermo il Procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato, quando durante la presentazione della Relazione ha detto: “Nei confronti del pm Nino Di Matteo, oggi alla Direzione investigativa antimafia, esprimo stima e amicizia. È uno dei magistrati più bravi e coraggiosi che io abbia mai conosciuto”. Chiaro.

Il procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato. Sopra: il presidente della Commissione antimafia della Regione Sicilia, Claudio Fava

Con questa frase Scarpinato ha preso le distanze dalle durissime accuse che Fiammetta Borsellino – figlia del giudice assassinato in via D’Amelio, presente all’incontro anche lei come relatrice – ha lanciato nelle ultime settimane nei confronti di Di Matteo (giovane magistrato a Caltanissetta all’epoca dei fatti), “reo”, secondo lei, di non aver denunciato, assieme agli altri colleghi, le torbide manovre che in quei momenti il capo di quella Procura Giovanni Tinebra stava portando avanti assieme al capo della Squadra mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera(e non solo).

La figlia di Borsellino si è spinta oltre, bollando come “vergognoso” il comportamento di Di Matteo per il fatto che il magistrato, recentemente, non ha ritenuto di presentarsi al cospetto della Commissione da te presieduta per fornire la sua testimonianza, resa comunque diversi mesi prima sullo stesso argomento davanti all’Antimafia nazionale, cui allora eri presente in quanto vice presidente. Di Matteo alla Commissione regionale avrebbe detto le stesse cose, quindi non comprendiamo qual è il problema.

Ma il vero punto dolens non è questo. E’ quello sui presunti “silenzi” che, secondo Fiammetta , il “padre” del processo Trattativa avrebbe tenuto di fronte ai depistaggi su via D’Amelio. Affermazioni pesanti, scaturite certamente da un dolore indicibile, malgrado i quasi ventisette anni trascorsi, eppure fatte senza calcolare il rischio di un indebolimento o addirittura di una delegittimazione di un magistrato ad altissimo rischio come Nino Di Matteo, specie se la fonte di tali affermazioni è una persona con un cognome pesante: Borsellino.

Se poi trovano eco – seppure con sfumature diverse e sicuramente con intenzioni mosse da onestà intellettuale – in un altro nome illustre come te, figlio di un simbolo della lotta alla mafia come Giuseppe Fava, comprenderai che il rischio per Di Matteo si fa più concreto. Perché tu sai benissimo che la delegittimazione è come l’effetto serra: non la vedi e non l’avverti, però quando esplode travolge tutto.

Il magistrato Antonino Di Matteo

Si dà il caso, caro Claudio, che molti abbiano avuto l’impressione che la Relazione redatta dalla tua Commissione fosse in sintonia con le dichiarazioni di Fiammetta. Magari sbagliano, ma certe parole appaiono inequivocabili: “Accanto alle ‘menti raffinatissime’ che organizzarono assieme a Cosa Nostra la strage e il depistaggio – scrivi –  c’è una folla di minori (magistrati, poliziotti, funzionari dei servizi, capi e vicecapi di varia natura, prefetti, ministri…), tutti in varia misura colpevoli perché tutti consapevoli. Colpevoli di aver fatto finta di nulla di fronte alle scelte dissennate e incomprensibili di quelle prime indagini che determinarono, come si usa ormai dire, il più clamoroso depistaggio nella storia d’Italia”.
Ora, siccome di questa “folla di minori” facevano parte pure i “magistrati” della Procura di Caltanissetta, in cui c’era un Di Matteo a inizio carriera (e anche qualche altro pm di valore come Ilde Boccassini, distintasi qualche tempo a Milano per aver condotto con grande coraggio l’inchiesta Mani pulite che ha svelato la cloaca di Tangentopoli), crediamo che nella Relazione andavano fatti dei distinguo.

Non fosse altro perché il tempo e l’esperienza ci hanno insegnato che la realtà, a volte, non è bianca o nera come appare, ma presenta delle gradazioni che bisogna cogliere e spiegare agli altri che non sanno per evitare spiacevoli generalizzazioni. Il distinguo lo ha fatto ancora una volta Scarpinato con un’altra frase lapidaria:  “Di Matteo non ha gestito colloqui investigativi con Scarantino (il falso pentito inventato da Tinebra e da La Barbera per sviare l’inchiesta, ndr.), Di Matteo non ha gestito la prima fase delle indagini”. E anche questo è chiarissimo.

Scarpinato ovviamente parla di questioni tecniche, noi più umilmente cerchiamo di affrontare questioni umane. Ed abbiamo il dovere di comprendere cosa c’è al di là delle parole e delle apparenze: fronteggiare un “mostro” invisibile come lo Stato deviato, specie quando si è giovani e sprovveduti, deve essere pazzesco perché la trappola può scattare in qualsiasi momento, anche mentre stai parlando con l’insospettabile della porta accanto, a maggior ragione se pensiamo che diversi “soggetti che sapevano e che stavano per parlare di via D’Amelio – come ha dichiarato sempre Scarpinato – sono stati vittime di strani omicidi e suicidi”. Ecco perché – è ancora il procuratore generale di Palermo a parlare – non si può giudicare col senno di oggi quello che è successo ventisette anni fa.

Però col senno di oggi una cosa possiamo dirla con assoluta certezza: che Di Matteo – assieme ai colleghi Del Bene, Teresi e Tartaglia, con la strada segnata da un altro grande magistrato come Antonio Ingroia – ha istruito un processo memorabile per aver messo alla sbarra alcuni esponenti delle istituzioni come Marcello Dell’Utri e Mario Mori, ritenuti colpevoli, in primo grado, di avere intessuto una serie di trattative con i boss di Cosa nostra per far cessare i delitti politici (vedi Salvo Lima e i cugini Salvo) e le stragi del ’92-’93.

Nella relazione della Commissione regionale antimafia non c’è un solo riferimento a questa circostanza, che con via D’Amelio ha collegamenti precisi. Nella relazione, Di Matteo è trattato alla stregua di chi davvero – per dirla con lui – “dovrebbe vergognarsi” per i depistaggi. E questo – sai benissimo – può essere strumentalizzato da chi ha interesse a screditarlo. Un errore. Malgrado la lucidità dell’impianto che spiega efficacemente il resto della vicenda. Malgrado la tua esperienza e la tua integrità morale. Un errore commesso in buona fede, che però insegna moltissimo anche a chi ha fatto delle cose bellissime come te. Un caro saluto.

Luciano Mirone