“Bisogna dare atto alla magistratura di avere ascoltato scrupolosamente i testimoni, e per giunta più volte. Ma bisogna pure dire che i giudici non andarono mai oltre, malgrado le evidenti contraddizioni. Formalmente fecero il loro dovere, sostanzialmente si accontentarono dell’apparenza. E chiusero il caso”. Questa la chiave di lettura offerta dall’avvocato Gianni Nicotra, su cui Pirandello – amico fraterno di Nino Martoglio – avrebbe potuto scriverci un’opera teatrale: l’apparenza che trionfa sulla verità e alla fine la schiaccia e la consegna ai posteri. 

Un ritratto di Nino Martoglio. Sopra: un’opera di Bruno Caruso

Perché un fatto – a prescindere da questo incredibile gioco delle parti – è certo: secondo la magistratura, il grande commediografo belpassese morì per un incidente casuale, come fu sancito in quello scampolo di 1921, quando il fascismo era agli albori e il blocco conservatore catanese – contrapposto a quello del socialista Martoglio – stava per saltare sul carro del vincitore.

L’avvocato Gianni Nicotra, assieme al regista teatrale Elio Gimbo, è l’autore dello scoop sul caso Martoglio, nel senso che entrambi hanno riesumato le carte sulla morte dell’artista, consegnandole a chi – anche dopo un secolo – è interessato a conoscere la verità.

Avvocato, lei è più propenso a parlare di assassinio o di “decesso accidentale di un artista distratto”, come disse la magistratura?

“Da studioso del diritto preferisco far parlare le carte”.

E cosa dicono le carte?

“Che sicuramente c’è stata una indagine frettolosa”.

Un po’ riduttivo per una storia così piena di buchi neri.

“E allora il termine ‘frettoloso’ mettiamolo fra virgolette”.

Anche se è passato un secolo, preferisce avere un approccio prudente con questo caso?

“Sin da subito questa vicenda è stata condizionata dalla tesi della caduta accidentale. Tutto ciò che ne è conseguito è stato deformato, sia da parte degli inquirenti, sia da parte dei testimoni, sia addirittura da parte della stessa famiglia, nelle persone della moglie di Martoglio, Elvira Schiavazzi, e del fratello Ferdinando, i quali, sentiti dal Pm, hanno espressamente escluso qualsiasi tipo di fatto doloso, addirittura adducendo una certa difficoltà visiva del commediografo, quasi a giustificare l’accidentalità dei fatti”.

L’ha colpita questo particolare?

“Beh, anche questo salta agli occhi. Potevano non adombrare un fatto doloso, dato che non avevano elementi per affermarlo, ma escluderlo categoricamente mi è sembrato singolare. Forse vollero puntare tutto sulla causa civile”.

E la stampa catanese?

“Cercò di soffocare l’evento, offesa e colpita nell’orgoglio per il semplice sospetto che a Catania fosse maturato l’assassinio di un grande intellettuale. E parlò anch’essa di caduta accidentale”.

Restiamo ai fatti ricostruiti dagli inquirenti del tempo. La sera del 15 settembre 1921, Martoglio saluta la moglie e il figlio che si trovano all’ospedale Vittorio Emanuele di Catania, e invece di guadagnare l’uscita attraverso il corridoio illuminato, entra in una prima, in una seconda e in una terza stanza al buio, per cadere infine nella tromba dell’ascensore attraverso una “strana” porta.

“Martoglio, secondo il giudice civile, ‘si inoltrò per una gita per insolita strada’, alla quale si accedeva  aprendo tre porte. La terza, quella fatale, immetteva nella tromba dell’ascensore di quel piano rialzato”.

Che caratteristiche aveva quest’ultima porta?

“Dagli atti apparve forzata, benché fosse chiusa a chiave, ma neanche questo particolare venne utilizzato dai magistrati per fare pienamente luce sul caso. L’Autorità giudiziaria giustificò questa ‘gita’ con la preoccupazione che il Martoglio nutriva nei confronti della famiglia, che doveva rimanere sola per l’intera notte in un’ala in ristrutturazione dell’ospedale. Per questo la richiesta risarcitoria della famiglia Martoglio presentata in sede civile, viene respinta sia in primo che in secondo grado”.

L’avvocato Gianni Nicotra

Altra stranezza: l’esame approssimativo del cadavere e la mancata autopsia. Cosa prevedeva il Codice di procedura penale del tempo?

“Il Codice, denominato ‘Finocchiaro Aprile’, del 1913, vigente all’epoca della morte di Martoglio, ci dice che ‘normalmente’ i periti nominati dall’Autorità giudiziaria per eseguire un’autopsia dovevano essere due. Nel caso di Martoglio, invece, il perito fu uno solo: il dottor Riccioli. Che non fu nominato (badiamo bene) per l’esame autoptico, ma ‘solo’ per l’esame esterno del cadavere. Fu lo stesso Riccioli a dichiarare il 17 settembre 1921, nero su bianco, che non era necessario procedere ad autopsia per l’evidente morte accidentale del commediografo”.

Perché fu nominato un solo perito?

“Il Codice lo prevedeva in casi di particolare ‘semplicità’. Questo rientrava, evidentemente, nel contesto della frettolosità di chiudere il discorso, che, ripeto, fin dall’inizio, fu condizionato dalla tesi di ‘sicura’ accidentalità del decesso”.

Cosa l’ha colpita?

“Innanzitutto la condizione dell’unica ferita che il dott. Riccioli dichiara che è presente nella fronte del Martoglio. Una ferita che, secondo quanto asserisce oggi il prof. Cristoforo Pomara, docente di Medicina legale all’Università di Catania, che si sta occupando scientificamente del caso, è compatibile con un corpo contundente, non con una caduta da un’altezza di tre metri e mezzo, che avrebbe dovuto produrre fratture, ecchimosi e tanto altro, che però il Riccioli nel suo referto ha escluso”.

Dunque se si parla di corpo contundente bisogna prendere in seria considerazione la tesi dell’omicidio.

“La tesi è assolutamente plausibile”.

E il movente?

“Sul possibile movente sono state formulate varie ipotesi: dalla rapina (dato che Martoglio aveva appena prelevato dalla banca una buona somma di danaro; ma i soldi sono stati ritrovati tutti nel portafoglio della vittima e consegnati alla famiglia) alla politica; dalle donne a una vendetta maturata nel settore delle case cinematografiche (di cui Martoglio faceva parte). Onestamente non ci sono degli elementi che possano privilegiarne una al posto di un’altra”.

Continuiamo a stare ai fatti. La mattina del 16 settembre 1921 il direttore dell’ospedale, il cav. Gaetano Salemi, facendo un’ispezione all’interno della struttura, si accorge che nella tromba dell’ascensore c’è il cadavere di un uomo che lui scambia per tale Caminiti, un ex cocchiere gravemente malato di sifilide ricoverato da tre anni, e affetto, secondo quanto scrive Salemi, da manie di suicidio. In realtà il cadavere è quello di Martoglio, ma il direttore sanitario, pur conoscendo l’abbigliamento del commediografo (paglietta, doppiopetto, bastone, scarpe di cuoio stile bulgaro) per essersi intrattenuto con lui fino alla sera precedente, dice di scambiarlo per questo lungodegente che indossa comunemente il pigiama, senza verificare se il “suicida” si trovi nel suo reparto o comunque in ospedale. Intanto le ore passano e un cadavere eccellente come quello di Martoglio resta ufficialmente incustodito in quel vano di ascensore.

Angelo Musco. Con Giovanni Grasso è il più grande interprete del teatro siciliano ai tempi di Martoglio

“Salemi dice di avere inviato, nel corso di quelle ore, un falegname (tale Isaia), un infermiere (tale Sammartano) e un medico (tale Dulzetto). Il falegname Isaia viene utilizzato per schiodare la struttura in legno che chiude il secondo ingresso del vano ascensore (quello ubicato a pian terreno, diverso da quello da cui cadde Martoglio, ubicato al piano rialzato); l’infermiere Sammartano e il medico Dulzetto per constatare le condizioni del cadavere, giudicato ‘rigido’ dallo stesso Dulzetto”.

“Rigido”, secondo la medicina legale vuol dire che è morto da due-tre ore: dunque Martoglio potrebbe avere agonizzato per l’intera nottata e per diverse ore della mattina del 16 settembre.

“Certamente”.

Ma il medico Dulzetto – chiamato per constatare il decesso del signore trovato nella tromba dell’ascensore – fu mai sentito dai magistrati?

“Non solo non fu mai sentito, ma non furono sentiti neanche l’infermiere Sammartano e il falegname Isaia”.

Strano. Magari qualcuno dei tre avrebbe potuto individuare la vera identità del cadavere, soprattutto il medico e l’infermiere che conoscevano l’ex cocchiere, ricoverato al “Vittorio” da tre anni. E chissà il falegname in che condizioni trovò la porta a pian terreno. Strano davvero.

“Sono le stesse domande che mi sono posto quando, assieme ad Elio, ho scoperto le carte. Tra l’altro, per giustificare la posizione assunta dal Martoglio sul fondo del pavimento, il Pm sostenne che si sarebbe girato durante l’agonia, mentre nell’archiviazione l’altro magistrato dà per scontato che sia morto immediatamente. Quindi anche negli stessi organi inquirenti esistono delle discrepanze significative”.

Tutto perfettamente apparente. E tutti perfettamente impegnati a recitare la propria parte. Un classico, specie in Sicilia, quando ci si trova al cospetto di un cadavere eccellente.

Luciano Mirone

6^ puntata. Continua