Due piste. Quella fascista (a Catania nel 1921 la destra estrema era particolarmente violenta), e quella delle Case cinematografiche che nel capoluogo etneo si facevano una concorrenza spietata, da “capitalismo selvaggio”, sia per i diritti d’autore, che per le produzioni.
Due piste. Che Giuseppe Barone, professore di Storia all’Università di Catania, indica per spiegare perché, secondo lui, è morto Nino Martoglio: “Idee personali” (tiene a precisare), che poggiano comunque su basi storiche.

Ritratto di Nino Martoglio. Sopra Si celebra a Catania la Marcia su Roma (foto Francesco Consoli. Proprietà Ignazio Marcoccio)
Per completare il mosaico, seguita il professore, la ricerca andrebbe allargata a Roma presso l’Archivio centrale dello Stato: “Mi riferisco alle inchieste che furono fatte all’epoca dalla polizia e dai carabinieri: bisogna cercare tanti altri documenti depositati al ministero dell’Interno”.
Ma su un fatto Barone sembra convinto: quella di Martoglio non è stata una morte accidentale, come ha sostenuto la verità ufficiale: “Ho ascoltato le indicazioni date dal collega di Medicina legale (il professore Cristoforo Pomara, docente dell’Università di Catania, ndr.) e mi sembrano molto convincenti. Ho letto la sentenza istruttoria che sostanzialmente liquida, direi molto superficialmente, la vicenda come incidente”.
Un particolare, quest’ultimo, molto importante perché sottende che la “superficialità” dell’inchiesta potrebbe essere solo apparente. In realtà dietro a quel decesso “accidentale” potrebbero nascondersi delle “coperture” finalizzate a nascondere le contraddizioni, le omissioni e le circostanze inquietanti che hanno caratterizzato il caso Martoglio. In poche parole, l’eventuale movente.
Professore Barone, andiamo con ordine. Perché pensa che il fascismo possa essere coinvolto in questa vicenda?
“Martoglio era legato a un grande personaggio della democrazia italiana, oltre che siciliana, Giuseppe De Felice, grande sindaco di Catania per quasi vent’anni (dal 1902 fino alla sua morte, avvenuta nel 1920), ma anche deputato nazionale e presidente della Provincia”.
Perché De Felice è considerato una grande personalità?
“E’ una figura importantissima nella costruzione di un blocco sociale progressista sia a Catania che in Sicilia, un blocco sociale nel quale il popolo e la borghesia si fondono nell’interesse del riscatto economico dell’Isola. Il D’Artagnan, fondato e diretto da Martoglio, è stato un giornale anche di battaglia politica: non mi pare che sia stato studiato, malgrado i dieci anni di vita (fino al 1904). Eppure è stato un grande cavallo di battaglia del socialismo riformista e della democrazia progressista catanese: è stato studiato più per le macchiette e per i dialoghi macchiettistici che come giornale politico. Invece lancia un messaggio socialmente importante”.

Giuseppe Barone, docente di Storia all’Università di Catania
Perché il D’Artagnan merita uno studio adeguato?
“Perché contiene una grande battaglia politica. Fu talmente importante che tra il 1919 e il 1920, dunque poco prima della morte di Martoglio, quest’ultimo ricevette la proposta di ripubblicare la testata. Da quello che sappiamo il commediografo ci pensò un po’, ma poi rifiutò. Sono gli anni (non dimentichiamolo) in cui Catania, come tutto il paese, conosce momenti di grande violenza politica. Siamo nel primo dopoguerra: scioperi, lotta di classe tra l’estrema sinistra e l’estrema destra che si affaccia all’orizzonte: e certamente le simpatie filo democratiche e filo socialiste di Martoglio non piacciono al movimento fascista catanese”.
E il teatro?
“L’operazione culturale finora fatta su Martoglio (specie in ambito teatrale) riguarda un tipo di teatro popolare-farsesco che nuoce al personaggio. Martoglio è stato un uomo con una vision e con una mission culturale di grande caratura: quella di legare l’alta società, i ceti colti e i ceti aristocratico-borghesi della sua Catania e della sua Sicilia col mondo popolare. È stato un intellettuale che ha cercato di trasmettere un’immagine dell’Isola molto diversa dallo stereotipo mafioso che imperava in quel momento. L’idea di una Sicilia diversa, lavoratrice, solare e allo stesso tempo seria e solidale, che sa esprimere alti livelli di comunità, rappresenta una rivoluzione politica e culturale rispetto al passato”.
Com’era il fascismo a Catania, seppure ancora agli albori?
“C’era un manipolo di fascisti della prima ora che attuarono interventi ed iniziative squadristiche. E naturalmente c’era un fascismo più soft guidato abilmente dal prefetto Flores”.

Gabriello Carnazza
Dal prefetto?
“Il fascismo entra nel Mezzogiorno soprattutto attraverso la mediazione dei prefetti. A Catania trova un punto di riferimento in Gabriello Carnazza, esponente del Partito liberale, diventato fiancheggiatore del fascismo subito dopo la Marcia su Roma (ottobre 1922), quando diventa ministro dei Lavori pubblici. Carnazza vuole ‘costituzionalizzare’ il fascismo, vuole cioè addomesticarne le punte eversive. Non dimentichiamo che il 31 ottobre del ’22 il Comune di Catania viene occupato con la forza; che nel ’20, nel ’21 e nel ’22 ci sono conflitti sanguinosi a Catania, in provincia e nel siracusano: quindi c’è un fascismo eversivo. Non solo il fascismo, ma il nazionalismo, il partito agrario, insomma una destra molto dura in area catanese, che guardava come il fumo negli occhi l’attività social riformista e di sinistra di Martoglio. Bisogna studiare i giornali che a quel tempo venivano stampati a Catania per capire meglio”.
Quali erano i giornali che allora imperavano ai piedi dell’Etna?
“Il Giornale dell’Isola, diretto da Carlo Carnazza, fratello di Gabriello: la testata di questa grande famiglia catanese di avvocati, di studiosi e di commercialisti”.
Insomma, i “poteri forti” della città di inizio Novecento.
“Non c’è dubbio. Carlo Carnazza diventerà sindaco negli anni successivi. Gabriello, già deputato, diventa ministro con Mussolini”.

L’ex sindaco di Catania, Giuseppe de Felice
E l’altro quotidiano?
“Il Corriere di Catania era defeliciano, ma De Felice nel ’20 era morto: quando scomparve Martoglio era privo del suo grande padre spirituale”.
E le Case cinematografiche catanesi com’erano? Finora si è parlato di “splendida stagione del film muto” ai piedi dell’Etna.
“Era un mondo complesso e difficile. Martoglio si impegnò moltissimo in quel campo, dirigendo una delle società cinematografiche sorte a Catania. C’erano continue battaglie legali per i diritti d’autore e per i diritti legati alla produzione filmografica. Molte di queste società erano ferocemente schierate una contro l’altra. Ho l’impressione che l’eventuale ipotesi di una morte violenta possa essere legata a questo mondo. Tra le due guerre il cinema italiano si sarebbe riorganizzato, ma nei primi del Novecento, fino al primo dopoguerra, Catania è un grosso centro cinematografico creativo sì, ma molto rissoso e litigioso: bisognerebbe scavare in quella direzione, dove in quel sottobosco si muoveva molta conflittualità. Ma questa è una mia ipotesi, che vorrei approfondire nei prossimi mesi”.
Martoglio è un intellettuale da riscoprire?
“Assolutamente sì. Sia per la fine che ha fatto, sia per la dimensione politico-sociale che rivestiva a livello nazionale”.
Luciano Mirone
7^ puntata. Continua
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