Conosce tanti retroscena della Trattativa Stato-mafia. Li ha vissuti direttamente come investigatore. Col ruolo di ispettore e di commissario della Polizia di Stato. Prima nella Criminalpol della Squadra mobile di Catania (Antiterrorismo), poi nella Direzione investigativa antimafia (Dia), nel cuore delle indagini su Cosa nostra e sulla Trattativa seguita alle stragi di Capaci e di via D’Amelio. Si chiama Mario Ravidà e dice: “Dopo trentacinque anni ho preferito andarmene per quello che ho visto e per quello che ho vissuto”. In questa intervista spiega perché.

L’ex Commissario della Polizia di Stato, Mario Ravidà (foto Antonio Condorelli LiveSicilia)

“La storia è lunga. Tutto parte dal maxiprocesso istruito da Falcone dopo le dichiarazioni di Buscetta, con condanne esemplari in primo e in secondo grado. In terzo grado la mafia tenta di inficiare il verdetto della Cassazione con l’omicidio del giudice Scopelliti (un omicidio passato in secondo piano, però secondo me quest’uomo è un eroe dell’antimafia). Per quelle condanne, Cosa nostra si sente tradita e improvvisamente saltano gli accordi fra i boss e la politica. Riina decide si sferrare un attacco senza precedenti allo Stato. Prima con i delitti politici di Salvo Lima e di uno dei cugini Salvo di Salemi (entrambi legati alla mafia), poi con le stragi. Lo Stato cerca un accordo. Il primo, come dice Massimo Ciancimino, viene stipulato fra l’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino (padre di Massimo) e Totò Riina, attraverso la consegna del famoso papello, nel quale si fanno delle richieste che non possono essere rispettate per intero. Alcune di queste, tuttavia, vengono accettate, a cominciare dall’abolizione del 41 bis (il carcere duro, ndr.)per più di trecento mafiosi. Oltre non si può andare. Riina non accetta e qualcuno (individuati dai magistrati negli ufficiali del Ros, Mori, Subbranni e Obinu) cerca un’altra via tramite un accordo con Provenzano, ma forse (forse…) anche con Matteo Messina Denaro. A un certo punto spunta il colonnello dei carabinieri Michele Riccio, che ha un confidente straordinario: Luigi Ilardo”.

Il Colonnello dei carabinieri Michele Riccio (oggi Generale)

Chi è il colonnello Michele Riccio?

“Il comandante della Direzione investigativa antimafia di Genova. Nell’ambito dell’antiterrorismo e dell’antidroga aveva maturato una grossa esperienza anche con la mitica quadra del Generale Dalla Chiesa”.

E chi è Luigi Ilardo?

“Un mafioso di grande spessore, il capo della Famiglia mafiosa di Caltanissetta, colui che aveva preso le redini della Famiglia Madonia, con cui Ilardo era imparentato. Riccio lo intercetta per un traffico di stupefacenti e Ilardo, dopo essersi fatto quindici anni di galera, non vuole rientrare in carcere. E si affida all’ufficiale: la sua compagna ha da poco partorito due gemelli e lui vuole cambiare vita”

E che succede?

“Riccio e Ilardo fanno un accordo, assieme a Gianni De Gennaro (a quel tempo responsabile nazionale della Dia). Ilardo non vive a Caltanissetta, ma a Catania, quindi Riccio si vede con Ilardo nel capoluogo etneo e chiede l’ausilio di personale della Dia di Catania per condurre le sue indagini. Conosco tutti questi particolari direttamente, poiché allora ero alla Dia di Catania”.

Lei dunque ha conosciuto il colonnello Riccio?

“Certo, ci ho lavorato. Io e altri due colleghi gli davamo gli appoggi logistici necessari, lo accompagnavamo, assieme a lui facevamo i sopralluoghi per catturare i latitanti. Ilardo dava notizie incredibili a Riccio, Riccio veniva in ufficio, ci diceva qual era l’appartamento dove si nascondevano latitanti come Aiello, Fragapane, Lucio Tusa ed altri, e noi li catturavamo. Contemporaneamente Ilardo ci dice che il reggente di quel momento a Catania è tale Aurelio Quattroluni (riferimento del clan Santapaola), arrestato fra il 1994 e il 1995, quando, con l’operazione ‘Chiaraluni’, con una cinquantina di arresti, abbiamo quasi azzerato Cosa nostra catanese”.

Luigi Ilardo

Perché Ilardo è importante?

“Perché ci avrebbe portato a catturare Provenzano. Ilardo era in contatto con Provenzano attraverso i pizzini: il boss corleonese gli chiedeva delle cose e Ilardo, come rappresentante provinciale di Caltanissetta, le faceva. L’opportunità di incontrare Provenzano non era facile, si doveva costruire, ed era quello che si stava facendo, mentre a Catania, grazie al colonnello Riccio (su confidenze di Ilardo) catturavamo dei latitanti importanti della mafia etnea”.

Quindi che succede?

“Ilardo incontrò Provenzano a Mezzojuso, in provincia di Palermo e riferì questa circostanza a Riccio”.

Cosa gli riferì precisamente?

“Che doveva esserci un summit, sempre a Mezzojuso, di tutto il gotha di Cosa nostra, al quale avrebbe partecipato Provenzano”.

A quel punto che fa Riccio?

“Informa immediatamente il generale Mario Mori, il quale gli dice di rivolgersi a due ufficiali dei carabinieri di Caltanissetta e di coordinarsi con loro per le eventuali operazioni. Riccio arriva a Caltanissetta, incontra questi due ufficiali, ma questi dicono di non sapere niente dell’operazione. Riccio chiede mezzi, uomini, supporti di elicotteri. Stiamo parlando di una cosa importantissima, che avrebbe portato alla sconfitta Cosa nostra”.

E quindi che succede?

“A Riccio non viene dato alcun supporto. Alla fine l’ufficiale chiede un semplice Gps da piazzare nella macchina o in una cintura di Ilardo, in modo da individuare il luogo del summit (dato che la riunione si sarebbe svolta in aperta campagna), scendere con gli elicotteri, circondare la zona ed arrestare tutti. Di questo, non viene fatto niente, perché non arrivano ordini. Mori dispone di fare delle foto e basta. Questa cosa sconvolge Riccio”.

E cosa dimostra?

“E’ l’ulteriore conferma che Provenzano non si è voluto prendere. E siamo fra il 1995 e il 1996”.

Dopodiché?

“Di colpo la Dia rompe con Riccio senza un motivo plausibile. Questa cosa ci sconvolge. Malgrado questo, continuiamo a mantenere i contatti con l’ufficiale dei carabinieri: con lui, oltre ai rapporti di lavoro, era rimasta un’amicizia consolidata”.

Che tipo è il colonnello Riccio?

“Uno che crede fermamente nello Stato e nel lavoro, una persona leale, onesta, pulita, insomma un ufficiale tutto d’un pezzo”.

Com’è che la Dia rompe con Riccio?

“Un giorno Tuccio Pappalardo, alto dirigente della Dia (che conoscevo perché precedentemente era stato mio dirigente alla Criminalpol di Catania), ci chiude in una stanza e ci dice: ‘Dovete rompere  con Riccio. È un criminale, merita di essere arrestato: quando era all’antiterrorismo ha ucciso quattro terroristi nel sonno’. Noi lo contrastiamo: Riccio ci ha fatto fare un sacco di brillanti operazioni, ci ha fatto arrestare Quattroluni e diversi mafiosi, era arrivato alla cattura di Provenzano e non gli è stato consentito. Quando sente questa cosa, Pappalardo si irrigidisce e dice: ‘Questo Mori non me l’ha detto”.

Dunque, secondo questa testimonianza, da un lato Mori è al corrente della localizzazione di Provenzano, dall’altro non informa i vertici della Dia – che però rompono con Riccio – con cui sta collaborando per la cattura dei latitanti.

“Esattamente, ma dopo succede anche di peggio”.

Luciano Mirone

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