Chiedono la riesumazione del cadavere di Nino Martoglio. Vogliono sapere se il grande commediografo (nato a Belpasso il 3 dicembre 1870, e deceduto, a soli 51 anni, in circostanze misteriose) quel 15 settembre 1921 morì davvero per una causa accidentale – come allora sostenne l’Autorità giudiziaria – cadendo in un pozzo luce (o in una tromba dell’ascensore: anche in questo caso gli atti giudiziari sono contraddittori) dell’ospedale Vittorio Emanuele di Catania, oppure se fu ucciso con un colpo alla testa e successivamente buttato in quella fossa di cemento alta tre metri e mezzo per simulare la casualità del decesso. Diciamo che il sospetto c’è sempre stato, ma adesso, con le carte in mano, molte ricostruzioni giudiziarie possono essere clamorosamente smentite e ribaltate, in quanto possono essere state viziate dal depistaggio. Non sono parole campate in aria. Basta leggere gli atti giudiziari per comprendere che tante cose, in questa vicenda, non quadrano: dall’incredibile scambio di identità del cadavere, all’orario del decesso, dal “segreto” della morte tenuto per ben due giorni nei confronti della moglie di Martoglio, Elvira Schiavazzi, all’atteggiamento omissivo della stampa catanese, che sembra lo stesso che caratterizzò la morte di un altro grande intellettuale catanese: Giuseppe Fava.
Troppo famoso Martoglio (oltre ad essere commediografo, era poeta, giornalista, scrittore, uomo politico, regista e produttore cinematografico), troppo celebre, allora, come Verga, come Capuana, come Pirandello, per fare una fine così banale. Troppo amato, ma anche troppo odiato. Sia per i successi, ma anche (e forse soprattutto) per “quelle idee sovversive” (Nino era un socialista defeliciano, in gioventù iscritto al circolo Carlo Marx) così mal tollerate agli albori del fascismo, specie in una città come Catania, dove lo squadrismo di destra, già allora, era molto più evoluto di quello che in Emilia Romagna darà origine al ventennio mussoliniano.
Dopo quasi cento anni, il Caso Martoglio viene riaperto attraverso una verità storica – per quella giudiziaria vedremo – che ci viene consegnata dal regista teatrale Elio Gimbo, che recentemente, assieme all’avvocato Gianni Nicotra (entrambi fanno parte del Centro teatrale Fabbricateatro di Catania), ha disseppellito dalla polvere centinaia di vecchie carte depositate all’Archivio di Stato, e con pazienza le ha riordinate, interpretate (gli atti dell’epoca venivano quasi tutti compilati a mano) e studiate, avvalendosi di consulenti d’eccezione come docenti di Medicina legale e di Lettere, magistrati, uomini di teatro e tanto altro.
Tutti, all’unisono – compreso il professore di Medicina legale Cristoforo Pomara, colui che ha contribuito di recente a riaprire il caso Cucchi – chiedono il disseppellimento della salma per eseguire un’autopsia che all’epoca fu sconsigliata da un medico dell’ospedale Vittorio Emanuele (non un esperto di medicina legale, ma un semplice chirurgo) che eseguì un esame esterno sul cadavere, frettoloso e superficiale, contribuendo ad “insabbiare il caso”, come sostiene in questa inchiesta lo stesso Gimbo.
E se sui “buchi neri” dell’indagine diciamo che esistono parecchi punti convergenti, sul movente, sugli esecutori e sui mandanti di un eventuale delitto non possiamo andare oltre il “contesto” del tempo. Almeno per ora.

Il regista catanese Elio Gimbo. Sopra: un ritratto di Nino Martoglio
Gimbo, come muore Nino Martoglio?
“Già da quattordici anni – dice il regista catanese – seguendo il vento del successo, il commediografo si era trasferito a Roma: le sue opere riscuotono successo in tutti i teatri d’Italia; i “suoi” attori (Giovanni Grasso e Angelo Musco in testa) si affermano in tutto il mondo. Col cinema è stato uno splendido precursore fondando persino una Casa di produzione. Insomma un grande. Basti pensare ad uno dei suoi capolavori, Sperduti nel buio, al quale, molti anni dopo, De Sica, Rossellini e Visconti si ispireranno per creare la nuova corrente del neorealismo. Nella capitale, Nino sposa la cagliaritana Elvira Schiavazzi, ed ha quattro figli. Quell’estate del 1921, all’apice del successo, assieme alla famiglia, trascorre le vacanze a Giardini Naxos, vicino Taormina. Verso agosto, Marco, il figlioletto di otto anni, si ammala di paratifo, a quel tempo non curabile a casa mediante antibiotici. È un grosso problema. A Catania non c’è un reparto pediatrico, Roma è troppo lontana per un ricovero. Qualcuno consiglia l’ospedale Vittorio Emanuele del capoluogo etneo, dove stanno ristrutturando un vecchio edificio che più tardi sarà adibito a reparto pediatrico. Martoglio, a Catania, aveva lasciato amici, estimatori, ma anche molti nemici”.
Avversari politici?
“Sì, tanti. Col D’Artagnan, il giornale satirico che ha fondato a soli diciotto anni, quando vive a Catania, prende in giro la classe conservatrice della città. Vive intensamente la vita del partito socialista e la vita dei Fasci siciliani che lottano in difesa dei lavoratori, frequenta i grandi socialisti dell’epoca come Giuseppe De Felice e Gigi Macchi, dal 1902 al 1904 è Consigliere comunale. Piazza Università è il regno dei conservatori, piazza Duomo dei socialisti defeliciani. Nel mezzo c’è lui, Nino Martoglio, che per ragioni politiche (soprattutto) o sentimentali (è un tombeur de femmes) fa i duelli in piazza Ogninella (oltre ventuno in vita sua, quasi tutti vinti) e poi passa sotto il palazzo del marchese Di Sangiuliano, ministro del Regno d’Italia, pulendosi la spada. Un personaggio pazzesco”.
Quel 15 settembre 1921 cosa accade?
“Alle 8 Martoglio di mattina parte da Giardini e alle 9,30 arriva a Catania: deve recarsi al Vittorio Emanuele per parlare col direttore sanitario, il cavaliere Gaetano Salemi, al fine di preparare il ricovero di Marco. Due le persone che comandano in quell’ospedale: il direttore sanitario e, un gradino più sopra, il presidente Pasquale Libertini, aristocratico di Caltagirone, ex parlamentare conservatore per tre legislature, in quel momento anche presidente della Banca agricola commerciale di Catania. Un personaggio che fra il ’20 e il ’21 colleziona due indagini giudiziarie: una per bancarotta fraudolenta e falso in bilancio (come presidente della banca), un’altra per appropriazione indebita come presidente del Vittorio Emanuele. Sarà Mussolini, dopo che Libertini si riciclerà nel nuovo regime, a salvarlo con un’amnistia ad personam”.
Quindi che succede quella mattina?
“Salemi lo accoglie con tutti gli onori che si devono a una star. Gli fa visitare i reparti a pagamento (poiché Martoglio intende pagare), ma non c’è un posto adatto alla malattia del piccolo Marco (che per quel tipo di patologia trasmissibile per via oro-fecale ha bisogno di un bagno privato, con acqua corrente, e della presenza della madre giorno e notte). Dato che non c’è posto e si rende urgente il ricovero, si prende in considerazione di sistemare Marco nel reparto pediatrico ancora in fase di ristrutturazione (si chiama padiglione ‘Costanza Gravina’, è un ex sanatorio, adattato ad ospedale militare durante la I Guerra mondiale), inaugurato da Vittorio Emanuele un anno dopo. In quella struttura esiste un appartamentino senza porte, né finestre, né vetri, né mobili e con un impianto elettrico ancora approssimativo. Però c’è un bagno funzionante e con l’acqua corrente, che per un malato di paratifo è fondamentale. La soluzione col direttore sanitario viene trovata, soprattutto se si pensa che Martoglio si addossa le spese per l’acquisto dei mobili, delle finestre e per l’ultimazione dell’impianto elettrico. In cambio l’ospedale deve ricoverare urgentemente suo figlio e dare ospitalità alla moglie, con l’assistenza di una infermiera. Ma c’è un ‘ma’. Martoglio deve passare dal presidente Libertini, cui spetta l’ultima parola”.
E quindi?
“Fra Martoglio e Libertini, quella mattina, c’è uno scazzo dovuto a motivi che non sappiamo: unico testimone è il direttore sanitario, che in questa storia ha un ruolo fondamentale. Non sappiamo se minimizza o se omette dei particolari importanti. Fatto sta che, a quanto pare, volano parole grosse. Martoglio – al culmine della tensione per quel figlio che rischia la vita – a un certo punto manda a quel paese Libertini: ‘Con gente come te a Catania si può solamente morire’. Libertini ricambia. Alla fine l’appartamentino viene concesso”. La tragedia si consumerà nelle ore successive. E il depistaggio pure.
Luciano Mirone
1^ puntata. Continua
dato il periodo a cui si riferiscgno i fatti, il sistema mafiooso all’epoca doveva molto attivo poi il fascismo con una amnistia ad personam ad insabbiare tutto.come mai non e’ stata accolta la richiesta di eseguire l’autopsia. Chissa’ se a distanza di tanti anni si possa ristabilire una verita’.