Un depistaggio servito in quattordici mosse, ordito all’interno dell’ospedale Vittorio Emanuele di Catania e rimbalzato nei Palazzi dove, quasi cento anni fa, si indagò sulla morte del grande commediografo siciliano Nino Martoglio. Questa la tesi del regista teatrale Elio Gimbo e dell’avvocato Gianni Nicotra, che dopo un secolo hanno dissotterrato dalla sabbia gli atti di questa incredibile indagine, rimettendo in discussione la versione ufficiale. Ma vediamo quali sono le mosse del clamoroso depistaggio.

PRIMA MOSSA.

La sera del 15 settembre 1921, come scritto nelle puntate precedenti, Martoglio accompagna il figlio Marco (che sarà assistito per tutta la notte dalla mamma) all’ospedale catanese per un ricovero. A un certo punto sparisce. L’infermiere Calì – su sollecitazione del direttore sanitario – bussa alla porta dell’appartamentino approntato per l’occasione in un’ala in ristrutturazione e chiede che fine ha fatto il commediografo, dato che lo stanno attendendo per accompagnarlo alla stazione. Apprende che Martoglio è andato via da un’ora: invece di cercarlo, l’infermiere e il direttore sanitario dicono di essere andati a dormire. “L’infermiere Calì bussa alla moglie di Martoglio per sondare se la signora ha sgamato o sentito qualcosa”, dice Elio Gimbo.

SECONDA MOSSA. “La mattina dopo, il direttore sanitario fa un giro nel padiglione in ristrutturazione che ospita Marco Martoglio. Vuole controllare le condizioni del figlio del commediografo, otto anni, malato di paratifo, e chiedere alla mamma, la signora Elvira Schiavazzi, come è andata la nottata. Almeno così dice. Mentre effettua il sopralluogo, Salemi vede un cadavere sul fondo del pozzo luce ubicato a una ventina di metri dall’appartamentino occupato da Marco e dalla mamma”. Prima di svelarne il nome, vediamo cosa è successo nelle ore precedenti.

Belpasso (Catania). La casa dove il 3 dicembre 1921 nasce Nino Martoglio

La mattina del 15 settembre, Nino Martoglio – socialista da antica data, e autore, in gioventù, di oltre duecento duelli per motivi soprattutto politici – si era recato in quel nosocomio per pianificare il ricovero del figlio. Una mattinata convulsa, nel corso della quale l’autore de L’Aria del Continente si divide fra l’ufficio del direttore sanitario Salemi – un nome da ricordare per l’importanza che riveste in questa vicenda – e del presidente della struttura sanitaria, Pasquale Libertini, conservatore, già deputato per tre legislature, in quel momento nell’occhio del ciclone per una serie di gravi scandali di cui è protagonista, sia come presidente dello stesso ospedale, sia come presidente di una banca catanese nella quale sono stati truffati migliaia di risparmiatori. Fra Martoglio – al culmine della tensione per il figlio che rischia la vita – e Libertini pare che volino parole grosse. Questo dichiara alle autorità competenti il direttore sanitario, il quale non riferisce né il motivo, né il livello di quello scontro, senza che qualcuno degli inquirenti senta l’esigenza di chiedergliene conto.

L’ospedale Vittorio Emanuele di allora – secondo la recente ricostruzione fatta dal regista teatrale Elio Gimbo e dall’avvocato Gianni Nicotra, con la consulenza di autorevoli studiosi dell’Università di Catania – è un ricettacolo di molti ex galeotti, impiegati come infermieri, reduci dalla Prima guerra mondiale.

Martoglio, quella sera, fra le 20,30 e le 21, accompagna il figlio e la moglie nella struttura sanitaria approntata per loro, che versa in stato precario per delle ristrutturazioni. Il commediografo saluta la moglie e il figlio e percorre alcuni metri di corridoio, che ufficialmente, quella sera, è illuminato.

Comunque… Dopo che la mamma, il figlio e l’infermiera Rosa Mangialli si sistemano nell’appartamentino, Martoglio percorre alcuni metri e sparisce. Succede, più o meno, all’altezza di una porticina che si affaccia su un pozzo luce alto tre metri e mezzo. Una porticina che – secondo quanto emerge dalle carte – dovrebbe essere chiusa con un ferro. Delle tre l’una: o la porticina è aperta e Martoglio – malgrado la fretta di prendere il treno serale che lo deve ricondurre a Giardini Naxos – ci si va a ficcare per imperscrutabili motivi; o è chiusa col ferro e Martoglio la forza; oppure qualcuno lo aggredisce per ucciderlo, apre la porta e lo scarica nel pozzo di cemento per simulare un incidente.

Ma se l’ipotesi dell’omicidio è vera, perché l’agguato scatta dentro l’ospedale e non fuori? Verosimilmente – se di omicidio si tratta – c’è urgenza di agire: Martoglio – popolarissimo all’epoca – potrebbe essere diventato troppo pericoloso per qualcuno del “sistema”. E questo agli albori del fascismo non va bene.

Angelo Musco e Giovanni Grasso. i due più grandi attori della Compagnia siciliana diretta da Nino Martoglio. Secondo Lee Strasberg, fondatore dell’Actor’s Studio di New York, Grasso è stato l’attore tragico più grande del mondo

Adesso attenzione, perché il direttore sanitario Salemi entra in scena in maniera grandiosa per delle mosse che nel giro di poche ore fanno prendere alla vicenda la direzione della morte accidentale, con la totale esclusione di ipotesi alternative. 

TERZA MOSSA

“Il 16 settembre 1921 – spiega Gimbo – il cav. Salemi trasmette una prima segnalazione al Commissariato di polizia. La dichiarazione è la seguente: nel fondo di un pozzo luce abbiamo trovato un cadavere. Dalle carte non si capisce bene l’orario del ritrovamento. In alcune, Salemi parla delle 8 del mattino, in altre delle 12. La prima segnalazione inviata al Commissariato parla comunque di mezzogiorno”.

QUARTA MOSSA.

Qual è il nome del cadavere?

“Quello di un lungodegente, tale Caminiti Salvatore, ex cocchiere, ricoverato da tempo perché affetto da sifilide e da manie di suicidio”.

QUINTA MOSSA.

“Il Commissario di polizia prende atto del fatto e invita il direttore sanitario a rimuovere il cadavere e ad effettuare un esame esterno”.

Ma come ci sarebbe finito l’ex cocchiere in un padiglione frequentato, in quel momento, solo dalla famiglia Martoglio? E la mattina del 16 settembre, quando il cadavere è stato associato alla figura di Caminiti, è stata fatta una verifica elementare per constatare se costui si trova nel suo reparto o comunque in ospedale?

“No. È stranissimo che in tutte quelle ore nessuno si sia preoccupato di cercare un lungodegente come Caminiti”.

SESTA MOSSA.

“Alle 17 il direttore sanitario trasmette una seconda segnalazione al Commissario di polizia: ci siamo sbagliati, scrive. E aggiunge: nel pomeriggio il ragioniere dell’ospedale, mentre era in giro per le stanze, ha incontrato casualmente l’ex cocchiere e si è accorto che era ancora vivo. Solo quando successivamente abbiamo rimosso il cadavere, ci siamo accorti che non si trattava del cocchiere Caminiti Salvatore, ma dello scrittore Martoglio Antonino”.

Quindi solo alle 17 del 16 settembre – dopo circa venti ore dalla scomparsa di Martoglio – si scopre finalmente che il morto è proprio il commediografo.

“Esatto. Ma le assurdità non finiscono qui. Mediante i verbali, sappiamo come era vestito Martoglio quando è stato ritrovato morto. Esattamente come il giorno prima, quando ha trascorso quasi tutta la giornata col direttore sanitario. Il quale non poteva non riconoscere quel cadavere: doppio petto grigio chiaro, paglietta, bastone da passeggio e scarpine di cuoio uso bulgaro. Non esattamente l’abbigliamento di un poveraccio lungodegente affetto da sifilide e da manie di suicidio, che tutt’al più può indossare il  pigiama o un abbigliamento dimesso”.

SETTIMA MOSSA.

E il commissario che fa?

“Quando sa che il morto è Martoglio, comincia a dare segni di preoccupazione: e il cadavere?, chiede. Risposta della direzione sanitaria: lo abbiamo rimosso e abbiamo fatto l’esame esterno. Del resto, alcune ore prima, era stato lo stesso commissario ad aver disposto questo, pensando che si trattasse del cadavere di un poveraccio. Il corpo di Martoglio viene rimosso in totale assenza di un magistrato e di un Medico legale”.

OTTAVA MOSSA.

“L’esame esterno sul corpo del commediografo viene redatto per motivi di urgenza (un’urgenza supposta, ma non reale) da un chirurgo dell’ospedale e senza alcuna comunicazione al Pm”.

NONA MOSSA.

“Il medico che esegue l’esame esterno si chiama Giuseppe Riccioli, che scrive: ‘Il cadavere alla bozza frontale presenta una estesa contusione con ferita lacero contusa irregolare e con naturale ispessimento dell’osso frontale perché fratturato. Al dorso della mano destra, delle piccole tracce di abrasioni cutanee estese anche al dorso delle dita. Le stesse piccole tracce di abrasioni si notano al dorso della mano sinistra e del dorso delle dita rispettive”.

Che vuol dire?

“Da questi pochi elementi si desume che potrebbe esserci stata una colluttazione. Queste sono le uniche ferite che loro dicono di aver trovato. Non eseguono nient’altro. Bisogna sfatare il luogo comune che siccome il fatto è successo cento anni fa, una superficialità del genere fa parte del costume dell’epoca. Il disciplinare al quale sottendono le ispezioni cadaveriche e le autopsie, oggi come allora, sono regolamentate da una circolare del ministro della Giustizia del 1910, Cesare Fani. Questo disciplinare, all’epoca, non è stato assolutamente applicato ”.

Qual è la causa ufficiale della morte di Martoglio?

“Commozione cerebrale da violento trauma subito alla fronte per caduta dall’alto”.

DECIMA MOSSA.

“Riccioli scrive: ‘Essendo ben nota la causa della morte, non credo opportuno passare alla sezione del cadavere’. Dunque niente autopsia”. Perfetto.

UNDICESIMA MOSSA.

“In un altro passo della relazione dell’esame esterno si legge: ‘Giudico la morte del detto Martoglio Antonino essere avvenuta da circa diciotto ore”.

Quindi?

“Questo referto è stato redatto alle ore 11,30 del 17 settembre. Se l’indicazione delle diciotto ore è esatta, vuol dire che Martoglio è morto intorno alle 17,30 del 16 settembre”.

DODICESIMA MOSSA.

“Questo vuol dire che quando il suo corpo è stato visto nel pozzo luce dal direttore sanitario (che lo ha scambiato per l’ex cocchiere), doveva essere ancora vivo”.

TREDICESIMA MOSSA.

“Evidentemente lo guardano agonizzare per una intera giornata, lo sorvegliano e aspettano che muoia”.

QUATTORDICESIMA MOSSA.

La moglie viene informata?

“In quei due giorni, la signora Martoglio resta nell’appartamentino con il figlio Marco. Non ha notizie del marito e fa l’ira di Dio per averne, ma viene tenuta completamente all’oscuro di quello che è successo”.

Quando viene informata?

“Qualche ora prima del funerale”.

Perché?

“Evidentemente per evitare una contro-perizia sul cadavere”.

Una morte decisa a tavolino?

“Non c’è dubbio. Una morte che matura dentro l’ospedale”.

Luciano Mirone

3^ puntata. Continua