Innumerevoli volte, nel corso dei miei spettacoli, ho volutamente generato, tra un brano e l’altro, momenti di pausa, per cercare di far comprendere meglio al pubblico il significato del termine “tradizione popolare siciliana”, fermamente convinta che se un argomento non lo si conosce non lo si può amare, dunque  è solo attraverso il dialogo che si può riuscire ad assimilare meglio il messaggio che desidero lanciare. Che cosa sono le tradizioni popolari? Lo dicono le parole stesse. Tradizione: trasmissione di memorie, uso, usanza, costume, leggenda, mito, passato. Popolare: che appartiene al popolo, folcloristico; dunque se mettiamo insieme i due vocaboli ecco che viene fuori la definizione di “tradizione popolare”.

Cinzia Sciuto, cantante e ricercatrice di tradizioni popolari siciliane. Sopra: la cantante Rosa Balistreri

Ogni popolo, certamente, ha la sua tradizione, ma per adesso ci interessa approfondire meglio il significato della nostra, la tradizione popolare siciliana appunto, quella che ci riguarda più da vicino, essendo noi popolo siciliano.

La Sicilia, Terra di contadini, di pescatori, di minatori, di carrettieri, figure ormai quasi del tutto scomparse, categorie di lavoratori che tutti i giorni dovevano faticare parecchio per portare a casa un pezzo di pane.

Erano mestieri duri, gravosi, anche perché il lavoro si svolgeva manualmente, dato che allora non c’erano gli aiuti meccanici a loro supporto, dunque queste persone quale mezzo avevano per sfogare tutta la loro rabbia, il loro dolore per le pesanti condizioni di lavoro a cui dovevano sottostare? Il canto!

Tutti cantavano, il contadino quando durante la semina e poi il raccolto stava ore e ore bocconi sotto il sole, il pescatore quando andava per il mare, sfidando le intemperie di una giornata di burrasca, pregando Dio e tutti i santi di poter fare ritorno a casa sano e salvo, i minatori quando scendevano dentro il ventre della miniera, a profondità dove diventava difficile respirare e dove il grande caldo e l’umidità li costringeva a stare nudi per cercare di contrastare alla meno peggio quella sensazione di disagio fisico e mentale, che mozzava loro il fiato, eppure nel canto trovavano la forza di continuare a lavorare, il carrettiere che a bordo del suo carretto era costretto a fare lunghissimi viaggi, a volte anche di notte, trasportando merci deperibili come frutta e verdura, aveva fretta di arrivare a destinazione e le strade di allora erano “trazzere” piene di insidie e di pericoli.

Immaginate la scena: il carrettiere che viaggiava da solo di notte, la luna alta nel cielo a fargli compagnia, e lui che cantava versi d’amore alla sua innamorata.

Ecco che cos’è la tradizione popolare siciliana: dalla voce del nostro popolo, dalle nostre radici, e dalle figure che ho citato prima nascono brani meravigliosi come “Sant’Agata che jautu lu suli”, una preghiera che il contadino rivolge alla Santuzza “Mirrina”; un canto dell’aia, “Canto di pesca”, che inizia così: “Ora iù vajiu a calari la trabbìa, na tunnaredda tantu luminata, ma iù ppi tantu ‘un mi lu cridìa d’iri a truvari la nassa scassata”,  “Caltanissetta fa quattru quarteri”, un brano degli zolfatai, “Cantu di lu carritteri”, i versi d’amore che il carrettiere cantava alla sua amata, e poi ci sono le dolcissime ninne nanne, “La Siminzina” e “Avò”, i “Canti di Natale”, “La Notti di Natali”, e tanti altri. Le serenate, come “Nicuzza” e “L’amuri ca v’aiu”.

Rosa Balistreri a Selinunte nel 1978

Tanti mi chiedono in quale modo questi antichi canti siano arrivati fino a noi. La risposta è semplice, di questo dobbiamo ringraziare gli etnomusicologi, Alberto Favara, Salomone Marino, Avolio, Guastella, Vigo, Lizio Bruno, Cannizzaro, che nel corso dell’800 raccolsero e trascrissero questi canti direttamente sul “campo”, parole e musica, facendoli arrivare fino ai nostri giorni. Senza il loro preziosissimo lavoro di ricerca e conservazione, noi oggi avremmo perduto questo immenso patrimonio culturale.

Una figura importantissima in questo percorso di divulgazione della nostra tradizione popolare è stata Rosa Balistreri, voce simbolo della Sicilia, la “Cantatrice del Sud”, come la definì il grande poeta siciliano Ignazio Buttitta, che di lei disse: “La voce di Rosa, il suo canto strozzato, drammatico, angosciato, pareva uscisse dalla terra arsa della Sicilia, ho avuto l’impressione di averla conosciuta sempre, di averla vista nascere e seguita per tutta la vita, bambina, scalza, povera, infelice, madre, moglie, perché Rosa Balistreri è un personaggio favoloso, direi un dramma, un romanzo, un film senza autore, Rosa Balistreri è un personaggio che cammina su un filo di cotone, un personaggio che ha un cuore per tutti, che ama tutti, un cuore vecchio e antico per la Sicilia di Vittorini e di Quasimodo, un cuore giovane per la Sicilia di Guttuso e di Leonardo Sciascia”.

Struggenti parole. Grande l’amicizia che legò Buttitta alla Balistreri. Un’amicizia artistica anche, che generò brani eccezionali, come “Pirati a Palermu”, “La Sicilia avi un patruni”, Mafia e parrini”. Ignazio scriveva i testi e Rosa li cantava, arricchendoli con la sua interpretazione unica e disperata.

Cinzia Sciuto

A Rosa Balistreri dobbiamo attribuire anche il merito di aver tirato fuori dall’oblio tantissimi brani di tradizione popolare, cantandoli e facendoli conoscere al mondo.

Su questa figura straordinaria ho fatto varie ricerche e, addentrandomi nella sua vita artistica e anche personale, ho cercato di analizzarne gli aspetti più significativi, scoprendo una persona meravigliosa, sia dal punto di vista artistico che come donna, la sua generosità, il suo coraggio, la sua grande forza interiore, la sua schiettezza, la sua bravura, la sua voglia di vivere: nonostante tante avversità che l’avevano colpita duramente, hanno fatto di lei un Mito, oggi riconosciuto e apprezzato in tutto il mondo.

Rosa Balistreri non è stata dimenticata, prima della sua morte prematura ha lasciato un testamento spirituale, che io ho raccolto, con grande gioia e rispetto, in un certo senso continuando quello che fu il suo grande messaggio d’amore verso la sua Terra e la sua gente, ed oggi ripercorrendo quello che fu il suo cammino mi sento orgogliosa e felice, per averla un giorno incontrata in musica, e da quel giorno non l’ho più lasciata.

Cinzia Sciuto

Ricercatrice di tradizioni popolari siciliane e interprete di versi, musiche, canti e didascalie