Ok, Sgarbi lascerà l’assessorato ai Beni culturali della Regione Sicilia, ma la vera notizia è che, come afferma lui stesso, “il presidente Musumeci non vede l’ora che io me ne vada”, perché “hanno deciso loro (loro chi?, ndr.) che me ne devo andare, non ho scelto io”, in quanto “la sgradevolezza nei confronti di un grande professionista quale io sono si manifesta continuamente”. Una “bomba”.

Sgarbi addebita la responsabilità di questa decisione ai “grillini”, ai quali il critico d’arte non sarebbe “gradito” (“Io sono l’unica opposizione ai grillini”), ma la verità è che lui sta togliendo le tende da Palermo perché oltre 30mila italiani, con la loro firma, hanno chiesto con forza che Musumeci lo cacciasse dalla giunta regionale. I “grillini” sì, hanno fatto la loro parte con le rimostranze espresse all’interno del parlamento siciliano, ma questa piccola “rivoluzione” si è resa possibile innanzitutto grazie a quella specie di tsunami mediatico provocato dall’appello di un militante antimafia come Manfredo Gennaro che, attraverso change, ha raccolto tutte quelle firme (vedi gli articoli pubblicati da L’Informazione su questo argomento).

A cacciare Sgarbi è stato questo movimento, indignato per gli attacchi che l’assessore regionale ai Beni culturali quasi ogni giorno ha sferrato nei confronti del magistrato antimafia Antonino Di Matteo, reo di “aver fatto carriera grazie all’antimafia”. Un disco rotto, che Sgarbi (soprattutto lui) inserisce nel mangiadischi (anche questo ormai rotto) ogni qualvolta un magistrato indaga seriamente sui rapporti fra mafia e politica, rapporti che il critico d’arte conosce benissimo – almeno indirettamente – essendo stato espressione di un ex deputato regionale come Pino Giammarinaro (i cui legami con gli ambienti di Cosa nostra sono stati ampiamente dimostrati) quando per diversi anni ha fatto il sindaco di Salemi, in provincia di Trapani.

Ma questi legami Sgarbi li conosce – sempre indirettamente – almeno dal 1994, anno in cui Berlusconi – grazie al quale il critico è stato eletto varie in Parlamento – è sceso in politica. Come dimenticare gli insulti vomitati dalle tivù del suo Capo contro altri magistrati che allora si chiamavano Caselli, Borrelli, Davigo, Colombo, Di Pietro, colpevoli di indagare sugli stessi fenomeni su cui indaga oggi Di Matteo.

Se un personaggio fortemente compromesso come Berlusconi è rimasto sulla breccia per oltre vent’anni lo deve anche a Sgarbi. Il quale pensava di poter continuare ad approfittare della pazienza e dell’intelligenza di quegli italiani con la schiena dritta. Non è stato così. Quelle trentamila firme saranno state un pugno nello stomaco anche per Musumeci che magari – per carità di patria – non sarà arrivato a battibeccare con lui, ma gli avrà mostrato “sgradevolezza” per gli inopportuni attacchi sferrati a un grande magistrato che la gente ama. Dunque Sgarbi se ne faccia una ragione e se ne torni nei salotti televisivi dove, siamo certi, troverà ospitalità e ristoro. Ma in Sicilia ci torni solo da turista o come critico d’arte.

Luciano Mirone