Tredicimila metri quadrati di cemento sottratti al Parco delle Torrette per costruire una struttura commerciale, una palazzina e un parcheggio. Queste le cifre della cementificazione di un’area di Belpasso che per le sue straordinarie testimonianze naturali e contadine avrebbe dovuto essere destinata alle famiglie, ai turisti, agli amanti dell’ambiente, allo sviluppo sostenibile, e invece sarà destinata a una struttura che comprometterà – non sappiamo se interamente, in parte o per sempre – un progetto sbandierato ai quattro venti dal sindaco Carlo Caputo e mai realizzato. Una operazione, quella commerciale-residenziale, che fa il paio con quella di un altro condominio: 82 appartamenti che dovrebbero sorgere di fronte. Con determinati cognomi che fanno da denominatore comune fra le varie operazioni.

Sì, perché da quando fu eletto (2013), il primo cittadino di Belpasso annunciò l’istituzione del parco, ma non disse che nel 2011 la società “Le Torrette srl” – secondo le carte di cui disponiamo – aveva ottenuto il via libera dal Comune per cementificare a ridosso delle torrette, nel pieno dei terrazzamenti, dei muretti a secco, dei sentieri, al limite della Regia trazzera, di una villa ottocentesca e del palmento più antico di Belpasso. Ebbene: oggi la stessa società ha acquisito i visti della Regione, del Genio civile e della Sovrintendenza ai Beni culturali (malgrado il vincolo paesaggistico) per realizzare una struttura commerciale nella stessa area.

Il paesaggio etneo che costeggia il sentiero ripristinato dal Cai, che collega contrada Gattaino con l’Etna. Sopra: un tratto del sentiero

Ma chi era nel 2011 il vice sindaco di Belpasso? Proprio lui, Carlo Caputo, che oggi – da primo cittadino – cade dalle nuvole, mentre il sindaco di allora, l’attuale deputato regionale di Forza Italia, Alfio Papale, compare e scompare come in un gioco di ombre cinesi.

Nel 2013 Caputo vince le elezioni. Da un lato sbandiera l’istituzione del Parco delle Torrette, dall’altro – siccome dice che bisogna risparmiare – toglie dalle mani di uno dei più illustri urbanisti italiani, il professore Leonardo Urbani, la revisione del Piano regolatore generale (Prg), che il docente palermitano si era aggiudicato attraverso un regolare bando di gara.

Nel periodo del duo Papale-Caputo, il Prg era scaduto da oltre un decennio, senza che nessuno avesse mosso un dito per revisionarlo. Quando nel 2012 Papale si dimise per candidarsi alle regionali, il commissario straordinario – constatata l’incredibile anomalia – indisse un bando per la revisione dello strumento urbanistico. Che, fra diversi prestigiosi professionisti di fama internazionale, si aggiudicò Urbani.

Non sia mai!, disse il nuovo sindaco. Da un giorno all’altro il Prg fu tolto all’urbanista e dato all’ufficio tecnico comunale che, secondo un parere unanime, malgrado i bravi professionisti di cui dispone, non possiede gli strumenti adeguati per elaborare la revisione adeguata di un Piano, per di più nei tempi dovuti. Ed è proprio sul tempismo che si sarebbe dovuta giocare questa battaglia: un contratto fra la Pubblica amministrazione e l’urbanista avrebbe garantito tempi certi e brevi al Comune (circa quattro mesi, secondo gli addetti ai lavori, con una penale a carico dello Studio Urbani se non avesse rispettato le scadenze), con il vantaggio di bloccare l’area delle Torrette e di preservarla da possibili minacce edificatorie.

Dunque, tra la fine del 2013 e l’inizio dell’anno successivo il nuovo Prg sarebbe stato pronto. Il 3 ottobre 2015 l’architetto Francesco Finocchiaro – componente del team del prof. Bruno Gabrielli, docente di Pianificazione urbanistica dell’Università di Genova – dichiara a questo giornale: “A volte viene ritardata la realizzazione del Prg. Nelle pieghe del vuoto normativo si possono infilare molte operazioni immobiliari di basso profilo, spero che questo non avvenga a Belpasso”. Ovviamente Finocchiaro parla in generale, senza fare riferimento alla lottizzazione del 2011: ma chi può negare che dal 2003 (anno di scadenza del Prg) in poi sia esistito un vuoto normativo dal punto di vista urbanistico? Perché Caputo – secondo quanto ci risulta – non ha mai parlato pubblicamente di questa lottizzazione?

Una torretta di contrada Gattaino.

Nel 2015 il sindaco, annusata l’aria, invece di prendersela con sé per la discutibile scelta di togliere il Prg a Urbani,  accusava rabbiosamente “i nemici” del Prg – ovvero la Società civile che chiedeva un dibattito pubblico per discutere della pianificazione del proprio futuro – aggiungendo una frase sibillina molto significativa: “Se oggi qualcuno presenta un piano di lottizzazione la colpa non è mia, ma di chi strumentalmente sta facendo ostruzionismo”. Un modo per mettere le mani avanti sull’epilogo che probabilmente presagiva? Intanto sul piano di lottizzazione presentato nel 2011 dalla società “Le Torrette srl”, continuava a tenere un rigoroso silenzio.

Morale: dopo cinque anni lo strumento è ancora impigliato nelle secche delle pastoie burocratiche, mentre la società costruttrice ha ottenuto tutte le autorizzazioni, tranne quella del Consiglio comunale che dovrà dire l’ultima parola. Ma con questi chiari di luna, anche se il civico consesso dovesse esprimersi negativamente, temiamo un lungo contenzioso dall’esito assai incerto. Specie se si pensa all’esito della progettata mega cementificazione dell’agrumeto di contrada “Peschiera”, con un sindaco che promette fuoco e fiamme, ma alla fine non si presenta neanche al processo d’Appello (stesso schema seguito per il caso altrettanto scandaloso della Farmacia comunale).

Ci si chiede: perché di queste operazioni deve dare notizia questo giornale, mentre dal Comune arriva un silenzio assordante? Eppure questi “giovani amministratori”, nel 2014, avevano marciato compatti assieme alla loro gente – tranne Papale, ma per lui il discorso è diverso – per gridare in coro “No al cemento, Si al parco”. E i boy scout, le associazioni, i semplici cittadini si saranno pure infervorati e magari avranno pensato: finalmente una classe politica cazzuta, che fa una marcia per tutelare l’ambiente. Come no.

Invece questi 13mila metri quadrati interrompono un sogno: 4mila saranno destinati all’area commerciale (un ipermercato, un supermercato, cos’altro? Si aspettano risposte), oltre mille all’immancabile “palazzina a schiera” (destinata ad oltre 100 residenti, malgrado la scarsa richiesta di appartamenti in centro abitato e i cartelli di “vendesi” e di “affittasi” che campeggiano in zona storica), il resto alle strade di collegamento e a un parcheggio riservato a 65 auto e a 5 pullman (immaginiamo carichi di turisti).

Se qualcuno si era fatto illusioni su un’ipotesi di sviluppo alternativo, in grado di mettere l’ambiente al centro del futuro di questa cittadina, può toglierci pensiero: fino a quando Belpasso sarà dominata da certa politica, il cemento sarà il totem al quale inchinarsi, il dio da mettere al posto del Dio vero, che tutti pregano, ma di cui pochi comprendono la vera anima, espressa attraverso la bellezza del paesaggio. Che l’Unesco ha riconosciuto come Patrimonio dell’Umanità.

Perché qui il problema è indubbiamente politico, ma anche culturale. Dagli anni Settanta, Belpasso riesce ad esprimere una classe politica che non riesce a progettare un futuro diverso, con una sinistra ondivaga: un giorno progressista, un altro consociativa, un altro funzionale al sistema. Bisogna leggere la relazione con la quale la Regione Sicilia, la Sovrintendenza ai Beni culturali e il Genio civile hanno dato i visti al progetto, in attesa del pronunciamento del Consiglio comunale.

Sì, bisogna leggere ciò che lo scorso 8 gennaio la Regione Sicilia ha scritto al Comune di Belpasso. Attraverso  questo scritto apprendiamo che “il paesaggio circostante non presenta elementi di pregio dal punto di vista naturalistico”, perché il sito è caratterizzato da “tracce” di terrazzamenti “ormai crollati”, dove esiste “una pericolante ed obsoleta torretta” e dove i terreni – un tempo destinati alle attività agricole con colture a vigneto e frutteto – contrastano con “il desolato paesaggio” dell’ultima colata lavica, e con strade interpoderali in stato di “totale abbandono”. Anche perché, si aggiunge, “la zona non è interessata da ‘corridoi ecologici”.

Altarino lungo il sentiero del Cai (foto Pro Loco Belpasso)

Non possediamo la preparazione dei tecnici che hanno redatto questa relazione, ma sappiamo che se centinaia di persone hanno chiesto a gran voce l’istituzione di un Parco è perché evidentemente sono convinti che quelle torrette, quei terrazzamenti, quei muri a secco, quei sentieri, quel palmento, quella casa antica, quel paesaggio – considerati obsoleti, desolati, cadenti, abbandonati, eccetera eccetera eccetera – vadano salvati, perché sono belli, perché val la pena di portarci i figli e pure i turisti che si recano sul vulcano più alto d’Europa. In quanto alla mancanza del “corridoio ecologico”, beh, si tratta di un giudizio che contrasta con il vincolo paesaggistico (apposto perché evidentemente l’area è considerata di pregio) e con l’esistenza di un meraviglioso sentiero ripristinato dal Cai (Club alpino italiano) che parte da Gattaino e arriva fino all’Etna.

Però ragazzi, leggendo la relazione, abbiamo capito che il centro commerciale in fondo conviene: nelle righe successive abbiamo appreso che, dopo l’approvazione definitiva, la stessa ditta si prenderà la briga di riparare la torretta (per farne cosa non si capisce, dato che il territorio sarà compromesso per sempre) e – udite udite – di curare l’impianto di illuminazione del centro commerciale con lampadine al led di “altissima” qualità. Uau! Belpasso cresce davvero.

Luciano Mirone