È la mafia catanese quella più accreditata a prendere il posto dei Corleonesi, con l’ottantenne Nitto Santapaola pronto a sostituire dal carcere Totò Riina e a dominare uno scacchiere non solo siciliano, ma nazionale e internazionale, dove è necessaria una mafia in doppiopetto, che parla possibilmente l’inglese, che abbia modi suadenti e diplomatici, e che sia capace di far dimenticare in fretta quella cafona, sanguinaria e stragista della Cosa nostra di Totò ‘u curtu.

la strage di Capaci. Sopra: il boss catanese Benedetto “Nitto” Santapaola

Ne dà conferma oggi il quotidiano La Repubblica, con un’analisi di Attilio Bolzoni, che smentisce in un sol colpo i nomi fatti nei giorni scorsi, a cominciare da quello del boss di Castelvetrano (Trapani), Matteo Messina Denaro, considerato troppo “periferico” per avere il controllo della situazione, e non sufficientemente “politico” per tenere unito il vasto arcipelago delle mafie che hanno allargato il loro raggio d’azione a Malta, in Libia, in Azerbaijan e in Stati di mezzo mondo attraverso il riciclaggio, il petrolio, i mega appalti internazionali come il gasdotto della Tap che ha diramazioni in Puglia.

Una verità che emerge oggi, ma che due anni fa aveva anticipato il nuovo procuratore aggiunto di Catania, Sebastiano Ardita, nel suo libro “Catania bene”, dove aveva tratteggiato straordinariamente il nuovo sistema criminale: “Tramontato il dominio dei Corleonesi, il modello ideato dai catanesi si è rivelato vincente e adesso, dopo essersi esteso all’intera Sicilia, ha un progetto ancora più ambizioso, che punta a stravolgere l’intera democrazia”.  Ardita lucidamente si spinge oltre: “Ripulitasi delle scorie del passato, Cosa nostra somiglierà sempre di più a una loggia segreta dove tutto fa capo alla finanza e, attraverso di essa, potrà portare l’assalto al potere politico”. A che scopo? “Per ottenerne favori, anche a danno dei contribuenti, e lo finanzierà. E poi servendosi della politica tenterà di influenzare tutti i poteri istituzionali”.

E chi meglio del catanese Benedetto “Nitto” Santapaola può rappresentare questo nuovo modo – in verità quello di sempre, ma adattato ai giorni nostri – di interpretare le nuove tendenze criminali? ”Nascosta”, incalza Bolzoni, “un po’ come lo è stata la ‘ndrangheta quando a Palermo uccidevano Falcone e Borsellino, la mafia di Catania è sempre lì. Geograficamente laterale, mafiosamente capitale. Chiunque vorrà rifondare la Cupola dopo l’uscita di scena di Totò Riina dovrà fare i conti con loro, ‘i catanesi”.

Totò Riina

I quali – fra gli anni Ottanta e Novanta – hanno sposato tout court la strategia del boss corleonese, ma dopo gli eccidi di Capaci e di via D’Amelio sono stati abilissimi ad annusare l’aria e a capire che bisognava “sommergersi” in attesa che la piena passasse, esponendo il solo Riina come capro espiatorio di una mafia orrenda e stragista. E sono tornati a fare quello che hanno sempre saputo fare: soldi. Con la droga, con gli appalti, con le corse dei cavalli, con il “pizzo”, con il gioco d’azzardo, con i casinò, con i nuovi filoni internazionale che la giornalista maltese Daphne Caruana Galizia aveva avuto l’intuito di seguire. L’hanno ammazzata un mese fa con le stesse modalità con le quali hanno fatto a pezzi Falcone, Borsellino, Chinnici e Impastato: con il tritolo. Adesso – auspice la Cosa nostra etnea – c’è anche di mezzo il petrolio. Tanto petrolio. Trafugato dalla Libia e trasportato per tutto il Mediterraneo.

Certo, sono lontani i tempi in cui Santapaola era riverito e ossequiato da prefetti, questori, magistrati e comandanti dei carabinieri della sua città. Lontani i tempi in cui uccideva senza pietà il capo storico della mafia catanese Giuseppe Calderone, che il 27 ottobre 1962, secondo il racconto di Tommaso Buscetta, sabotò l’aereo dell’allora presidente dell’Eni, Enrico Mattei, su incarico delle “Sette sorelle” (le più importanti compagnie petrolifere internazionali, danneggiate dalla politica di Mattei), del successore di Enrico, Eugenio Cefis, assieme ai servizi segreti francesi e americani e ai mafiosi Giuseppe Di Cristina e Stefano Bontate, massoni e amici dei più importanti politici siciliani di allora. Poche ore dopo, l’areo privato di Mattei esplose in volo: di lui e degli altri due passeggeri, il pilota Imerio Bertuzzi e il giornalista americano William McHale, si trovarono soltanto quattro ossa sparse nel raggio di qualche chilometro. Per quarant’anni la versione ufficiale parlò di “cause accidentali”. Solo dopo le dichiarazioni di Buscetta e le nuove indagini aperte dalla Procura della Repubblica di Pavia è stato accertato che il velivolo esplose in volo per via di un ordigno collocato a bordo. Che c’entra Santapaola con Calderone e con Mattei? C’entra!

L’ex presidente dell’Eni, Enrico Mattei

Se don Nitto è stato capace di uccidere impunemente un mafioso potente e protetto come il suo predecessore, e a prenderne il posto, evidentemente era più potente e protetto di lui. Lo dimostra il fatto che solo nel 1982 – dopo il delitto dalla Chiesa, le stragi al casello di San Gregorio di Catania e alla circonvallazione di Palermo, di cui lui è stato mandante – “il cacciatore” (come è stato soprannominato) è stato costretto a darsi alla latitanza: prima di allora tutte le più alte autorità cittadine facevano a gara per partecipare all’inaugurazione del suoi autosaloni, la copertura agli affari illeciti che portava avanti senza problemi.

Sono lontani quei tempi, ma sono sempre attuali, e anche più pericolosi. Questa nuova mafia, sempre per dirla con il procuratore Ardita, “vorrà condizionare la magistratura e l’applicazione delle regole, cambiare la Costituzione, semplificare la governabilità, limitare la libertà di stampa”.

Sembra il piano di rinascita democratica di Licio Gelli e invece è la strategia dei successori “catanesi” di Riina.

“Anche se cambieranno le forme – prosegue Ardita – gli effetti concreti sulla legalità reale potranno essere ancora più devastanti di quelli degli anni Ottanta. Ed è per questo che la partita è tutt’altro che vinta”.

Luciano Mirone